30-04-2020
Nicola Cesare Baldrighi
Il Consorzio Grana Padano è nato nel 1954: sono quindi più di 65 anni che riunisce produttori, stagionatori e commercianti del formaggio Grana Padano per garantire il rispetto della ricetta tradizionale e la sua alta qualità, riconoscibile e ritrovabile in ogni singola forma prodotta. Un compito importante, per tutelare un grande patrimonio del nostro paese: un patrimonio culturale, alimentare, storico e socio-economico, che doveva e deve essere riconosciuto, sostenuto, protetto.
Nello svolgere questa funzione così preziosa, capita di dover affrontare momenti più difficili e cruciali di altri. Le settimane che stiamo vivendo, immersi nostro malgrado nella crisi globale causata dalla pandemia di Covid19, rappresentano certamente una delle circostanze più complicate da molti anni a questa parte. Anche per la difficoltà di prevedere oggi cosa potrà accadere nei prossimi mesi. Abbiamo raggiunto Nicola Cesare Baldrighi, dal 1999 Presidente del Consorzio Grana Padano, per ascoltare le sue riflessioni e i suoi ragionamenti alla luce di questi avvenimenti.
Come valuta la situazione che stiamo attraversando? Quali sono i pensieri che più le tornano in mente in questi giorni come Presidente del Consorzio Grana Padano? E' piuttosto evidente che stiamo vivendo un momento difficile, ed è soprattutto difficile farsi un’idea di come le cose potranno svilupparsi nei prossimi mesi. Abbiamo a che fare con qualcosa che ci condizionerà ancora a lungo: quello che stiamo vedendo abbastanza chiaramente, nel mondo dell’alimentazione e della produzione alimentare, è un cambiamento repentino dei canali di distribuzione. A causa delle chiusure forzate si è bloccato tutto il canale della ristorazione e del food service, il settore che chiamiamo Ho.Re.Ca., mentre ha ripreso un notevole slancio il retail. Si tratta di una drastica "inversione a U", avvenuta in pochi giorni, di una tendenza che si stava consolidando di anno in anno, ovvero la costante crescita dei consumi fuori casa. Ma anche dei cibi pronti, che in qualche modo possiamo considerare una derivazione dei consumi fuori casa, rispetto agli acquisti delle famiglie. Stavamo ragionando da tempo sul tema del consumo fuori casa, per cercare di mantenere lo stesso appeal che il nostro prodotto ha sugli scaffali dei supermercati, dove il marchio ha una sua evidenza e un suo rilievo, mentre nella ristorazione questa riconoscibilità del marchio rischia un po’ di diluirsi, di perdersi. Ora dobbiamo assistere a una specie di ritorno al passato, per così dire.
Una difficoltà che vive il Consorzio, ma che immaginiamo vivano anche singolarmente le varie aziende consorziate. Certo, questi avvenimenti oltre a imporci un cambio di strategia, hanno anche costituito un terremoto in tutto il mondo commerciale: quelle aziende che avevano impostato la loro attività e la loro organizzazione sul canale dell’ospitalità e della ristorazione si sono trovate le porte chiuse dappertutto. E reinventarsi non è facile in questo momento. Direi anzi che purtroppo molte di queste aziende si sono fermate, hanno ridotto drasticamente i loro volumi. Mentre chi era più orientato al retail ha beneficiato di questo spostamento dei consumi. Il mercato subisce simili scossoni, portando tutte le quotazioni verso il ribasso. Sia per il cambiamento così veloce e categorico della situazione, ma anche per lo stato di incertezza che stiamo vivendo. Nulla mette in apprensione i mercati come l’incertezza, il non poter programmare o prevenire una certa situazione economica.
Per il Consorzio Grana Padano il mercato italiano è certamente importantissimo. Ma cosa sta succedendo sui mercati esteri? Abbiamo constatato un ritorno importante del settore retail non solo sul mercato nazionale, ma anche, in modo sorprendentemente favorevole, negli altri mercati della comunità europea: le vendite in Francia, in Germania, in Spagna stanno andando veramente bene. E compensano almeno in parte le mancate entrate dal canale Ho.Re.Ca. anche all'estero. Siamo quindi tornati a una modalità di consumo classica, che ben conosciamo, così come conosciamo il lavoro da fare in comunicazione: bisogna spingere sul marchio, sui mezzi classici della stampa, della radio e della televisione. Poi ovviamente ogni paese ha delle sue caratteristiche specifiche, però questa è la direzione che abbiamo intrapreso.
