27-09-2020
Gianni Dezio, classe 1986, dal maggio 2014 al timone di Tosto ad Atri (Teramo)
Ci si innamora. Di uomini, di donne. Di storie, idee e progetti. Ci si innamora di sogni grandi e piccoli. Quante volte e quanto intensamente è la variabile impazzita: ogni vita ne decide i momenti, l’impeto con cui farlo accadere, quanti solchi lasciare nell’anima e nel cuore, a che profondità. A volte capita di innamorarsi di posti, di paesaggi, di ritmi e tempi rarefatti. Di sensi d’appartenenza e identità a cui far ritorno. È quello che è capitato a Gianni Dezio e a sua moglie Daniela Trabucco, che dal Venezuela in subbuglio hanno ritrovato nella provincia abruzzese riparo, tranquillità locali, radici familiari.
E le loro prospettive: di Atri (Teramo) si sono (r)innamorati, quel tanto che è bastato per decidere di dar vita qui al loro disegno preciso, di senso e sensibilità. Lo hanno fatto in questi luoghi anche se altrove sarebbe stato più semplice, con l’approccio di chi pensa globale e sa agire locale, intrecciando salde e forti le proprie idee al territorio tutt’intorno, ai suoi prodotti, alle persone che lo animano. Soprattutto lo hanno fatto con l’apertura mentale di chi guarda fuori - lontano - ed è capace di tornare indietro, a casa, in un posto dove ci vuol talento anche a rimanere, nel romantico tentativo di un sentimento che diventi compreso e corrisposto, solido nel tempo che verrà.
Parecchi fuochi d’artificio, alti e lucenti, sono arrivati dalla cucina di quel Tosto: una storia di sobbalzi dei clienti dalle sedie, di piatti audaci, d’identità assecondate con pennellate ampie, coloratissime. Non era facile fare una cucina così, non era scontato saperla fare senza finire per risultare artificiali, troppo distanti da contesti e dinamiche ben radicate. Per affrontare lockdown e ripartenza qui c’era bisogno di idee nuove, energie intatte, menti libere.
Soprattutto bisognava tenere saldi gli obbiettivi, cambiare quel minimo le strategie per andare incontro a situazioni nuove imposte da questi tempi sballati. Senza rinnegarsi e dilapidare quanto di buono costruito con sacrificio, ma trovando le chiavi di lettura giuste per valorizzare ancor più se stessi, il proprio lavoro e le sue peculiarità. Insomma: quello che rende davvero unici.
Da Tosto sono riusciti nell’impresa: “Non sappiamo stare fermi e non riusciamo a subire passivamente le situazioni” racconta Gianni “quindi ci siamo rimboccati le maniche e adattati alle esigenze del momento”. Anche quando le giornate si sovraccaricavano di pensieri grigi e qualche paura, date mille incognite, iniziava a fare capolino.
Ovviamente anche il menu della riapertura è stato oggetto di grandi attenzioni: i piatti continuano a seguire le linee di percorso e gli sviluppi personali dello chef. Sono sempre più essenziali, di grande pulizia visiva e gustativa: pochi ingredienti, scelti con puntiglio e conoscenza, chiudono il circolo virtuoso che si intreccia felicemente con la filiera di prossimità. Vengono accostati con ordine, armonia, intelligenza. I sapori restano intatti, esplosivi. Si cerca di andare incontro a una clientela più trasversale, facendo cose più immediate e comprensibili possibile: “Ho semplificato, cercato di essere più diretto sperando di non aver tralasciato la “sostanza”, che nella mia idea di cucina non deve mai venir meno. Poi se dietro un piatto c’è più lavoro, studio, tecnica è un “problema” nostro, che non voglio far arrivare ai commensali: questo è il momento in cui devono soltanto sentirsi a proprio agio e mangiar bene”.
Quelle che arrivano a tavola sono intuizioni pure del ragazzo di Calabozo: scintille creative, identitarie, coraggiosamente aderenti ai contesti in cui muovono. C’è tutto un microcosmo che vale la pena esplorare: come se i sapori siano calati da chissà quale cielo direttamente sui calanchi, messi a ballare una musica tutta nuova tra ceviche e zafferano, mole poblano e liquirizia, arepa e agnello atriano. Dezio è il qui e l’adesso, ma anche il futuro che sta per accadere. La penna che dovrà scrivere il racconto moderno di queste parti, chi dovrà mostrare agli altri nuove possibilità.
Anche se non è stato capito e assecondato subito, l'amore “di ritorno” delle persone che lo circondano lo sta guadagnando con duro lavoro e pazienza, e con la componente di fatiche inevitabili se ci sono da scardinare resistenze al nuovo e alle cose ignote, diverse. A lui va riconosciuta una vocazione piuttosto immediata (e marcata) a percorrere la propria, di strada; anche quando si imponevano altre velocità, più prudenze. Ogni volta s’è dato il suo, di ritmo, anche se non sempre ha combaciato con gli altri tutt’intorno.
Ma con questi luoghi e questa gente, alla lunga, s’è saputo connettere: ne sta venendo fuori il racconto di un Abruzzo periferico (ma solo per la geografia) mai così vibrante, e di un Sudamerica che non era stato mai così vicino, da queste parti. Una cosa irragionevole, a pensarci bene. Ma irresistibile.
Qualche assaggio del nuovo menu.
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
di
abruzzese, classe 1979, nel mondo della comunicazione dal 2001. Negli ultimi anni ha maturato una specie di ossessione per la ricerca continua di cuochi emergenti. Mangia, beve, scrive: di territori e ingredienti, di produttori e cuochi. E scatta tante foto, per non dimenticare nessun particolare
Dall’Italia è una narrazione in continua evoluzione di tutto il buono che racchiude in lungo e in largo il nostro Belpaese. Una rubrica che ci porta alla scoperta delle migliori trattorie, i ristoranti più esclusivi, osterie, tra le vette più alte o in riva al mare. Delizie che non possono sfuggire alle rotte dei più entusiasti viaggiatori.