Francesco e Vincenzo Montaruli
Bignè soffiati e dorati, finferli, uva al vino rosso
Identità Golose Milano L'ingrediente segreto è il confronto
Gualtiero Marchesi ritratto durante una sua lezione ad Altopalato
L’appuntamento con Toni Sarcina è in via Ausonio, sede storica di Altopalato, il Centro di cultura enogastronomica che ha fondato nel 1981, in collaborazione con la moglie Terry. Ci accomodiamo al tavolo, arrivano dolcetti siciliani di Caltagirone e una bottiglia d’acqua (per restare sobri e lucidi) con due bicchieri di cristallo: «Sono importanti, vengono dal primo locale di Gualtiero Marchesi, in Bonvesin de la Riva». Comincia la chiacchierata… (In tondo il testo di Toni Sarcina, in corsivo le sue parole raccolte da Carlo Passera)
Eravamo negli anni 78-80, Milano non brillava per alta ristorazione; oltre ad un buon numero di trattorie toscane, qualitativamente discrete, emergevano alcuni locali simbolo come Savini, Giannino, Collina Pistoiese, Alfredo Valli, Bice e le sue sorelle, Boeucc e poco altro. Tuttavia, a muovere l’atmosfera sulla cucina innovativa, da poco aveva aperto La Scaletta con Pina Bellini e, da pochissimo (se ne parlava in città come di una cosa “misteriosa”) Gualtiero Marchesi con il suo ristorante in via Bonvesin de La Riva.
«Io da subito considerai Gualtiero come un elemento fuori dalla mischia. Non era un cuoco, era molto al di sopra, davvero un altro campionato. Lui stesso non era granché cosciente di questa sua caratteristica. Gli dicevo: non devi metterti a discutere, tu non c'entri con loro, sono convinti di essere tuoi colleghi, ma non lo sono. Loro erano i facitori, lui era altro».
Un recente scatto di Gualtiero Marchesi con Toni Sarcina
Cercai di informarmi sul personaggio e alcuni amici mi dissero che si trattava di persona raffinata, un po’ sfuggente, forse supponente, entrava poco in sala, il servizio era sicuramente inappuntabile, con un sommelier molto qualificato e i piatti assolutamente innovativi.
«Ricordo una volta che entrò nel suo ristorante un signore, era stato già lì tre o quattro volte e spendeva parecchio, d’altra parte il Marchesi era un ristorante caro, per quei tempi, costava mi pare 45mila lire all’inizio. Questo tizio era con amici, e si sa come a ciascuno piaccia far intendere di essere un habitué, ami dire di aver provato i piatti, goda a essere riconosciuto e così via. Entrò allora questo cliente, Gualtiero gli andò a chiedere cosa volesse ordinare. Quello: “Come l’ultima volta”. Un altro cuoco avrebbe detto: “Ma certo!”, e sarebbe andato in cucina a spulciare le vecchie comande, oppure si sarebbe informato con quelli del servizio e della brigata. Gualtiero no: “Ma perché, lei è mai stato qui?”».
Un giovanissimo Marchesi al bancone del ristorante-albergo di famiglia, Mercato
Lo andai a trovare nel suo ristorante con un gruppetto di amici, curiosi come me di vederlo alla “prova dei piatti”.
«Il suo ristorante in Bonvesin de la Riva aveva il problema di farsi conoscere, perché nei primi anni era spesso vuoto; anzi, a mezzogiorno era sempre deserto, alla sera ci andavano in pochi, poi iniziarono ad arrivare le top model, un pubblico di un certo tipo. Andavano lì perché non c’era niente, a Milano: o Marchesi, o Marchesi. E poi lui aveva questo aspetto fisico così diverso da tutti, un linguaggio differente, e non perché fosse forbito: era colto. Esprimeva la sua grande passione; sembrava abbastanza egocentrico come carattere, però solo all’apparenza, in realtà era molto timido. Non usciva in sala, si limitava a guardare dalle quinte per vedere l'effetto che facevano i suoi piatti».
