Ueda Satoru, del ristorante stellato Gardenia di Mariangela Susigan, è il vincitore della sesta edizione del concorso The Vegetarian Chance, che si è svolto a Torino negli spazi del ristorante di Edit. È la prima volta che vince un giapponese dopo che dal 2016 il concorso ha sempre annoverato tra i suoi partecipanti almeno uno proveniente dal paese del Sol Levante. Alle spalle di Satoru si sono piazzati a pari merito il belga Sylvester Schatteman del ristorante Hofke Van Bazel e Hayao Watanabe del ristorante Franceschetta di Modena.
La giuria, presieduta da Pietro Leemann, era composta da Marco Lanzetta, medico chirurgo vegano; Salvatore Alessandro Giannino, nutrizionista; Marco Sacco, chef del Piccolo Lago; Edoardo Ferrante, vegan chef de L’Orto già salsamenterio; Carlo Passera, giornalista di Identità Golose.
I piatti vincenti di Ueda Satoru sono stati Zuppa francigena con erbe selvatiche e Bosco e radici con labnè di mandorle. Quelli di Schatteman, Ragù di funghi con patata soffiata e Barbabietola marinata, mentre Watanabe ha presentato Aki (piatto tradizionale giapponese) e "Orata" ripiena piemontese.
«Ueda è molto timido», sorride Mariangela Susigan. Così il podio è per lui, ma microfono e taccuini sono per lei, chef patron da una vita del ristorante Gardenia di Caluso, in Canavese. I due si sono aggiudicati insieme la sesta edizione di The Vegetarian Chance, con altrettanti piatti - uno creativo, l'altro tradizionale, come dettato dalle regole del concorso - che hanno convinto la giuria presieduta da Pietro Leemann. Non è stata tanto - e solo - la bontà delle preparazioni; ma quello che c'è dietro, ossia «43 anni di cucina, nel mio caso - racconta la Susigan - Vale a dire tanta parte della mia vita in simbiosi col territorio, in rapporto stretto con i piccoli produttori. Dobbiamo e vogliamo portare avanti questa battaglia».

Ueda Satoru tra Gabriele Eschenazi e Pietro Leemann, organizzatori della kermesse
Mariangela e
Ueda sono frequentatori abituali dei mercati, ogni giorno: «Quello di Chivasso o l'altro di Porta Palazzo, a Torino. Là troviamo ancora i vecchi contadini, dai quali ci serviamo. Anche nel mio Canavese ho instaurato relazioni stabili coi miei fornitori. E ho il grande
Federico Chierico a Gressoney, azienda
Paysage à Manger: lui è un agricoltore straordinario, io gli chiedo se può piantarmi una certa verdura, se a marzo posso avere un raccolto di quell'altra, e lui si fa in quattro per esaudire i miei desideri. Erano prodotti suoi, quelli con i quali ho preparato i piatti al
The Vegetarian Chance».

Bosco e radici con labnè di mandorle
Il primo, quello creativo, si chiama
Bosco e radici con labnè di mandorle. Raccontiamolo,
Mariangela. «Ce l'abbiamo sempre in carta, cambia a seconda delle stagioni e di quello che troviamo in natura. In questo caso è ovviamente in veste autunnale». Dunque finferli, castagne, scorzonera (cotta e leggermente affumicata), carota gialla, viola e bianca («Sono magnifiche, super-aromatiche, si abbinano allo zenzero, al cipollotto... Io le adoro, mentre quella "moderna", arancione, è acida»), rape di Chioggia. E del crescione di sorgente, «raccolto a Perloz, sempre nella zona di Gressoney. Vado personalmente a procurarmi le erbe selvatiche: in genere nella Val Chiusella, ma di questi tempi, viste le temperature, un po' più su». Questa la versione presentata a Torino, «ma la composizione cambia sempre: pastinaca, navone, che è molto piccante... Ci divertiamo nell'orto, insomma».

La brigata del Gardenia di Caluso
Verdure e radici vengono intinte in un condimento particolare:
labné di mandorla. «Volevamo un piatto vegano e anche senza glutine. Quindi abbiamo fatto fermentare il latte di mandorla, ne abbiamo aumentato l'acidità con un po' di yogurt di soia. Completiamo con un olio di gemme di abete: raccogliamo le gemme a giugno, in stagione, le scaldiamo, le frulliamo e coliamo l'olio, che è verde e viene condito con del sale». Sotto le radici, infine, una base di terra di nocciole (saltate con farina di sorgo tostato e spezie - chiodi di garofano, cannella, un poco di cumino - che servono a dare più sapore al tutto).

Zuppa francigena con erbe selvatiche
Il piatto della tradizione era invece una
Zuppa francigena con erbe selvatiche. «Mi ha sempre incuriosito il fatto che in tutto l'anfiteatro morenico tradizionalmente esistesse una quantità di zuppe diverse, come la
supa mitunà (di cavolo, toma, brodo e pane), essenzialmente invernale, o la
supa d'auiche, ossia di ajucche, erba con sapore molto minerale».
Mancava una zuppa di erbe selvatiche, o meglio c'era ma è dimenticata: supa d'adrej o d'amon. «Era il pasto classico del pellegrino sulla via Francigena. Zuppa medioevale, che utilizzava i prodotti spontanei e stagionali, senza pane» Quindi erbe selvatiche, cereali e legumi, magari castagne. «Ho pensato di studiare un piatto che riportasse in auge quei sapori e quello spirito». Dunque: no pane, ma neanche patate («All'epoca non erano ancora arrivate in Europa») né brodo. Solo acqua con ortaggi (carote gialle, un po' di sedano, fagioli di Cortereggio, un presidio Slow Food) e cereali, soprattutto il sorgo, senza glutine, «che era molto diffuso un tempo anche per l'alimentazione, poi è andato perso, negli anni Settanta lo si dava agli animali e si usavano i suoi rami per produrre le scope di saggina».

Mariangela Susigan mentre raccoglie erbe spontanee
E ancora, alcuni legumi (fave decorticate, ceci bianchi e neri), quindi battuto di prezzemolo, aglio e cumino, «che era utilizzato anche allora». In ultimo, «le erbe che raccolgo: a
The Vegetarian Chance ho messo spinacio buon enrico, ortica dioica e borragine, ma dipende da quello che trovo di volta in volta». Si serve con pane nero.