La sveglia è prestissimo, all’alba. Il mare qui al Nord non aspetta e nemmeno il suo freddo. L’aria gelida entra nelle ossa, mette alla prova. Il garrire dei gabbiani dà il buongiorno, insieme a una fioca luce opaca di un sole sonnolento. La giacca a vento pesante, di quelle che si usano per andare a sciare, non basta. Servono i tutoni invincibili dei pescatori per proteggersi dalla furia dell’aria di Norvegia.
Alle Isole Lofoten la giornata inizia così: ci si alza di buon ora e si esce in mare aperto. Nessun paura, ma tanta aspettativa. L’acqua è fredda e cristallina, il clima è artico. Condizioni ideali per la pesca e la produzione di merluzzo, il pesce attorno a cui gira tutta l’economia norvegese.
Noi però usciamo in barca non per pescare un merluzzo qualsiasi, ma per portare a casa (e poi nelle nostre pance) lo Skrei, il re delle acque norvegesi. Nei primi mesi dell’anno accade infatti qualcosa di straordinario ed estremamente romantico: milioni di merluzzi intraprendono il loro viaggio dal Mare di Barents per ritornare nella parte settentrionale della costa, dove depongono le uova.

Fanno tutto questo per amore, alla ricerca di un compagno o di una compagna. Proprio per questo motivo, lo
Skrei, viene infatti chiamato
Valentine’s Fish. Nuotando in acque pure per migliaia di chilometri fino a raggiungere le Isole Lofoten, questi pesci modificano la propria alimentazione e sviluppano una carne soda, bianca e morbida.
Non tutti i merluzzi che intraprendono questa avventurosa impresa, però, diventano
Skrei (solo 10.000 tonnellate su 2 milioni di tonnellate). Per essere riconosciuto come tale, il prodotto deve avere una serie di importanti requisiti. Innanzitutto deve essere pescato tra gennaio e aprile nella sua tradizionale zona di riproduzione allo stato selvatico e deve aver circa cinque anni d’età.
Inoltre deve essere in perfette condizioni e imballato entro 12 ore dalla sua cattura. Lo
Skrei si differenzia nell’aspetto per la forma più allungata e affusolata e per la colorazione più chiara della sua pelle. Mentre questa pregiata specie di merluzzo migra su vaste distanze, le altre vivono un’esistenza più stazionaria sulla costa.
In mare aperto si scrutano le acque per vedere affiorare sotto il pelo dell’acqua i pesci. Calma piatta per ore, ma poi tutto cambia in un momento: i marinai corrono verso un angolo della barca e, con tutta la loro forza, tirano fuori
Skrei possenti, da 7 chili o anche più. Dopo la pesca, però, gli uomini di mare si riposano.
Ecco che la nostra barca, dopo essere stata sballottata dalle alte onde del Mar di Norvegia si avvicina, carica di merluzzo, a una casetta che sembra galleggiare sull’acqua. Via i tutoni e gli scarponcini (alle Lofonten nelle case si entra rigorosamente scalzi). Abbandoniamo il freddo artico per essere accolti da un caldo buono, una coccola che scalda la pelle dopo tante ore passate in balia del vento del Nord.
In tavola, dopo l’apprezzatissimo pane e burro, viene servita la zuppa di
Skrei. I pescatori ci raccontano quanto sia pregiata la sua carne e quanto lo siano anche le sue frattaglie. Del pregiato merluzzo si mangiano infatti le uova, il fegato, lo stomaco e persino la lingua.
E legata proprio alla lingua dello
Skrei c’è una storia bellissima che dice molto sulla Norvegia. Se decidete infatti di andare a visitare la aziende ittiche che preparano il merluzzo e vi recate nel reparto dove vengono adagiate in grandi vasche le teste, rimarrete sbalorditi. A tagliare le lingue di questi pesci non ci sono impiegati adulti, ma bambini di dodici anni o podo più.
Escono da scuola e, zaino in spalla, si dirigono “al lavoro”. Indossano guanti e grembiuli di gomma, impugnano i coltelli. Attraverso queste semplici mosse crescono, si fanno adulti, si responsabilizzano. Infilzano quindi in uno spuntone la mascella inferiore del merluzzo e con un taglio deciso separano la lingua dal resto.
Proprio in quella determinazione sicura di ragazzino è racchiusa tutta la dedizione di una nazione al suo prodotto per eccellenza: il merluzzo, il re del suo mare, gioco e delizia di tutti i norvegesi dai dodici ai cento anni.