Oggi si parla di comfort-food, ma noi che siamo boomer, preferiamo parlare di certezze. Sì, certezze. Da vecchi liberali-radicali, che nella vita sanno di possederne una sola: quella di non averne, in campo gastronomico. Abbiamo bisogno dell’olio appena franto sui ditalini (occhi di lupo li chiamano adesso, chissà perché), abbondantemente spolverati di parmigiano, con due foglie di basilico fresco…Necessitiamo, per riconciliarci col mondo, di una fetta di tonno spessa almeno due centimetri, appena scottata e servita così, con un filo d’olio buono…
E ci tranquillizziamo nella buona, vecchia, cara trattoria di Tancredi, a Palazzolo Acreide. Vanno bene tutte le sperimentazioni di questo mondo. Si apprezzano i tentativi arditi di chi – padroneggiando i fondamentali, s’intende – varchi le ultime frontiere gastronomiche (che poi son tutte questioni di chimica degli elementi). Bene, anzi, benissimo l’avanguardia! Ogni tanto, però, un’immersione rassicurante in un luogo dove si faccia ancora e per sempre la buona, vecchia cucina tradizionale regionale e italiana, ci mette in pace con noi stessi.

Il cuoco patron Tancredi Parentignoti

Tagliatelle porcini e prataioli
Così, ai primi freddi – quest’anno, qui, un delicato eufemismo - eccoci, ad affrontare la strada più bella di Sicilia, quella che, da Noto, provincia di Siracusa, conduce a Palazzolo Acreide, capitale della gastronomia siracusana. Non mi riferisco a singole eccellenze (pure presenti), ma alla media dei locali e localini in cui si mangia sempre più che dignitosamente, soprattutto carni, formaggi e salumi, specialità del luogo montano.
Tancredi è un grande pizzaiolo – a prescindere dai numerosi premi che tali competenze gli son valse – ma anche cuoco coi fiocchi, che celebra l’autunno e l’inverno, qui col profumo della caccia, di beccacce, funghi, del tartufo degli Iblei, che lui cucinava quando ancora era un povero funghetto misconosciuto (il tartufo, non Tancredi). Non in tanti altri luoghi avrei potuto soddisfare la mia voglia potente di L, le lumache più grosse e più buone che mai abbiano sbavato sulla terra. Me le ha servite a cipollata. Roba da mangiarsi anche il guscio.

Stinco cotto al forno a legna
E poi le sue tagliatelle fatte in casa, con porcini e prataioli, olio evo degli iblei. Se conosci e hai frequentato a lungo i boschi di queste parti, per ogni forchettata, il volo a zig zag di una beccaccia ti s’imprime nella retina… Siamo poi certo dei romanticoni ma, come magnifica il porco Tancredi, pochissimi altri. Il suo stinco (sempre quello del porco, non di Tancredi medesimo, ovvio!) si scioglie in bocca come burro. Per tacer di una coda alla vaccinara che regge il confronto con le migliori di Trastevere: oh, l'abbiamo detto, infine! E che dire di fiorentine cotte
comme il faut e del taglio giusto, e della salsiccia presidio palazzolese slow food.
La cantina è ben fornita, e non solo – anche se, comprensibilmente, in via principale – di glorie locali. La crema catalana, infine, la sua personale crème caramel, ricorda quella della mia povera mamma. Anche per questo, da Tancredi, torniamo sempre volentieri.