16-08-2019

Manduria, il sale della vita

Dal maggio 2018, splende la masseria di tre giovani di razza lungo la via che univa le saline tarantine a Lecce e al Nord

I tre motori di Masseria del sale a Manduria in pr

I tre motori di Masseria del sale a Manduria in provincia di Taranto: i titolari Andrea Lippi e Simona Fusco, tutto a sinistra lo chef Marco Marinelli

In sala sono tutti giovani e belli, complici, sincronizzati ai ritmi di una ospitalità puntuale, affabile e discreta. La cucina è materica, concreta, senza eccessi. La cantina robusta. C’è anche un bancone, per la mixology, che fa la gioia di chi gradisce il pairing a pranzo e pure a cena. Il luogo è una masseria del ‘700 a Manduria, ex stazione di posta dove sostavano animali e uomini coi carichi di sale in transito lungo la via omonima, situata lungo la tratta che da Lecce portava verso Nord partendo dalla salina dei Monaci a Torre Colimena, oggi un paesaggio lunare di lastre saline dove bivaccano fenicotteri e gabbiani, con la spiaggia che d’estate si puntella di pancratium maritimum, i gigli di mare, bianchi e profumatissimi, un miracolo che cresce nella sabbia.

Siamo a Masseria del sale, una goccia nel semi-deserto gastronomico della provincia di Taranto, a un soffio da uno dei più selvaggi e seducenti tratti di costa pugliese, per l’esattezza nelle campagne di Manduria ottimamente segnalate dal gps. I padroni di casa contano poco più di 60 anni in due, e sotto i portici della stazione di posta hanno edificato la loro prima vera prova di ristorazione in proprio.

Andrea Lippi e Simona Fusco, una delle coppie più giovani della proposta regionale, sono arrivati all’appuntamento tutt’altro che impreparati: contano un diploma a testa da sommelier, tutti e due sono degustatori professionisti d’olio e acqua. Bartender lei, appassionati di vino entrambi, hanno avuto la capacità di tessere le trame di un servizio straordinariamente performante, allevando un team all’altezza. La crisi di sala, insomma, morde altrove ma non qui.

Da maggio 2018 la cucina è presidio di Marco Marinelli, cuoco classe 1979, 23 anni in giro per il mondo prima di approdare agli anta e tornare a casa. Quasi per caso. Nato a Taranto, la città dove mezza vita fa se ne è partito alla rotta delle isole Bermuda per diventare executive di due ristoranti griffati Tony May. Da lì in Polinesia. Poi in Francia per otto anni. Polonia. Svizzera. Milano. Piemonte. In Italia ha fatto sosta al pass con due stellati di grido che tiene segreti nel curriculum per puntiglio: «In Italia se non dici che sei passato in uno stellato non fai parte del branco», e lui che è di razza strafottente vuole che a parlare siano solo i suoi piatti.

Cita invece, cuore in mano, Marco Colucci e Donato Bufano, i due chef che lo hanno tirato su quando era appena ragazzino avvertendolo: «La cucina ti ruberà la famiglia, il tempo, le feste. E sappi che noi cuochi siamo le puttane della ristorazione, dobbiamo essere sempre pronti al piacere del cliente». Virare verso

casa non era nei programmi, le valigie erano già pronte per rientrare in Piemonte quando qualcuno gli sussurrò nell’orecchio: «Guarda che stanno cercando un cuoco a Masseria del sale».

Da lì a tre mesi il contratto era fatto. Ma il ritorno a casa non si può dire che non sia stato impattante. Perché malgrado gli hashtag e l’emancipazione, la Puglia resta «Una terra difficile da battere, complicato soprattutto conquistare il vicino di casa». Il tipo che in cucina come sua madre nessuno mai, quello indisponibile a esplorare altri gusti oltre lo spettro del salato e del dolce, amaro appena un po’ e solo se si tratta di cicorelle selvatiche da incapriare con le fave.

La strategia messa a punto con i giovanissimi patron è stata dunque quella di pensare due menu: uno porta il nome di Radici, l’altro dell’anno in corso. Nel primo è tutto uno scialarsi nella tradizione. Il secondo quello dove trovano cittadinanza i piatti più creativi, che in comune con l’altro percorso hanno una mano capace di giudizio e di misura. Se gli costa trattenere gli azzardi per offrire agli ospiti una cucina rassicurante, tutta modulata entro uno spettro di sapori

Spaghettone Cavalieri, cozze e pecorino Stella di Cecca

Spaghettone Cavalieri, cozze e pecorino Stella di Cecca

noti? «Ma no, lo dico francamente. Condivido con la maggior parte delle persone che siedono alla nostra tavola lo stesso codice culinario, la stessa memoria che comprende le fritture di paranza, il pesce fresco alla brace o al sale». Certo, come negare che «La mia gioia più grande è quando sulla comanda leggo: fai tu».

L’intelligenza del cuoco, nel caso di specie, si svela in piatti che mettono d’accordo tutti ma dribblando ad arte i luoghi comuni. Vedi lo Spaghettone Cavalieri, cozze del secondo seno del Mar Piccolo e pecorino. Un’astuzia magnificamente riuscita, a mezzo fra la tradizione ultra-local e ultra pop di mangiare cozze e pecorino, e lo spaghetto alle cozze tarantine. Per inciso, lo chef predilige quelle del secondo seno che presentano note più dolci che sapide, a causa delle sorgenti d’acqua dolce che sboccano nella crosta sottomarina, chiamati citri. Piatto povero ma super goloso, riscattato dalla letteratura dell’indigenza, anche grazie a un super pecorino firmato Stella di Cecca, casari di Altamura.

Stesso percorso mnemonico che ha dato vita a un altro primo-signature di Masseria del sale, le Candele ricci cacio e pepe, servite al taglio (leggi: l’enorme formato di pasta Gentile si taglia col coltello al tavolo) con una colatura di prezzemolo. Come dire, dai classiconi del ricettario regionale italiano a minime e intuitive variazioni su tema, eseguite come solo può un cuoco certo d’avere il mestiere in tasca (e niente grilli per la testa).

Postille: Masseria del sale è un ristorante dog friendly. E lo rivendica con orgoglio. La trovate sulla Via per Lecce al km 2, Manduria (Taranto); telefono +39.349.3871021; e-mail direzione@masseriadelsale.it.


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