Marchesi e brigata in via Bonvesin de la Riva
Il locale, arredato in modo elegante, assolutamente senza fronzoli, già dall’ingresso faceva intuire al visitatore attento parte della personalità del padrone di casa; si scendeva con due rampe di scale al piano sottostante, nella sala da pranzo, anch’essa ricca di buon gusto e senso artistico, con tavoli che, invece dei soliti fiori al centrotavola, molto in uso in quel periodo, proponeva sculture di gran pregio e di autori celebri. Io trovai gli ambienti assolutamente fuori del comune e di un’eleganza essenziale. Il personale di sala, molto professionale con un maitre – sommelier (Giuseppe Vaccarini) che al momento era nientemeno che il campione del mondo dei sommelier. Sedemmo a tavola, venne Gualtiero al quale dicemmo di scegliere tre portate esemplificative.
«Marchesi proponeva un concetto di cucina nuova, difficile, anche ostica. E avrebbe potuto solo a Milano, perché questa non è una città provinciale. Così poco a poco iniziò a “fare fino” andare da lui: se mangiavi lì eri qualcuno, la moda prese a portarvi le top model, anche perché le porzioni erano piccole e chi pagava non aveva limiti di budget. Lui era molto signore, poco vivace; tutto era ovattato, tranne quando arrivavo io con i miei amici a fare un po' di casino, eravamo pur sempre a mangiare!»
Parlammo a lungo dopo la cena, dando inizio ad una serie di conversazioni che sarebbero andate avanti negli anni e lo invitai a visitare la scuola di cucina di mia moglie Terry.
«Sono sempre stato il primo a sperimentare le sue novità, mi guardava con affetto perché sapeva che comunque si sarebbe potuto fidare anche di un mio giudizio negativo. Ricordo un piatto che non mi aveva colpito per niente: "Triglie e capesante, le due salse", ossia la salsa dell’una che condiva l’altro elemento e viceversa. Era geniale, ma me lo fece provare nel momento sbagliato: ero a cena con amici, tra cui don Zega, allora direttore di Famiglia Cristiana. Eravamo ormai arrivati al dolce, al termine di un menu abbastanza ricco, quando Gualtiero uscì dalla cucina: “Non te ne andare, voglio farti assaggiare una cosa”. Degustai e rimasi perplesso. Glielo dissi, lui mi mandò a quel paese (eufemismo) e mi tolse il saluto per 15 giorni, fino a quando lo implorai: “Gualtiero, non è che puoi prepararmelo di nuovo?”. “Neanche se piangi, neanche se mi paghi 10 volte il costo. Non te lo faccio più”. Ma alla fine si convinse. E aveva ragione lui, non io. Il piatto era straordinario».
E' il 1984: Marchesi riceve il premio Europa a tavola da Toni Sarcina, sulla destra
«Lui era un precursore. Vedo i grandi chef odierni, che sono orgogliosi delle loro innovazioni, ma noto che Marchesi in molti casi c’è arrivato assai prima. Non con emulsioni, sferificazioni, sifonate, eccetera. Non servivano. Lui faceva delle cose che chiamava “Oggi…”: voleva dire che ti avrebbe portato circa 14 assaggi sublimi, ricordo una parmigiana di melanzane in un cucchiaio da dessert. La mangiavi, era un sapore assoluto. Questo, molto prima di Adrià. Era un percorso di un’intelligenza assolutamente superiore che nessuno potrà mai replicare. Si arrivava e lui ti diceva subito: spumante o saké? I più sceglievano il sakè. Niente vino, perché per lui rovinava i piatti».
nato a Milano, a lungo gran professionista nel campo finanziario-assicurativo, dal 1977 ha iniziato la sua attività di giornalista specializzato nella ricerca culturale del settore alimentare. Al suo attivo ha collaborazioni con Famiglia Cristiana, La Cucina Italiana, Grand Gourmet e tanti altri. Tiene seminari per medici-dietologi ai corsi di specializzazione dell’Università di Milano. Da molti anni è presidente della Commanderie des Cordons Bleus. Ha fondato nel 1981, in collaborazione con la moglie Terry, il Centro di cultura enogastronomica Altopalato
Particolare di copertina di "Chef Portraits" di Severino Salvemini, Skira editore, 188 pagine a 33,25 euro se acquistato online
Toni Sarcina, in piedi, con Gualtiero Marchesi a un convegno sul vino, nel 1998
Tutti i relatori di Identità Marchesi, evento concepito da Riso Buono e Identità Golose per celebrare il 40mo anniversario del Riso Oro e Zafferano di Gualtiero Marchesi, giovedì 9 dicembre 2021 all'Hub di via Romagnosi
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose