Può il desiderio di cambiare diventare esso stesso il cambiamento? Può il battito d'ali di una farfalla scatenare un uragano a migliaia di chilometri di distanza? L’affascinante teoria che formulò nel 1963 il meteorologo Edward Lorenz sembra adattarsi particolarmente bene all’idea di cucina e di ristorazione che Francesco Apreda ha messo in campo con la recente apertura di Idylio al Pantheon Iconic Hotel.
Non sarà un’avventura, cantava Battisti (altra citazione) e Apreda ne è fermamente convinto: «L'idea iniziale era quella di cambiare completamente e aprire un ristorante/format tutto mio al di fuori dall’hôtellerie per la quale ho sempre lavorato».
«Dal punto di vista professionale - prosegue lo chef - non mi è mai mancato nulla: da Londra all’
Imperiale di Tokyo, dalla consulenza con l’
Oberoi in Asia - che è una delle strutture più belle al mondo - fino all’
Hassler… Insomma, mi sono successe cose incredibili, e quando lavori in questa maniera in genere non pensi nemmeno a qualcosa di assolutamente tuo. Così, non avevo mai messo il naso fuori, in cerca di eventuali altre “fortune”. Ma, come spesso accade, quando ti affacci al nuovo e ti dimostri ricettivo, da cosa nasce cosa e in poco tempo mi sono ritrovato seduto al tavolo con la nuova proprietà, stupita e contenta del mio progetto e di tutto quello che poteva girarci intorno».
Quando uno chef come Francesco Apreda cambia casa, quando si separa da un nido storico quela era il suo, tutto il mondo enogastronomico s’interroga incuriosito. Le domande sul locale, sui piatti, sul futuro e sul nuovo percorso degustativo diventano quasi fonte di gossip (per alcuni), forse anche eccessivo.
Sinceramente, la fiducia nel lavoro e nella conoscenza delle materie prime da parte di
Apreda ci indurrebbero quasi a parlare di lui e dei suoi piatti a scatola chiusa. Ma siamo sfuggiti a questa tentazione; piuttosto, abbiamo preferito attendere qualche giorno – il tempo di fargli mettere radici nella nuova realtà - e poi siamo andati trovarlo nel suo gran bel locale:
Idylio, appunto.
Il nome è stato scelto con cura, ma è anche frutto davvero di un idilio tra le parti. Il locale è un’elegante sala da venticinque posti, luci perfette, mai troppo alte e mai troppo basse, dove ci si sente a proprio agio. Il menu è davvero molto curato (solo un piccolo appunto… tecnico: alcuni testi in bianco su fondo rosa risultano scarsamente leggibili).
Tre percorsi, tre binari che lo chef usa per raccontarsi come sa fare. Si parte da Roma - città d’adozione, dove vive e lavora da anni - con
Inside The Pantheon, il suo omaggio di sei portate alla Capitale (120 euro). Si passa poi al secondo percorso, quello in cui ci racconta la sua storia attraverso i “classici”:
Iconic Signature at the Pantheon, composto di sette portate, a 140 euro. Conclude questo prestigioso tris la novità del
Seasons at the Pantheon, ossia otto nuove portate tutte dedicate alla novità lavorativa (160 euro).
Il momento più complicato per chi scrive e degusta i piatti di Francesco Apreda (che ci scherza anche su) arriva a tavola: perché risulta sempre difficile provare a spiegare come la quantità di ingredienti, coccolati da lunghe preparazioni, riescano - una volta assemblati – a risultare armoniosi. Spesso ci confrontiamo con chi ha difficoltà a comprendere la cucina d’autore; ecco, come non parlare di “magia” di fronte a proposte come Ziti con il cipolotto rosso, sgombro e foie gras, che dopo qualche minuto sembrano trasmutarsi in una sorta d’inattesa genovese al palato? Eppure, non sono una genovese. Spiegazione: l’effetto wow è figlio di ore di cottura e della conoscenza perfetta di ogni minimo sapore, aroma, gusto e materia. Detto in altre parole: totale padronanza in cucina. La stessa che consente ad Apreda di non usare mai il sale (ripeto: non usare assolutamente il sale), ma sostituirlo con le alghe in cottura. Nessun vezzo, nessuna voglia di stupire, ma solo il mettere in gioco la propria esperienza.

Vignarola in viaggio. Foto di Alberto Blasetti
In un momento in cui la
vignarola (piatto povero tipico della cucina romana) sta rapidamente diventando un piatto stagionale abbastanza di moda nella capitale,
Apreda la porta in viaggio e la fa poi tornare nel raccordo anulare, però arricchita di spezie e cotture che la rendono un piatto di
fine dining senza volerlo davvero.

Carpaccio di wagyu, ricciola, asparagi
Se si potessero mettere in fila tutti gli ingredienti della clamorosa dispensa con la quale vengono realizzati i vari piatti, l’elenco sarebbe lunghissimo, quasi infinito. Ma è proprio quest’ampiezza di gamma – e la capacità di modularla – a consentire allo chef di far sposare il carpaccio manzo wagyu e la ricciola (una volta il piatto si sarebbe chiamato “mare e monti”) e scoprire che vanno perfettamente d’accordo, previa marinatura nel dashi freddo in abbinamento con riso fermentato, caviale, crema di miso e sesamo piccante (facile, no?).
D’altra parte quella Apreda è una cucina di testa e di progetto: ecco dunque i Cappellotti alla carbonara, oppure il Rombo al tè nero, granseola e crema di piselli: cotture complesse, lunghe, quasi estreme, con esiti notevolissimi.

Rombo al tè nero, granseola e piselli
Alzare la testa dal piatto, guardare la sala, l’arredamento, le luci e le farfalle, significa rendersi conto che il ristorante è aperto da pochissimi giorni: eppure sembra stare lì da tempo. Lo chef ha portato con sé in brigata alcuni compagni di avventura e altri conosciuti lungo il suo percorso; a partire da
Alessandro D’Andrea in sala e della pastry chef
Edvige Simoncelli.
Conclusione: Roma può godersi, da subito, questo nuovo gran luogo di grande cucina.

Insalata di coccio e spinacine
Idylio al Pantheon Iconic Hotel
via di Santa Chiara, 4/A, Roma
+39 06 87807070
thepantheonhotel.com/ristoranti/idylio/
Aperto da martedì a sabato, solo a cena
Menu degustazione a 120, 140 e 160 euro