Se il 21 gennaio scorso, invece che scendere alla fermata di Moscova della M2 milanese sembrava di essere arrivati alla fermata Shibuya di Tokyo, il 26 maggio dello stesso anno, in un angolo di Milano poco avvezzo alle punte di folklore anche conosciuto come il quartiere dei giornalisti, è stato come capitare in una via di Osaka alle prese con una grande festa. Il primo era una bella trovata di marketing, il secondo il Matsuri Milano, festa popolare giapponese a cura dell’Associazione italiana ristoratori giapponesi.
Per dovere di cronaca dobbiamo dire che nello spazio previsto all’interno e al di fuori del Finger’s Garden – uno dei ristoranti dell’associazione e quello che si è prestato come location per la manifestazione – risaltavano di più le code piuttosto che le bancarelle di street food o il palco degli spettacoli. Per molti entrare al Matsuri si è rivelata un’impresa impossibile. E molti si sono sentiti rimandare al pomeriggio per un over quota error non calcolato. Intoppi da inesperienza. E in ogni caso, meglio un afflusso nutrito di uno scarso.

Per quello che abbiamo visto, il primo premio samurai va sicuramente a
Roberto Okabe, patron del
Finger e del
Finger’s Garden, che, padroneggiando un livello di visione periferica degna di un
aikidoka, nell’ora di punta chiedeva gli scontrini alle persone e offriva il suo aiuto per prendere i piatti al loro posto. Secondo gradino del podio a una simpaticissima e paffutissima mezza donna e mezzo panda, per aver trasportato infinite quantità di
yakitori dalle cucine agli stand senza mai togliersi il suo copricapo peloso.
Terzo posto alle porzioni di street food che siamo riusciti ad agguantare con la sveltezza dei ninja. Gli
yakisoba, serviti nella tipica scatolina di carta aperta all’estremità verticale, erano conditi con pezzetti di tonno, verdure e una salsa speciale giapponese. Con un
onighiri – polpettina di riso e pesce – tra le mani, finalmente ho potuto immedesimarmi in
Sampei che ne andava ghiotto. Di
gyoza, ravioli saltati di carne e verdure, sia noi che i nostri bimbi ne avremmo mangiati come patatine. I
takoyaki, polpettine di pollo e zenzero non ci hanno fatto impazzire, mentre per gli yakitori, quanto rimpiangiamo di essere riusciti a prenderne così pochi.
Karaage, pollo marinato fritto,
udon, cioè la tipica zuppa di noodles e
wagashi, dolcetti fatti con zucchero di canna e fagioli
azuki, non pervenuti per cause di forza maggiore. Avremmo voluto assistere alla vestizione del kimono e alla sfilettatura del tonno di grandi dimensioni, ma il buon senso e le facce provate dei nostri bimbi ci hanno convinto a rimandare alla prossima volta, che dovrebbe essere in autunno. Tutti i milanesi con la passione per il Giappone e il suo folklore autentico – e abbiamo visto che non sono affatto pochi - non vedono l'ora.