24-07-2018

Cambiare il mondo con la gastronomia: tutte le idee del simposio di Modena

Protagonisti e punti di vista della giornata del Basque Culinary World Prize 2018. Contenuti da mandare ai posteri

Una piccola parte dei cuochi sul palco del Collegi

Una piccola parte dei cuochi sul palco del Collegio San Carlo di Modena, in chiusura dei lavori del Basque Culinary World Prize 2018, vinto dall'australiano di origini italiane Jock Zonfrillo

Il punto d'osservazione anomalo e fecondo dell’arte, l’impegno congiunto di designer, nutrizionisti e registi, gli sforzi di cuochi in prima linea nel sociale prima che nel buono. Il giorno in cui il Basque Culinary Center ha premiato a Modena l'australiano Jock Zonfrillo ha offerto una grande messe di contenuti «Sulla possibilità di contagiare e cambiare la nostra società attraverso la gastronomia», aveva sintetizzato bene Cristina Reni, moderatrice della giornata, «d’incentivare lo scambio e la collaborazione tra gli operatori del cibo, la scienza, lo sviluppo, l’imprenditoria e l’ambiente».

«Viviamo un momento molto importante», aveva aperto i lavori il padrone di casa Massimo Bottura, «Dopo Nouvelle Cuisine e tecno-emozionale dalla Spagna, siamo di fronte alla terza rivoluzione nella cucina, una rivoluzione umanistica, un movimento che può sviluppare tutti i più fertili intrecci possibili tra gastronomia, natura, tecnologia e arte».

«La cultura dev’essere la forza motivazionale che fa evolvere la cucina», aveva rincarato la dose il modenese, un piano di battaglia che non lasciava insensibile nessuno dei presenti tra cuochi, giornalisti e produttori venuti da tutto il mondo su chiamata del Basque Culinary Center. «La cultura è la nostra arma per non negare il passato ma per cercare di rinnovarlo», con l’ormai nota immagine di Ai Weiwei che rompe il vaso millenario a dar forza al concetto sullo sfondo.

JR Artist e l'installazione a cavallo del muro tra Messico e Stati Uniti

JR Artist e l'installazione a cavallo del muro tra Messico e Stati Uniti

Dopo un’appassionata arringa sulla cronologia dei Refettori aperti nel mondo, il microfono passava di mano da Bottura «A ciascun portavoce di un messaggio di speranza, a coloro che possono far passare la realtà dall’invisibile al visibile».

Il primo a prendere la parola è stato JR, artista francese dall’identità enigmatica, per qualcuno «il Cartier-Bresson del XXI secolo». In pochi minuti ha raccontato la sua immaginifica missione: trasformare la strada nella più grande galleria d'arte del mondo, con fotografie incastonate nei paesaggi di Philadelphia e nelle favele di Rio, a New York o al crinale tra Israele e Palestina. Ha strappato molti consensi il progetto realizzato nei pressi del muro che divide il confine tra Stati Uniti e Messico: l’installazione di un bimbo di un anno, alto 75 piedi, sorridente e aggrappato sulla costruzione. «Cosa può pensare un neonato del muro al confine?», si è chiesto JR, «Non certo quello che pensiamo tutti noi». Nessuna sfida ma solo un invito a osservare le cose da un punto di vista diverso. Colpiva l’immagine in cui l’artista si scambiava taco e tazze di te coi poliziotti, facendole passare dalle feritoie del muro.

Era intervenuta Ilse Crawford, designer britannica specializzata nell’architettare ambienti che facciano sentire la gente a casa propria, attraverso la creatività, la valorizzazione e lo studio del comportamento, delle nostre attività quotidiane. «Spazi che possono evolvere e durare, integrare valori incommensurabili, rendere il normale speciale, aggregare le persone». Progetti come il Refettorio Felix di Londra, un concept studiato «Innanzitutto per riunire le persone attorno a un tavolo. Un modo di costruire una comunità e restituire dignità alle persone». E tanti progetti un passo oltre come ridurre il food waste negli aeroporti, incoraggiare i bambini a nutrirsi più sano, «interpretare il design come quell’arte sottile che trasforma l’ideale in reale».

Gaston Acurio e Joan Roca

Gaston Acurio e Joan Roca

Dopo aveva preso la parola Daniele De Michele, dj e food anthropologist noto come Don Pasta. «A chi dice che viviamo in un mondo di scontro di culture, dico che il bello nasce da un incontro di fritture», il suo mantra. Il salentino riassume il suo repertorio partendo dalla parmigiana di melanzane, «una ricetta dietro cui la gente si protegge», per illustrare passaggi di “Artusi Remix”, un viaggio nelle ricette della cucina popolare italiana che celano un proposito più nobile dell’illustre predecessore: «Capire chi siamo attraverso quello che mangiamo».

