26-10-2022

Leonor Espinosa, Viviana Varese e la gastronomia come leva sociale

Al W Villadorata di Noto, la cuoca colombiana e la padrona di casa hanno elaborato un menu degustazione che sollevava questioni ben oltre la bontà dei piatti cucinati

Al centro, Leonor Espinosa (ristorante Leo, Bogot

Al centro, Leonor Espinosa (ristorante Leo, Bogotà, Colombia) e Viviana Varese (ViVa a Milano), impegnate nella cucina del W Villadorata gestito dalla seconda delle due a Noto, Siracusa

Viviana Varese e Leonor Espinosa, a 9 mila di chilometri di distanza l'una dall’altra, lavorano nello stesso identico modo, scegliendo la strada della responsabilità sociale e culturale: il loro incontro a quattro mani nella cucina del Country Restaurant Villadorata a Noto - quasi a disegnare le traiettorie globali di un baricentro che trova nel ruolo “politico” della cucina il suo punto di stabilità e non a caso cade alla lontana periferia delle grandi capitali gourmet - hanno dimostrato in 8 piatti che se la Sicilia è il cuore della biodiversità italiana, la Colombia è il cuore della biodiversità del mondo.

Unite da una storica amicizia e più ancora da un’affinità elettiva che anche la prestigiosa lista dei World's 50Best ha idealmente riconosciuto (Leonor Espinosa è stata eletta nel 2022 come World’s Best Female Chef e Viviana Varese era già stata premiata nel 2021 come Champions of Change), queste due grandi cuoche, che sono innanzitutto due grandi donne, hanno posto anche così il segno di un processo di cambiamento che per compiersi avrà ancora bisogno di passi progressivi e soprattutto di numerosi testimoni. Un processo che dovrà ancora coinvolgere chi ha il compito di nutrire ma che soprattutto dovrà arrivare, forte, a coinvolgere chi ogni giorno sceglie come nutrirsi: noi tutti in quanto consumatori e ospiti delle piccole e grandi tavole a tutti i livelli, chiamati a comprendere qual è il nostro ruolo - addirittura il nostro potere - sulla lunga strada di una sostenibilità capace di andare fino in fondo.

Una sostenibilità che - hanno dimostrato e continuamente dimostrano Viviana e Leonor - è sì legata al rispetto della natura, dei suoi ritmi, dei suoi equilibri, ma tanto più è legata alla presenza dell’uomo in questo delicato ecosistema: una questione sociale e allo stesso tempo economica, ambientale e culturale. Una sostenibilità che ha a che fare, per esempio, col recupero degli ingredienti delle origini, con la conoscenza e la conservazione della memoria gastronomica di ogni piccola comunità locale, con il sostegno che la cucina - soprattutto quella del fine dining, grazie alla sua forza economica e al traino potenziale della sua visibilità - può assicurare ai piccoli produttori, a coloro che resistono ma anche a coloro che ricominciano, laddove in ogni parte del mondo nuove generazioni di giovani agricoltori consapevoli stanno con audacia scommettendo su questo ritorno ad una rispettosa autenticità della nostra relazione con la terra.

Formica dalla testa grossa e cacao macambo

Formica dalla testa grossa e cacao macambo

Cernia e balù

Cernia e balù

Tonno, mañoco, formica culona

Tonno, mañoco, formica culona

Ecco che la cena a quattro mani delle due cuoche in Sicilia - dove Viviana Varese ha ormai da due anni trovato un terreno ancor più fertile, ancor più utile, per continuare a realizzare questa sua ostinata testimonianza di un cambiamento possibile - si è trasformata in un piccolo, ragionato, non urlato manifesto di queste idee. Attraverso le materie prime e le tecniche.

Leonor Espinosa ha portato nel suo percorso - affascinante e colta narrazione di innumerevoli memorie sudamericane, intrise di storie sconosciute ed evocazioni magiche - due diversi tipi di formiche, antiche varietà di cacao amazzonico, frutti di piante leggendarie, pesci del Pacifico.

Subito intrigante, l’esordio dedicato alla cosiddetta Formica culona, di cui il gruppo etnico colombiano Huitoto ha preparato l’emulsione che la chef ha servito sotto un filetto di tonno albacora proveniente dalla pesca artigianale nell’oceano, dentro una foglia di mañoco croccante. E direttamente provocatoria per i timidi palati occidentali la prosecuzione con le Formiche dalla testa grossa, parte integrante delle tradizioni culinarie delle comunità indigene dell’Amazzonia, arrostite e servite su una dolcissima crema di cacao Macambo, trasformato in un vero e proprio formaggio vegetale. Un passaggio che avrebbe potuto far da dessert, ma che è stato invece preludio per giungere alla Cernia su salsa di chontaduro con balù (o chachafruto), una sorta di fagiolo ad alto contenuto proteico legato alle leggende dei nativi della Valle di Sibundoy (Putumayo), che subirono una carestia nel 1915 da cui si salvarono proprio grazie a questo seme. L’approdo, infine: una sublime guancia di maialino, una vera pralina ispirata alla tradizione colombiana dei frijoles con garra - fagioli con le zampe di maiale -, qui cotta con una specie endemica di fagiolo chiamato diablito, proveniente da Montes de María e caratterizzato dalla sua grana piccola e dal colore rosso porpora.

A fare da strutturato controcanto a questa piccola enciclopedia esotica, la cucina di Viviana Varese si è andata rivelando ancora una volta come espressione di una lucidissima capacità di lettura della radice mediterranea della cucina siciliana, lei che da milanese adottiva è venuta a studiarla senza il pregiudizio della consuetudine che talvolta offusca la visuale dei pur autorevoli interpreti locali del territorio. Nei suoi piatti non solo gli ingredienti - molti dei quali provenienti dall’orto produttivo che Villadorata ha affidato alla cooperativa Si Può Fare, che a Noto si occupa di promuovere attraverso l’agricoltura l’integrazione sociale e l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati - ma anche le tecniche, che - come nei suoi percorsi di degustazione proposti quest’anno - puntano al recupero dell’uso basilare degli elementi della natura al servizio della cucina - l’aria, l’acqua, la terra e il fuoco -, origine ancestrale del modo in cui l’umanità ha imparato che poteva trasformare e conservare il cibo.

Pompelmo, ricotta, ceviche e capperi

Pompelmo, ricotta, ceviche e capperi

Trippa e lumaca

Trippa e lumaca

Tutti i piatti del 4 mani

Tutti i piatti del 4 mani

Sul fuoco, soprattutto, ha passato il Pompelmo alla brace accompagnato alla crema di ricotta affumicata con ceviche di aguglia imperiale e capperi di Salina, e la Patata alla cenere accompagnata al calamaretto spillo cotto tra le foglie di limone di Villadorata, mentre dalla terra di Noto ha scelto le lumache - che incredibilmente quasi nessuno da queste parti utilizza in cucina, pur essendo così presenti nei ricettari della tradizione contadina - per un’insospettabilmente elegante Trippa al pomodoro con pane croccante.

L’unicità e la personalità di una tale ricchezza di risorse provenienti da due terre così lontane, ha fatto sì che due identità così diverse potessero intrecciarsi con coerenza, in una degustazione i cui piatti valgono davvero da ambasciatori della forza trasformatrice della gastronomia.


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Concetta Bonini

classe 1987, giornalista professionista testardamente modicana, sommelier in formazione permanente. Attraversa ogni giorno le strade del “continente Sicilia” alla ricerca di storie, persone e imprese legate alla cultura del cibo e del vino. Perché ogni contadino merita un romanzo

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