Come avete affrontato l'esigenza di coniugare produzione e sicurezza sui luoghi di lavoro in queste settimane? Con l’organizzazione consortile abbiamo adattato le nostre attività di ufficio allo smart working, in ufficio è rimasta una sola persona per rispondere al telefono e coordinare le attività degli esperti che vanno nei caseifici per classificare il formaggio e svolgere le selezioni. Peraltro, in questi due mesi, proprio per limitare il più possibile le interazioni superflue, abbiamo messo a disposizione dei caseifici gli strumenti per marchiare il formaggio, ma il compito di selezione e marchiatura l’abbiamo lasciato in capo ai singoli caseifici, riservandoci di fare una valutazione a posteriori. Come sempre succede, quando il professore chiede allo studente di darsi un voto da solo, quel voto risulta un po’ più basso di quello che avrebbe assegnato il docente. Anche in questo caso i nostri soci si sono dimostrati addirittura più severi nei controlli di noi. Questo ci tranquillizza in ogni senso sulla qualità finale del prodotto. Nei caseifici, oltre a tutte le misure di precauzione che conosciamo - le mascherine, i disinfettanti - si è cercato di creare delle condizioni di lavoro idonee alla situazione. I turni di lavoro in un caseificio, già in condizioni normali, sono abbastanza cadenzati, perché ci sono dei tempi molto precisi e scanditi: c’è il momento del ricevimento del latte, la fase dell’affioramento che richiede alcune ore, la fase della lavorazione vera e propria, le forme poi sostano sotto siero, poi vengono messe nelle fascere, le fascere devono essere ribaltate 12 ore dopo, poi dopo tre giorni le forme vanno portate in salina...insomma, c’è tutta una cadenza temporale che in parte aiuta il distanziamento tra i lavoratori, che è stato appunto l'obiettivo più importante che si sono posti i nostri caseifici.
Molte delle aziende del Consorzio Grana Padano si trovano nelle zone più colpite dall'epidemia nel nostro paese. Sì, è così, questa situazione ha coinvolto in modo pesante tre delle province più rilevanti per la produzione di Grana Padano: Cremona, Brescia e Piacenza. Per questo motivo, in diversi caseifici il problema della manodopera è stato serio. Ci si è trovati, soprattutto nel mese di marzo, con una forte carenza di personale: non tanto per il contagio diretto dei lavoratori, ma per gli obblighi di fare i 15 giorni di quarantena che hanno coinvolto molti dipendenti. Chi aveva avuto un parente malato, chi un conoscente, chi aveva dovuto frequentare un ospedale...tutte circostanze che hanno ridotto notevolmente la forza lavoro. Problematiche che si sono rivelate contestuali al periodo di maggiore consegna del latte, che è proprio la primavera. In particolare marzo e aprile sono i due mesi in cui c’è il piccolo della produzione, semplicemente per un fattore di carattere stagionale. Quindi ci siamo trovati nel momento di maggior impegno, con la maggior quantità di latte che arrivava ai caseifici, e con il minor numero di persone a disposizione per lavorarlo. Questo ha messo alcuni caseifici nella condizione di dover cedere parte di questo latte, in un momento in cui il mercato, proprio per l’abbondanza della produzione, non è mai particolarmente brillante: in questo frangente lo era ancor meno. Si sono quindi sommati una serie di fattori negativi.
Per concludere, cosa si augura che possa accadere nelle prossime settimane? Non posso che augurarmi che si ritorni a una completa apertura di tutte le attività. Abbiamo osservato un periodo estremamente rigoroso di contenimento dei movimenti, dei contatti e delle attività, ma tutto questo non può che avere una durata temporalmente limitata, altrimenti rischiamo di usare una terapia che avrà conseguenze comunque gravi sulla comunità. Se si dovesse allungare questo tempo di chiusura, i risultati sarebbero davvero drammatici. Il mio auspicio è quindi che si possa sbloccare gradualmente questa situazione, evidentemente usando tutte le precauzioni del caso. Dobbiamo anche considerare che tutto questo ci ha colti di sorpresa, ci siamo trovati sprovvisti di qualsiasi mezzo di cautela o di difesa di fronte a questo attacco, ma ora abbiamo iniziato a conoscere gli strumenti di prevenzione che possiamo mettere in atto, c'è maggiore consapevolezza delle persone, dunque anche una maggiore capacità di gestire la situazione, che credo possa guidarci verso la riapertura delle attività. Con una particolare attenzione proprio per quel settore dell'ospitalità e della ristorazione di cui abbiamo parlato poco fa.
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
a cura di
Giornalista milanese. A 8 anni gli hanno regalato un disco di Springsteen e non si è più ripreso. Musica e gastronomia sono le sue passioni. Fa parte della redazione di Identità Golose dal 2014, dal 1997 è voce di Radio Popolare