Bee Wilson aveva invece illustrato il principio di one bite at a time, “un morso alla volta”, il cibo come scusa per farci conoscere meglio come persone, e illuminare precisi meccanismi delle società che ci accolgono. L’acclamata critica gastronomica si sforza da tempo di mostrare che «Anche un morso può avere delle conseguenze». Cioè, il modo in cui ognuno di noi introduce del cibo in bocca è influenzato da una serie di fattori come la famiglia, la cultura, il genere da cui provieni, l’amore che hai ricevuto». Un’appassionata esplorazione sulle origini del nostro gusto che può condurci ad allontanare il triste primato del cibo, «prima causa di morte nel mondo».

La seconda sessione del mattino è stata aperta dal peruviano Gaston Acurio. “Oltre la cucina”, il tema dell’accorata orazione: «La gastronomia in questi anni è riuscita a conquistarsi una grande visibilità», ha avvertito, «ma sono ancora molti i problemi che dobbiamo affrontare come cuochi e come attivisti». La prima cosa da non dimenticare mai «E’ che i più grandi ingredienti delle nostre culture alimentari sono il risultato del viaggio e della mescolanza tra culture».

Lara Gilmore Bottura e Andoni

Lara Gilmore Bottura e Andoni

Con la scrittrice Ruth Reichl, una delle figure più influenti della critica gastronomica contemporanea, scende un velo di commozione. Il tema dell’intervento doveva essere “An edible truth” («Negli ultimi anni abbiamo letto notizie così contradditorie su sale, burro o zucchero – ingredienti che, a seconda degli interessi, fanno bene o fanno male - che dopo un po’ abbiamo smesso di leggere questo tipo di notizie») ma alla fine la food-cronista di Los Angeles Times e New York Times ha deciso di spendere quasi tutto il suo tempo a disposizione ricordando Jonathan Gold, il grande scrittore/antropologo californiano scomparso di recente. «Quando ho saputo della sua morte, ero in Italia. È stato devastante. Abbiamo mangiato insieme all’Osteria Francescana solo pochi mesi fa».

«‘Cambiare il mondo attraverso la gastronomia’», ha continuato Reichl, «a John sarebbe piaciuto tantissimo il tema di quest’incontro perché lui ha fatto esattamente questo per tutta una vita: mettere il cibo sulla mappa del mondo. Ha trasformato Los Angeles da meta confusa a città golosa. Foodtruck, ristoranti gourmet, buchi nel muro: per lui erano tutti uguali, tutti degni di esplorazione. Credeva in ognuno di loro e nella forza simbolica di quello che facevano. Parlava con la stessa competenza di cucina uzbeka, tagika e coreana. Non ha mai scritto nulla di politico perché capiva meglio di chiunque che le parole soft fanno breccia nel nostro mondo molto più di qualunque altra». Applausi commossi.

David Gelb è il giovane regista americano (35 anni) cui si deve uno dei successi televisivi più clamorosi degli ultimi anni, “Chef’s Table”, la serie di monografie capace di raccogliere milioni di click su Netflix. «Jonathan Gold era un’ispirazione anche per me, ho apprezzato molto l’intervento di Reichl». Poi un cenno alla sua storia personale: «Viaggio tanto, mangio specialità incredibili, incontro persone fantastiche: sono molto fortunato. La bellezza del mestiere me l’ha trasmessa mia mamma, una cuoca».

Massimo Bottura

Massimo Bottura

Tutto iniziò dal documentario “Jiro dreams of sushi”: «Doveva essere un lungometraggio sul sushi ma poi è diventata la storia del rapporto tra un padre e un figlio». Scorrevano passaggi del film, anche divertenti in forma di parodia, chiusi da una rivelazione sul futuro: «Finora abbiamo affrontato le storie di chef high-end, di ristoranti costosi. Nel futuro cercheremo di aprire a profili meno stellati e noti, cuochi più alla portata di tutti».

«Ci diciamo sempre che "siamo quello che mangiamo", io invece dico siamo come mangiamo», ha aperto così l’intervento successivo Andoni Luis Aduriz, per poi compiere un excursus storico attraverso le epoche, dimostrando come ogni cambiamento nelle società umane si sia quasi immediatamente riproposto nella cucina di quelle società. Sono pochi però gli elementi che davvero portano a cambiamenti davvero sostanziali: «per la nostra epoca ci sono i social network». Andoni ha mostrato come Instagram stia aiutando a definire chi siamo, in base a come mangiamo. «Se vogliamo raggiungere un risultato dobbiamo usare queste piattaforme per raggiungere le persone e parlare loro di ciò che organizzazioni come il Basque Culinary World Prize stanno facendo per la gastronomia».

La mattinata è stata chiusa da Lara Gilmore, che ha ricapitolato i passaggi di Foodforsoul, la realtà dietro al progetto dei Refettori. «Lasciatemi ringraziare tutte le persone incredibili che abbiamo avuto sul palco oggi». Il grazie più grande è per lei, che ha avuto un ruolo fondamentale nella regia di questa giornata da mandare ai posteri.

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Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Gabriele Zanatta e Niccolò Vecchia