Doveva essere una bella nidiata, quella dell'Alberghiero di San Benedetto del Tronto a cavallo del nuovo millennio. C'erano Davide Di Fabio, ora sous chef dell'Osteria Francescana; Danilo Cortellini, che oggi è chef all'ambasciata italiana a Londra (leggi: Al servizio dell'ambasciatore); Leonardo Di Teodoro, pasticciere al ristorante Tosca di Gonevra, una stella Michelin, dopo essere passato da Enoteca Pinchiorri e la stessa Francescana... E anche Enzo Di Pasquale, classe 1985, giuliese doc, uno che quattro anni fa se ne stava a lavorare nelle cucine di un ristorante di Fort Lauderdale, in Florida, «venne a trovarmi anche Yoji Tokuyoshi, in quanto comuni amici di Davide. Sono tornato a casa per motivi personali, e alla fine sono rimasto».

Di Pasquale & friends: con Danilo Cortellini
La casualità - anche nella pettinatura - in fondo è un dato costante della sua vita. Chef per avventura, «i miei genitori, peraltro gran buongustai, non volevano che mi iscrivessi all'Alberghiero. Falsificai le loro firme e nessuno si accorse di nulla». Ma il fato - e in questo caso il merito - ci ha messo lo zampino anche al momento del suo ritorno in Abruzzo: «Da circa un anno un imprenditore siciliano da 20 anni sull'Adriatico, aveva aperto il suo
Hotel 900, a Giulianova Lido: un progetto nato dalla volontà dei proprietari di riportare all'antico splendore una bella villa del 1926. Cercavano uno chef, io non potevo più ripartire per gli Usa, ma non mi accontentavo di un qualsiasi indirizzo di cucina. Mi presentai: praticamente sono stato io a scegliere loro, non viceversa come avviene di solito», e ride.

E con un altro talento della giovane cucina abruzzese, Gianni Dezio del Tosto di Atri
Andò più o meno così: «Entrai, venni accolto con scetticismo: "Neanche so se sai preparare un uovo al tegamino", mi disse il patron. Risposi: "Inviti 20 persone per mercoledì prossimo e vi preparo una cena completa". Feci il finto mandarino di
Heston Blumenthal (ossia
Meat Fruit, un classico dello chef inglese: sembra un mandarino vero, ma nasconde un paté di fegatini di pollo accompagnato dalla nota acida della gelatina dell'agrume,
ndr) e poi, per rispondere alla loro obiezione iniziale, 3 piatti a base di uovo: uno pochè, della pasta all'uovo alla chitarra e un finto uovo al tegamino con spuma di albume». Ovviamente le porte della cucina gli vennero spalancate: era il maggio 2014.

Meat Fruit di Heston Blumenthal
Dal novembre 2016
Di Pasquale gestisce direttamente il ristorante dell'
Hotel 900, che si chiama
Bistrot 900. Nome
easy - com'è lui, è uno che non si prende troppo sul serio, ma è preparatissimo - e cucina molto particolare, interessante, tecnica, meditata, originale, «dalle nostre parti non c'è nulla di simile». Vero.
Deve molto al suo estro - il talento c'è, è evidente - e altrettanto ai suoi maestri: dopo gli inizi a Gallio, sull'Altopiano di Asiago, ha frequentato la brigata del
Baglioni a Venezia, quindi un anno con
Lucio Pompili («Mi ha insegnato a essere eclettico») e soprattutto l'
Antica Osteria del Ponte con
Ezio Santin, proprio l'anno successivo al suo "rifiuto delle stelle", dunque il 2010: «Aveva 73 anni e stava ancora in cucina, mi ha insegnato la passione per questo mestiere, la necessità di stare sempre sul pezzo». Quindi è rimasto col successivo passaggio a
Fabio Barbaglini, prima dell'avventura statunitense.
Di Pasquale descrive così il proprio stile: «Particolare. Sono curioso, vado sempre alla ricerca di cose nuove e mi piace fondere le esperienze che ho fatto e le conoscenze che ho appreso, abbinandole nel piatto. Mi piace molto l'essenzialità giapponese, ma anche la scuola nordeuropea. Non le scimmiotto: mi piace utilizzare le verdure del mio orto, vengo da una famiglia di contadini e quindi mi rifornisco direttamente lì del 70% dei vegetali che utilizzo. Per il resto, al chilometro zero preferisco il chilometro buono».
Già la presentazione del menu è originale: i piatti sono proposti non nel solito ordine per portate - antipasto, primo e secondo - ma in base al grado d'intensità gustativa, «assegno un punteggio a tutte le componenti gustative (acido, minerale, dolce, umami, amaro,
ndr). Più il totale è alto, più il piatto finisce in fondo al percorso di degustazione», nel nostro caso si chiudeva ad esempio con una pasta,
Semplicemente il succo di una rapa rossa, ossia spaghetti, rapa rossa, salsa al curry e cocco.

La "tabella dei sapori" di Di Pasquale
Piatto che già spiega molto della mano e della mente dello chef: che si diverte a immaginare
crossover cosmopoliti, pur su base italiana e abruzzese, in quello che non è mai un esercizio di maniera un po' forzoso, ma appare frutto di fervida immaginazione creativa e sfocia in una spesso perfetta armonia al palato. Cucina forse non per tutti, cui certamente sta stretta una mera prospettiva territoriale e tradizionale; mai provinciale. Quindi convincente, assolutamente contemporanea, compresa la parte dolce, che è davvero molto evoluta.

Di Pasquale sul palco di Meet in Cucina Abruzzo 2018 presentato dallo scrivente, Carlo Passera

Semplicemente il succo di una rapa rossa, uno dei piatti presentati da Di Pasquale a Meet in Cucina Abruzzo 2018
Infine, una nota di merito per la carta dei vini, non certo enciclopedica, anzi, ma che dedica molta attenzione alle proposte bio e ai piccoli produttori dei dintorni, con ricarichi onestissimi.