30-07-2019

Michelangelo Mammoliti: la mia cucina come Bohemian Rhapsody

Parole, piatti, musica, memorie e tanto altro sullo chef de La Madernassa. «Il piatto della nostalgia? Il pollo di nonna Tita»

Michelangelo Mammoliti davanti alla serra che, con

Michelangelo Mammoliti davanti alla serra che, con l'orto e il giardino, innerva di idee e evocazioni la sua cucina, a La Madernassa di Guarene (Cuneo)

Nel luogo esatto dove le Langhe abbracciano il Roero sorge il ristorante La Madernassa, diretto dallo chef stellato Michelangelo Mammoliti, formatosi alla corte di molti tra i migliori colleghi del panorama mondiale: Gualtiero Marchesi, Stefano Baiocco, Alain Ducasse, Pierre Gagnaire, Yannick Alléno.

Sono tre le parole chiave del suo modo di fare cucina: esigenza, eccellenza e rigore. Il tutto, combinato alla profonda passione che Michelangelo riversa in ogni suo piatto. La sua cucina cerca di esaltare i profumi e i colori della sua terra: il Roero e le Langhe. E per fare ciò, sceglie spesso prodotti inusuali e dimenticati come le radici, i fiori, i germogli e le erbe selvatiche. Elementi donati dalla natura agli “artigiani della cucina”, che non possono far altro che riconoscerne la loro estrema bellezza e bontà.

Mammoliti e i pomodori

Mammoliti e i pomodori

Intorno a questo ha sviluppato, insieme alla psicoterapeuta e docente all'Università di Torino Francesca Collevasone, uno studio sul cervello umano, nato dalla necessità di Michelangelo di capire come fare a creare dei piatti che fossero in grado di suscitare emozioni, attraversando dei ricordi ben precisi.

Abbiamo intervistato Michelangelo Mammoliti, che giorno dopo giorno propone ciò che la natura decide di offrire nel massimo rispetto delle materie prime, direttamente nel suo orto e nella sua serra.

 

Se la tua cucina fosse un dipinto, un romanzo, un disco o una poesia, quale sarebbe?
«La mia cucina è la risultante di tante esperienze connesse con la mia famiglia, con la natura, oppure legate alla mia infanzia e, in età adulta, al periodo francese. Ricordo in particolare una chiacchierata con Marc Meneau nelle cucine del suo ristorante - L’Espèrance - in cui mi disse che una delle cose più importanti nella ristorazione era non annoiare mai i clienti, fare in modo che i piatti abbiano sempre qualcosa di diverso e stimolante e siano sempre riconducibili al tuo stile personale, senza limiti creativi, come una rapsodia musicale. Per questo, se dovessi scegliere un’espressione artistica per raccontare la mia cucina, direi sicuramente una canzone, Bohemian Rhapsody dei Queen, sia per la mia passione per il rock, sia perché questo brano è complesso, vario, armonico, creativo, ritmato e libero allo stesso tempo. Proprio come me».

 

La cucina è memoria o divertimento? E perché?
«La cucina è memoria, profumi, sapori. Sono da sempre convinto che senza memoria non avremmo un ricordo gastronomico legato ai sapori e ai profumi, e senza di esso non esisterebbe tutto quello che conosciamo e riconosciamo a livello sensoriale. Il lavoro che ho realizzato con la dottoressa Collevasone sulla memoria cognitiva e sullo studio del sistema limbico mi ha aiutato a decifrare i miei ricordi e riportarli nei piatti. Oggi le mie ricette sono memoria e divertimento allo stesso tempo. O, almeno, questo è nelle mie intenzioni. Per la resa finale, bisognerebbe chiedere a chi viene a mangiare da noi al ristorante».

 

Quando vai in un altro Paese, dove decidi di mangiare? Come scegli il locale?
«Scelgo i locali in base a tre regole: profumo, distanza e frequentazione. Mi faccio in primis guidare dagli odori che sento in strada: fidarsi del proprio naso è fondamentale. Non scelgo mai i locali troppo vicini a snodi turistici o punti di grande interesse dove si ammassano le persone. Chiedo sempre agli abitanti del luogo di consigliarmi dove mangiare. Insomma, preferisco ritrovarmi in un locale thailandese e non capire una parola di quello che dicono, piuttosto che circondato da europei che mangiano un hamburger nel centro dei Bangkok».

 

Dove ti piacerebbe andare in vacanza? E quando arrivi in un posto nuovo, cerchi subito il ristorante da provare?
«La mia prossima meta è sicuramente il Sud America. Dopo aver viaggiato per diversi anni in Asia, ho la necessità di scoprire nuove varietà di prodotti vegetali ed erbe, nuovi sapori e nuove culture che per ora sto studiando da lontano. In questi miei viaggi tra i continenti c’è sempre Simona, la mia compagna, che condivide con me il desiderio di “perdersi” dentro nuove culture. Partiamo ogni volta con l’idea di rilassarci dopo un anno di duro lavoro, ma finisce sempre che la nostra curiosità e il nostro istinto da viaggiatori backpacker ci guida verso i mercati più pittoreschi, i posti più improbabili e isolati, quando non addirittura a casa degli abitanti del luogo. Credo sia lì che impari davvero la cucina di un Paese. All’estero, soprattutto in certi angoli remoti, gli abitanti hanno un rapporto particolare coi visitatori, uno spirito di accoglienza che da noi sarebbe impensabile. Finisce che ti immedesimi nella cultura locale, inizi a rispettarla e comprenderla e ti adatti ai loro usi e costumi. Prediligo sempre la cucina del posto e lo street food, ma allo stesso tempo voglio testare il livello gastronomico dei ristoranti fine dining, per mia naturale deformazione professionale. La mia cucina è fatta anche di questi ricordi e dei sapori che “rubo” durante i viaggi in giro per il mondo».

