«Quali sono le tre qualità che dovrebbe avere uno chef?», chiede uno studente della classe prima dell'istituto alberghiero Olmo di Cornaredo, provincia di Milano. «Talento, passione e tanta pazienza». Risponde Enrico Cerea, detto Chicco, classe 1963, chef patron del ristorante Da Vittorio aperto nel 1966 da papà Vittorio e da mamma Bruna a Bergamo, oggi a Brusaporto, paese adagiato sugli ultimi colli della Val Cavallina.
Sale in cattedra con la consueta, grande umiltà, negli ormai consueti incontri coi grandi della cucina italiani, organizzati dall'Olmo grazie a Davide Oldani. Racconta la sua storia che poi è quella della sua famiglia, tre stelle Michelin e oltre 50 anni di attività nella ristorazione italiana. Lo fa senza nascondere l'emozione di stare davanti a centinaia di studenti che hanno appena iniziato la scuola per imparare un mestiere nel settore dell'enogastronomia e dell'ospitalità, «mi resterete nel cuore», confessa ad un certo punto della lezione.
Cerea come si diceva è stato invitato da
Oldani, chef stellato del
D'O di Cornaredo, mentore della scuola professionale. «Sono molto amico di
Davide e quando mi ha chiesto di venire a parlare agli studenti del "suo" istituto ho accettato molto volentieri, anche se il nostro lavoro ci impegna tantissimo e non sempre riusciamo a fare tutto. Voi vi siete preparati, so che avete delle domande da farmi, l'unico che non si è preparato sono io», esordisce
Chicco. Ma poi con slide e racconti svela agli studenti fatiche, sacrifici e successi del lavoro di chef. Tanti insegnamenti e consigli: «Nella vita per raccogliere bisogna seminare, se scegliete la strada più facile non avrete emozioni né soddisfazioni e non vi sentirete realizzati - spiega - Dovete essere curiosi e quando aprono nuovi ristoranti andare a vedere cosa cucinano, esplorare e fare confronti. La nostra professione è bellissima, ma ricordatevi che richiede moiltissimo impegno».
Un altro studente chiede se gli sia mai venuta voglia di mollare tutto. Risponde
Cerea: «Alcune volte, nei momenti di sconforto, ho pensato di prende una canna e di andare a pescare o di aprire un bar sulla spiaggia e fare hamburger. Ma per fortuna io lavoro con la mia grande famiglia e questo aiuta a superare anche i momenti difficili». La vita di uno chef è fatta di sacrifici o scelte? «Beh, nel momento in cui tu desideri fare una cosa accetti anche la fatica, ogni scelta la implica. Voi siete qui in una scuola molto bella che sicuramente vi chiede tanti sforzi: ma è la strada che avete voluto percorrere, se è questo che volete fare non vi peserà».
Gli studenti ascoltano, qualcuno scrive sul quaderno "
siamo fortunati perché oggi c'è lo chef Cerea". Lui, pensando alla sua storia (iniziata con papà
Vittorio e trascorsa anche in cucine internazionali come quelle di
Sirio Maccioni a New York o
Ferran Adrià a Roses) dice agli studenti: «Io mi sento uno chef completo perchè
Da Vittorio non significa solo paccheri al pomodoro od orecchia di elefante, peraltro piatti che certo non rinnego, con i quali mio papà ha conquistato notorietà e che fanno parte della nostra identità. Nel mio menu ci sono però tantissime altre proposte ideate da me e dai miei fratelli dopo le esperienze fatte anche nei maggiori indirizzi di tutto il mondo. Sono ricette che aggiorniamo spesso e che tengono sempre conto della stagionalità».

Chicco Cerea e Davide Oldani al termine della lezione tenuta dal primo all'Istituto Alberghiero Olmo di Cornaredo, a pochi passi dal D'O. In mano, Cerea tiene il regalo che l'istituto ha voluto donargli, un'opera a lui dedicata e realizzata dall'artista Maurizio Galimberti
È quest'ultima uno dei cardini sui quali costruire un grande ristorante, dice
Cerea. E poi: «Quel che conta più di tutto è l'identità, poi viene la tecnica, la conoscenza e la voglia di sperimentare, senza diventare schiavi del desiderio di stupire. E soprattutto tenetevi allenati in cucina, è una cosa che a me ogni tanto manca». Infine un ultimo consiglio e suggerimento: «Quando devo scegliere un cuoco per fare uno stage nella mia cucina, scarto subito a priori quelli che nel curriculum scrivono di aver cambiato 8-10 posti blasonati in solo due anni, è impossibile. Invece se vedo che nel ragazzo c'è una crescita professionale, che è passato da un ristorante all'altro nel tempo giusto e migliorando, beh allora davvero mi interessa e prendo in considerazione la sua candidatura».
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