La nazione ospite della quindicesima edizione di Madrid Fusion è l’Argentina. L’esercito di cuochi e produttori bianco-azzurri ha investito il Palacio Municipal de Congresos con una carica di energia e idee notevole.
Di tutti i numerosi appuntamenti in cartellone, ci ha colpito la lezione di Mariana Müller, da 20 anni chef e proprietaria di Cassis a Bariloche, la capital de los lagos, in Patagonia. Una professionista di grandi capacità, attestate da una serie di titoli di “miglior cuoca argentina”, attribuiti dalle riviste del suo paese, e da Paolo Marchi, che l’ha voluta relatrice anche a Milano, tra poco più di un mese, nel contenitore di Identità Naturali.
Nella sala polivalente di Madrid, “la China”, come viene chiamata nel suo paese per i tratti vagamente orientali (ma nel suo Dna scorre sangue tedesco), ha tenuto una ponencia sulla cucina acida, accanto al conterraneo Hernan Luchetti, importante pedina della corazzata del Celler de Can Roca di Girona in Catalogna.

Il maxi-asado preparato in Plaza del Rey da Francis Mallmann
Mariana attinge a un ricchissimo serbatoio di verdure, fiori, erbe, piante silvestri e frutta del suo ristorante, incastrato tra le montagne dell’entroterra patagonico, una regione vastissima, che conosce i più diversi ecosistemi. Un lavoro simbiotico con la terra e le radici, di trasformazione in conserve, salse, resine che diventano succhi, vini e poi
vinagres, straordinari aceti. «In un’espressione,
cocina acida, la mia cucina».
A
Lucchetti non par vero di poter disporre di questi «straordinari prodotti» (parole sue) per la sua dimostrazione che include aceti ovini e
kombucha, tè dolce e fermentato con un punto acido molto elevato (tra le preparazioni più gettonate in questa edizione madrilena). E noi impariamo con i due cuochi a cambiare il significato semantico di “acido”, che non ha più il connotato negativo che gli diamo noi italiani ma diventa sinonimo di poesia, profumo, libertà, cromatismo, magia, trasversalità, memoria.
La tre giorni argentina a
Madrid Fusión si era aperta da uno spettacolare
asado preparato da
Francis Mallmann, il cuoco più celebre del paese, nel cuore di Plaza del Rey. Aveva strappato applausi sinceri la
ponencia di
Germàn Martintegui, chef molto popolare alla guida di
Tegui a Buenos Aires, 68mo nella
World’s 50 Best. «Voi tutti vi immaginate il nostro paese», aveva esordito, «come un’orgia di carne alla
parrilla, oggi io non voglio parlare di questo, preferisco riferirmi alla nostra lunga tradizione culturale pre-colombiana».
La ponencia esprimeva un forte richiamo alla terra, ai produttori e alle radici del suo paese. Con un principio gastronomico espresso chiaro e tondo: «Quello che è buono, va toccato il meno possibile». Era l’imperativo che muoveva la concezione dei due piatti presentati, sintesi rispettivamente del Nord e del Sud dell’estesissimo paese: Carne cruda di lama con quihuicha (amaranto) fermentata disidratata e fritta e patate tunta (Nord) e Ostriche grigliate alla
parrilla con legno di melo, salicornia e spuma di mare.
Martedì aveva impressionato la lezione di
Thomas Kalika, ristorante
Mishiguene, astro nascente della cucina “immigrante”
judìa, ebraica, che è la somma di tutte le influenze assorbite dal popolo itinerante nel mondo.
Leggi il dossier argentino di Paolo Marchi:
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La poesia dell’asado argentino
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