«Sono giovane e devo ancora dimostrare tutto». Riccardo Canella è stato l’unico relatore italiano sul palco di Madrid Fusiòn, congresso che ha celebrato pochi giorni fa la sua ventiduesima edizione. Una ponencia che titolava “Profonda leggerezza”, e una relazione emozionata per lo chef uscente del ristorante Oro, contenuto nel leggendario hotel Cipriani, a Belmond Hotel, Venezia. Un’esperienza chiusa dopo due anni, successiva alle 8 primavere spese al Noma.
«Per passare senza strappi da Copenhagen a Venezia (Canella è nato a Mestrino, verso Padova, ndr) ho iniziato a studiare sui libri di storia, presi in prestito alla Biblioteca Nazionale Marciana di piazza San Marco. È stato questo il mio donde todo comienza (filo rosso dell’edizione del congresso madrileno, ndr): il Donde, “dove”, per me significa capire dove sei, una priorità fondamentale che ho appreso al Noma. Todo, “tutto”, vuol dire invece prendere consapevolezza di un ristorante in tutti i suoi aspetti, prima di tutto le persone che ci lavorano e sforzarsi ogni giorno di dare loro dignità e rispetto. Comienza, “cominciare”, è per me il re-inizio, l’origine come salvezza, il tema forte dei miei due menu veneziani, giocati sul tema della rinascita. Viviamo in una società in cui tutto è una copia di una copia, tutti ti impongono di essere il migliore ma nessuno ci insegna a essere noi stessi».
Radici profonde per elevare se stessi e portare a galla la verità degli ingredienti, un tema di ispirazione alajmiana, ricorrente nel pensiero di Canella: «Noi siamo una figura di mezzo tra la materia della natura e il commensale, occorre non dimenticarlo mai». E questo è stato l’incipit della lezione, seguita da due piatti che noi di Identità conosciamo bene.

Riso alloro e zafferano (foto Per Anders Jorgensen)
Il primo era
Riso alloro e zafferano, un primo con cui Canella mette assieme in un piatto, con un twist molto personale, l’insegnamento di
Gualtiero Marchesi,
Massimiliano Alajmo e
Rene Redzepi, i suoi 3 maestri. Solo che qui il riso è fermentato, c’è la polvere di alloro che ricorda il balsamico della liquirizia e l’oro commestibile non è sopra ma sotto il cibo. In mezzo c’è pesto di polline, olio di rose e acqua di ciliegie fermentate. «Polline, petalo, pistillo, foglia e frutto: in questo piatto c’è tutta la stratificazione della pianta», ha spiegato con
Martina Peluso al suo fianco sul palco.
Il secondo piatto era
Venere, un dessert/non dessert che associa la nota vegetale del gelato di asperula (
galium odorata), i toni erbacei della cumarina («amara come una mandorla»), la capasanta («simbolo esoterico di Venere, un omaggio alla donna e a Venezia), un sorbetto di ostriche («la sapidità della laguna») e della panna infusa al blu di capra dei Colli Euganei. Venere e Venezia, in equilibrio precario e fenomenale.
Passati in rassegna tutti i bravissimi artigiani che hanno supportato la sua esperienza da Oro, c’è stato anche il tempo per una domanda sul futuro. Cosa farà Riccardo Canella? «Vorrei aprire il mio posto, un ristorante con qualche stanza e 30 coperti, a Venezia o vicino a casa. Le mie radici sono lì, non lo dimentico».