A volte noi scriviamo di “piatti che hanno un’anima”: è una considerazione lusinghiera, vuole dire che raccontano esperienze, emozioni, forse addirittura vite, quelle degli chef che li hanno creati. Si prova – ci si illude? – a leggere in quel gusto, in quel contrappunto, anche il vissuto del suo autore, quasi a volerne scandagliare l’esistenza. Però rimane sempre un cono d’ombra, anche a indagare a fondo: un bravo chef saprà mostrare la parte luminosa di sé, deliziare con il buono, celando invece la zona oscura. Quando mai un piatto svela turbamenti, malinconie, difficoltà, ossia i banali drammi della quotidianità? Raccontiamo il professionista mentre l’uomo rimane faccenda privata, ed è giusto sia così.
L’anima di Beniamino Nespor ha deciso di andarsene, perché il peso della vita le risultava ormai insopportabile. Da un po’ lottava con le sue inquietudini, non molte ore fa ha deciso di gettare le spugna. Speriamo davvero abbia trovato pace, magari un mondo migliore, se ci si crede. Lo chef era atteso al Taco Bar, giovedì, ma non vi è mai giunto. Era a casa sua, il respiro già volato via.

Con Eugenio Roncoroni (foto Brambilla-Serrani)
La notizia circolava ormai, ma per renderla pubblica – ahimé essere giornalista è bello, tranne in questi casi - abbiamo voluto aspettare che fosse la famiglia a farlo, con un necrologio apparso questa mattina sulle pagine del
Corriere della Sera: “Ciao
Ben, terrò sempre nel mio cuore i ricordi di tutti gli anni felici passati insieme tenendoli stretti nella mente e crescendo
Otto affinché porti il tuo sorriso», scrive
Oda, la moglie, nel suo commiato. E dopo di lei l’addio degli amici, e quelli – che a volte appaiono di circostanza – di chi ha interagito con
Nespor per questioni di lavoro. Ci sono sembrati però tutti veri: affettuosi e addolorati. Perché non si poteva non voler bene proprio a quel sorriso citato da
Oda, solare, pieno. Ce lo ricordiamo sereno e gioviale,
Beniamino Nespor. E così vogliamo fissarlo nella nostra memoria.
Lo abbiamo raccontato tante volte, lo chef, sempre in tandem con
Eugenio Roncoroni. Così avevamo scritto,
nel profilo per Identità Golose: “
Beniamino Nespor ed
Eugenio Roncoroni sono la strana coppia della ristorazione nostrana, i
Lemmon-Matthau dei fornelli global con sede meneghina, i
Fruttero e
Lucentini dei sapori di mezzo mondo che sbarcano all’ombra della Madonnina sotto forma di
haute cuisine. Han fatto le scuole medie insieme, poi son partiti per percorsi diversi ma paralleli che ne han plasmato le propensioni. Ritrovatisi tra le nebbie meneghine, ecco la scelta di trasporre la biografia in uno stile di cucina unico in città, anzi in Italia: pure internazionalità per fanatici gastronomadi, reinterpretazione “alta” dello street food con poco Belpaese, parecchi Usa e altrettanto Oriente.
Al Mercato, questo il nome del loro ristorante aperto nel 2010 (cui avrebbero fatto seguito altri tre locali, tra i quali il
Taco Bar appunto,
ndr), di certo non ci si annoia. D’altra parte la loro sembra fin dalle premesse una vita senza paraocchi provinciali. (…)
Nespor, il biondo, classe 1982, non ha sangue a stelle e strisce come
Roncoroni, ma negli States ha vissuto metà vita, senza contare l’esperienza da
Berasategui”.
E questo spirito nomade, cosmopolita aveva raccontato anche più recentemente i suoi ristoranti preferiti, intervistato per il sito di
Tod’s: l’
Eleven Madison Park di New York («Esperienza sempre fantastica sia per cibo, vino e per la incredibile location»),
Narisawa a Tokyo («Cucina nippo-europea incredibile»), il
D.O.M. di Sao Paolo in Brasile («Alta cucina con inusuali materie prime brasiliane»),
La Taqueria a San Francisco («Il miglior burrito con carnitas mai mangiato, un must quando a San Francisco») ed
Hertog a Zedelgem, in Belgio («Tempio culinario belga, esperienza incredibile»). Di alcuni aveva anche scritto per la nostra guida.
Ecco, desideriamo immaginarcelo così, Beniamino. Seduto comodamente in uno di questi locali da lui amati, lontano da tutto: certo anche dall’affetto di chi gli ha voluto e sempre gli vorrà bene, ma distante soprattutto dal suo mal di vivere, che tanti suoi colleghi hanno già sperimentato, lo raccontava Paolo Marchi qui.
Identità Golose lo saluta e si stringe ai suoi cari.