È la città dai sette colli, ci bevi un caffè che non te lo aspetti fuori dai nostri confini. È calda, altera, colta e sguaiata. È Lisbona ed è amore al primo bacalhau, ma non più solo quello. Certo, il pesce la fa da padrone sulle tavole lisboete, la capitale, però, per suo insito essere, è sintesi del paese. Normale, quindi, trovare in menu un caldo verde (zuppa tipica del nord) o un taglio di porco preto, visto che anche il Portogallo, pardon, l’Alentejo ha il proprio maiale nero, cresciuto libero sulle colline della regione del sughero.
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Herinque Mouro, chef dell'Assinatura a São Mamede, +351.21.3867696 (foto Sozio)
Lisbona esibisce ottimi prodotti, tradizione molto radicata e un panorama di chef promettenti, di anno in anno più nutrito, che si allontana dalla cucina classica internazionale (da sempre l’unica premiata dalla Michelin), per pensare e fare la cucina portoghese del futuro. Obbligatorio partire da un abbandono: il ristorante più antico della città, l’ottocentesco
Tavares, è orfano da gennaio 2011 di
Josè Avillez, 32 anni, in assoluto il cuoco più in vista del Portogallo.
Avillez, scuola da mostri sacri come
Ducasse e
Adrià, in 3 anni di attività creativa ha salvato il
Tavares dalla decadenza che investe spesso i locali storici, portandolo al centro dell’attenzione gastronomica europea, con una stella Michelin nuova di zecca. Giovane, ma non ingenuo, ha costruito una vera e propria impresa su se stesso: 3 libri all’attivo e uno in preparazione, una società di consulenza, una di catering. Nel 2009 il lancio di un fast food di qualità che si declina nel take-away
JA em casa e nel diurno
JA a mesa, un menu di piatti unici, insalate, zuppe e panadas a
Santos, quartiere popolare ai margini del centro, oggi riqualificato e trasformato in design-district.
Sempre a Santos ha preso vita il
Manifesto di
Luis Baena. Appassionato di musica e arti visive, il cuoco ha costruito la sua filosofia e il suo ristorante sul concetto di incontro tra passato e futuro, tra classico e contemporaneo. «Se non trovo strano ascoltare
Bach e poi
Al di Meola, perchè dovrei ragionare diversamente per la mia cucina?», questo il manifesto di
Baena, che nei menu gioca sia con la carne che con il pescato dell’Atlantico, passando da un sushi di prosciutto a un hot dog di gamberi. In un percorso ideale del divertimento a tavola, uno dei cuochi più esplosivi di Lisbona (forse d’Europa) è
Ljubomir Stanisic, serbo, dal 1997 in Portogallo. Il suo ristorante
100 Maneiras, chiusi i battenti a Cascais, anima da circa due anni il Bairro Alto, quartiere giovane e mondano, affollatissimo di sera. Su solide basi dal sapore portoghese,
Stanisic innesta una cucina cosmopolita, divertente, pop: il suo piatto
Estendal do Bairro (l’asciugatura del quartiere), chips di baccalà stese ad asciugare esattamente come vestiti, è già un’icona. Poco distante dal ristorante gastronomico, c’è il
100 Maneiras Bistrò: 70 coperti su due piani, cucina più informale, cocktail bar, aperto da mezzogiorno alle 2 di notte.

Santos, Lisbona (foto Sozio)
Rispetto del passato nel segno della contemporaneità è il filo conduttore di
Henrique Mouro, gavetta in tante cucine eccellenti, da poco più di un anno a capo del suo ristorante
Assinatura (che vuol dire firma), sottotitolo “tradizione presente”. Uno stile, quello di
Mouro, rigoroso nel rispetto delle materie prime, consapevole nell’utilizzo delle tecniche più all’avanguardia,
glocal nel riproporre spezie e sapori che contraddistinguono la cucina portoghese e il suo legame strettissimo con i possedimenti del più longevo impero coloniale al mondo. Del resto, le tracce imperialiste sono incise nel cibo e nell’anima di Lisbona, nei suoi panorami infiniti sul Tago e sull’oceano, nelle sue architetture: a Belém, lì dove la Torre, patrimonio dell’umanità, celebra le rotte che portavano a conquistare i continenti, lì il profumo di cannella e vaniglia dei
pasteis de Belém accoglie i viaggiatori con la sua ricetta segreta e immutabile nei secoli. Lì confluivano le spezie e arrivava il caffè, quel caffè che ha animato le coscienze di rivoluzionari, intellettuali e poeti della saudade. Fra i tavolini all’aperto del caffè
A Brasileira, nel Chiado, una statua di bronzo ricorda la passione di
Fernando Pessoa per il chicco nero. Facile immaginarlo di fronte a una tazzina mentre, nel
Libro dell’Inquietudine, scriveva: «Viaggiare? Per viaggiare basta esistere».