 

Quali sono le tue fonti d’ispirazione per creare un piatto?
«Prendo ispirazione da quello che faccio ogni giorno: andare nell’orto al mattino, confrontarmi con chi fa parte della mia vita, compreso il giardiniere, osservare una semplice foglia, esplorare nuovi posti, scalare le colline delle Langhe o le montagne della Val di Susa in bicicletta o pescare una trota in un torrente. Bisogna essere ricettivi e assorbire, guardando con occhio attento tutto quello che vediamo».

 

Come trascorri i momenti in cui non sei in cucina?
«Trascorro i momenti fuori dalla cucina in compagnia di Simona, andando in montagna o dedicandomi alle mie passioni secondarie, il ciclismo e la pesca. Quando non sono a La Madernassa cerco di staccare completamente, di evadere, e riesco a farlo solo a stretto contatto con la natura. Mi rigenero e scopro a fine giornata di aver assimilato nuovi stimoli anche senza rendermene conto. Penso che lo sport sia basilare nella vita di ognuno, ti rende una persona migliore, per te stesso e per le persone che ami».

 

Spaghetto al bbq: cotti prima in acqua, poi in pentola con un’estrazione di prosciutto di Cuneo e infine sul barbecue; conditi con olio e croccante dello stesso salume

Spaghetto al bbq: cotti prima in acqua, poi in pentola con un’estrazione di prosciutto di Cuneo e infine sul barbecue; conditi con olio e croccante dello stesso salume

Ti piacerebbe essere ricordato per aver creato quale piatto?
«Mi piacerebbe essere ricordato per i piatti legati alla memoria come Spaghetto al bbq, Cubix e Ultra-violet. Sono piatti che parlano di me. Vorrei trasmettere alle persone che li assaggiano la stessa emozione che ho provato io nel crearli».

 

Cubix: clicca qui per descrizione e ricetta

Cubix: clicca qui per descrizione e ricetta

Ultra-violet

Ultra-violet

I tuoi piatti devono lasciare in bocca il sapore di… 
«Più che in bocca, vorrei che lasciassero un segno sul viso. Mi piacerebbe che all’assaggio seguisse quel sorriso sincero, che scaturisce in automatico quando un sapore o un profumo ti stimola quel punto particolare del cervello che ti fa tornare alla mente una ricetta impressa nella tua mente, quella della nonna quando avevi 6 anni o una grigliata a casa di amici dove hai conosciuto la tua futura moglie. Quello è ”il sapore” che non scordi in una ricetta. La conquista più grande è fare in modo che i miei piatti riaccendano un ricordo sopito legato a un momento piacevole».

 

Fai conto che la vita sia una ricetta: quali ingredienti? Quanti grammi?
«Amalgamare 2 kg di famiglia, con 800 g di amore e lasciare riposare fino al raggiungimento dell’equilibrio personale. A parte, mixare 1 kg di sapore, 800 g di memoria e 800 g di audacia. Ravvivare il composto così ottenuto ogni giorno, dal mattino alla sera. Unire il tutto in un unico impasto, con una grande dose di passione, di tecnica e di pazzia, quanto basta. Infornare e godersi la ricetta con le persone amate».

 

Il piatto della nostalgia?
«Il pollo, fatto al forno a legna, di mia nonna Tita, cotto con una base di cipolle bianche e patate del suo giardino. Indimenticabile. Indelebile. Posso sentire ancora oggi il suo profumo stampato nella mia mente… Ancora mi commuove».

 

Raggio di sole: bouchet fondant al lime, biglia di ananas impregnata alla vaniglia di Tahiti

Raggio di sole: bouchet fondant al lime, biglia di ananas impregnata alla vaniglia di Tahiti

Il piatto dell’innamoramento e quello dell’amore? Quali differenze negli ingredienti?
«Il piatto dell’innamoramento è lo Spaghetto al bbq, perché esplosivo e legato al ricordo ben preciso delle grigliate a casa dei miei genitori. Ma anche Raggio di sole, che è un dessert pensato esclusivamente per Simona, la mia compagna. Poi c’è il piatto dell’amore, che assocerei a Ritorno a casa. È legato alla mia famiglia e mi conforta».

 

La cucina è progressista o reazionaria?
«Per quanto mi riguarda la cucina è progressista e dovrà esserlo sempre se vogliamo portare nuovi sapori in tavola. Sono comunque molto legato ai sapori della tradizione, ma il bello della tavola è la continua evoluzione. In fondo per me la cucina è una forma espressiva che mi dà la possibilità di creare senza nessun limite o restrizione».


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Indira Fassioni

Food lifestyle editor, giornalista free lance. Ha fondato la testata Nerospinto, si occupa del canale Cucina di Tgcom24. Esperta di bon ton, curiosa e assetata di vita, considera "hai mangiato?" la dichiarazione d'amore più vera

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