Quattro novembre, Coin in piazza Cinque Giornate a Milano. È stato l’ultimo di 7 incontri del ciclo “Storie di gusto e di passione”, che Identità Golose ha concepito assieme alla nota catena della grande distribuzione di abbigliamento e accessori, fondata dal capostipite Vittorio Coin quasi un secolo fa (la storia del Gruppo è ben riassunta qui).
Venerdì scorso, al piano meno uno di Spazio Cargo etc., esattamente come agli incontri di Bari, Bergamo, Catania, Napoli, Roma e Treviso (vedi la fotogallery qui a lato), i protagonisti del seguitissimo dibattito (sala piena con tanta gente in piedi) erano tre: con Paolo Marchi, fondatore di Identità, c’erano Cesare Battisti, chef del Ratanà di Milano e l’economista Severino Salvemini, docente di organizzazione aziendale all’università Bocconi.
Il tema era “cucina e creatività” e il luogo non poteva essere più adatto, circondato com’è dalle scritte a caratteri cubitali alle pareti creatività, coraggio, fantasia, cuore… Dopo i saluti di Alessandro Massa, direttore commerciale di Coin, Marchi ha aperto il dibattito: «Oggi siamo qui a chiederci perché Milano ami così tanto la creatività e l’innovazione, nella cucina e nella vita di tutti i giorni. La nostra città non s’identifica mai con le sue eccellenze, non le considera eterne e indiscutibili. Tanto è vero che è più facile trovare un sushi che un risotto alla milanese ben fatto».

Paolo Marchi, Cesare Battisti e Severino Salvemini
A proposito di risotti,
Battisti cominciava a rimestare nel pentolone il suo assaggio per 250 persone «E’ un
Risotto alla zucca mantovana, con terra d'olive e 'nduja. Il ragionamento è stato: come arricchire il dolce della zucca? Con il piccante della ‘nduja, che abbiamo disidratato come le olive nere. La chiamiamo ‘terra di olive’ perché i vasi che teniamo al
Ratanà sembrano proprio di terra».
Il tema dell’incontro è sviscerato da
Salvemini: «Il tasso di innovazione di Milano è reale e verificato dalle statistiche e dagli studi. I sociologi del territorio sostengono che la creatività sia la somma di tre variabili: l’orientamento alla tecnologia, il talento e la tolleranza. Quanto più una città è tollerante, tanto più è disponibile al meticciato. E Milano è storicamente una città che accoglie, lo vediamo anche col volontariato e il non profit».
C’è anche un altro aspetto in cui Milano primeggia da sempre: il dialogo interdisciplinare: «Tolta una breve parentesi di oscurantismo negli anni Settanta e la Milano da bere del decennio successivo, grandi letterati, musicisti, artisti e drammaturghi si sono sempre confrontati sui rispettivi temi. Pensate alle frequentazioni del bar
Giamaica in Brera negli anni Sessanta: capitava di trovare allo stesso tavolo
Quasimodo,
Montale,
Bianciardi,
Albini,
Bob Krieger, il giornalista
Buzzati,
Castellani,
Campigli... La sede Rai era appena nata. E il Piccolo Teatro iniziava a nutrire la classe dirigente, a costruire lo spirito della capitale morale».

Il Risotto alla zucca mantovana, terra d'olive e 'nduja preparato venerdì scorso al Coin da Cesare Battisti, chef del Ratanà di Milano
Ora al tavolo del m
aître à
penser siede anche del cuoco, sdoganato dalle cucine con l'aiuto dei media. «Ma attenzione», avverte
Salvemini, «l’immagine che passa oggi in tv distorce la realtà: il ristorante non è solo il frutto di una one-man-band ma è un’attività imprenditoriale. La parte creativa è nulla senza i conti in ordine».
Battisti conferma: «Va bene la creatività ai fornelli, ma c’è troppa spettacolarizzazione attorno al nostro mestiere, che dev’essere mettere in cima ai compiti la trasmissione della cultura, di un serbatoio di ricchezza popolare da tenere desto. Tutti vogliono fare i
Cracco e i
Cannavacciuolo, ma pochi sanno che questi due chef hanno lavorato duramente per decenni prima di diventare famosi. Chi si avvicina a questo mestiere, dovrebbe assumersi una responsabilità sociale: la trasmissione di un sapere intergenerazionale, che una volta era affidato alle mamme e alle nonne».
Mentre il pubblico assaggia felice il suo risotto, l’atmosfera si fa lieve. Con aneddoti curiosi e divertenti .
Battisti: «A casa mia non mancano mai i coltelli e i contenitori di ogni tipo. E in cucina ho un punto debole: non riesco a gestire i chiodi di garofano».
Salvemini: «Da ragazzo mangiavo malissimo perché non avevo cultura: oggi tanti miei studenti si preparano a casa vere e proprie prelibatezze».
Marchi: «Oggi la gente si ritrova al tavolo di un bar ma non parla: accende il computer». Pillole che certificano il fatto che il format funziona benissimo.