25-05-2020
Dice Severino Salvemini - economista, docente alla Bocconi (è pronipote di Gaetano Salvemini), ma anche studioso della ristorazione di alta gamma e Ambasciatore del Gusto - che da questa difficile contingenza la ristorazione italiana potrà uscire indenne se inizierà a dismettere i panni un po' romantici che le sono abituali, uno storytelling ormai retrò, per imparare ad applicare in modo puntuale i semplici ma necessari principi d'impresa: analisi della struttura dei costi, attenzione all'economia di scala, apertura (anche mentale) alla standardizzazione di altissima qualità, revisione delle spese fisse andate troppo fuori controllo, flessibilità della proposta... Il senso generale è: quella ristorativa (anche di alta fascia) è un'impresa come tutte le altre (anche di alta fascia: il parallelo è costante); non si comprende allora perché vuole pensare di sfuggire alle dinamiche che sono proprie di queste realtà. All'estero l'hanno capito da tempo, mentre in Italia la presa di coscienza risulta ancora troppo poco diffusa; ma proprio la crisi Covid-19, che comporterà una sorta di selezione darwiniana con la chiusura di molte imprese ristorative improvvisate, rende necessaria una maggiore acquisizione di un vocabolario manageriale. E forse ci restituirà domani un sistema ristorativo nazionale più solido, consapevole, preparato, contemporaneo.
Dice queste cose, Salvemini, formulando schematicamente nove "regole auree" per la ripartenza: sono indicazioni di principio, che vanno ovviamente declinate rispetto alle singole realtà. Ma indicano un percorso per il futuro, un vademecum di principi che devono accompagnare la rinascita, pena il permanere nel Paese - a fronte delle sue evidenti eccellenze gastronomiche - di un certo nanismo imprenditoriale che il settore ha pagato caro anche in termini di capacità d'ascolto da parte delle istituzioni.
Severino Salvemini
Ed ecco le regole. Con una premessa: vi sono, intanto, alcune precondizioni alla riapertura.
1 - Si riapre solo con grande attenzione per la salute dei dipendenti e dei clienti. È la prima priorità Non necessita di ulteriori commenti.
2 - Occorre un protocollo ragionevole con regole chiare, anche se sufficientemente differenziate perché ci sono situazioni diverse (spazi aperti e chiusi; take away di basso e di alto livello; pranzi al banco; differenze tra trattorie ed esercizi esclusivi di alta gamma) «Parlo di "ragionevolezza" e diventa un tema politico. Chi dice cose è ragionevole? Il Comitato tecnico-scientifico. Cosa sa del business della ristorazione? Niente. Ci dobbiamo allora fidare: ci impongono delle scelte, speriamo che siano quelle giuste. Detto questo, ora la cosa più importante è avere perlomeno un protocollo chiaro e definito: se è così, si è in grado di far due conti e quindi valutare l'opportunità di riaprire l'impresa. Ciò che sicuramente oggi ancora manca - ma penso che emergerà per successivi aggiustamenti - sono protocolli differenziati: la mensa aziendale, il chiosco di panini e il locale con dieci tavoli a Portofino sono cose diverse, con frequentazione del pubblico, spazi, fruizioni diverse. Quindi servono regole specifiche».
4 - La crisi (come sempre avviene, vedi la crisi 2007-17) spiazza la ristorazione improvvisata, quella senza identità «Il ristoratore deve sapere che l'identità del proprio locale significa elaborazione di un servizio specifico, che abbia una personalità. In questi ultimi anni, rispetto allo scenario economico generale, è sembrato che aprire un esercizio di ristorazione fosse "troppo" facile. Invece si tratta di un'esercizio che deve avere identità, cultura aziendale, dipendenti che vanno formati... Se queste cose non ci sono, allora alla prima crisi la selezione è darwninana. Ed è quello che sta accadendo».
6 - Ci siamo riabituati a ricette di famiglia. Questo comporta un certo ritorno al cibo popolare e ai piatti più autentici, dove si rispecchia l’affetto, il sorriso e le emozioni. In questo periodo abbiamo riscoperto le ritualità e le cerimonie del nostro Paese «Si riparte con nuova creatività, con nuova filosofia? Ho grandi dubbi nei confronti di chi sostiene che tutto sarà in cambiamento. Invece penso che questi mesi ci abbiano lasciato in eredità un'attenzione particolare alla nostra cultura alimentare: la riscoperta delle tradizione, il lascito gastronomico dei nostri avi, le forti radici regionali... Non sto certo dicendo che un ristorante di alta gamma deve tornare alla tradizione pura e semplice: c'è sempre rielaborazione oppure ricerca, in molte forme (si pensi alla retroinnovazione postulata da Corrado Assenza, ndr). Ma penso ci sarà voglia di riscoprire l'Italia».
Bioesserì a Milano
Severino Salvemini mentre parla a un convegno degli Ambasciatori del Gusto
Niko Romito a Identità Golose
Il tema è ricorrente: «Da un po' di tempo a questa parte, gli chef hanno a interrogarsi su questi aspetti. Trovando anche soluzioni possibili, penso agli Alajmo che si sono fatti aiutare da un partner e si sono dunque sviluppati con l'ausilio di un fondo di private equity. Ovvio che la loro concentrazione massima sia verso la cucina; ma forse è persino giusto così, perché la formula corretta non è necessariamente che uno chef divenga anche manager, bensì che si sviluppi una sorta di doppia leadership. In generale, siamo però ancora abbastanza indietro. Non è un caso se grande parte dei ristoranti stellati degli anni Settanta sia scomparsa: la logica del cuochi non contempla la perduranza dell'impresa, si basa piuttosto sul ciclo di vita personale. È un assurdo, non accade in nessun altro settore economico: negli altri campi, quando il proprietario inizia ad avvicinarsi all'ora della pensione, gestisce il passaggio generazionale. Chi l'ha fatto bene, in Italia? Pochi: Aimo e Nadia Moroni, che hanno lasciato ai loro collaboratori, o i Santini, a favore dei loro figli. Casi rari».
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
a cura di
classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it Instagram: carlopassera
«Convinta da sempre che il cibo sia il miglior mezzo, e anche il più potente, di trasmissione culturale, diventare un’Ambasciatrice della mia cultura è stato un passo assolutamente naturale. Un’ambasciatrice della cultura sia americana, disdegnata da molti su basi spesso inesistenti o stereotipi ormai superati, sia, ovviamente di quella Italiana» dice la chef Cristina Bowerman. Nella foto è col console generale Alessandro De Masi
Il mastro fornaio Francesco Arena, dell'omonimo forno, assieme a Pasquale Caliri, chef del ristorante Marina del Nettuno Yatching Club, ovvero i due Amabasciatori del Gusto, originari di Messina, ospiti a Identità Golose Milano lo scoroso giovedì 30 marzo