“Rosa fresca aulentis[s]ima ch'apari inver' la state” cantava Cielo d’Alcamo. Fresca, aulentissima, ma anche buona da mangiare: e non siamo in pieno delirio da fiori edibili, il che fa supporre che di un altro tipo di rosa si tratti. Basti dire che si coglie, a differenza delle comuni, a partire da fine novembre. Abbiamo scritto rosa ma avremmo dovuto Rosa, con la maiuscola: trattasi della Rosa di Gorizia, prezioso e raro radicchio invernale che nasce solo nelle campagne goriziane e si presenta, come prodotto finito, identico a una rosa di color rosso intenso. E’ un ecotipo di Cicurium Inthybus della sottospecie sativa, selezionato da oltre un secolo dalle varie famiglie di contadini locali. L'estetica basterebbe da sola a rendere unico questo prodotto, ma è quando il gusto incontra la sua delicata croccantezza a farne capire l'alta qualità e a cambiare per sempre la percezione sui radicchi invernali solitamente amari. Questa è bella e pure dolce: per questo ruba i cuori dei grandi chef, che sempre di più la richiedono per le loro creazioni.

Ma prima di parlare di questo conviene fare un passo indietro. Fu il barone
Carl von Czoering, funzionario austriaco dell’Impero asburgico, a
descrivere le peculiarità di questa “cicoria rossastra” – così la definì – in un trattato del 1874 intitolato
Gorizia, la Nizza austriaca. La selezione dei singoli "boccioli" viene fatta a mano da ogni famiglia che inverno dopo inverno disegna geneticamente le foglie, la dimensione e la struttura della sua
Rosa, risaltando ulteriormente l'unicità di ogni singolo produttore.
Mentre il comune radicchio di Treviso va in semina ad agosto, e viene raccolto dopo circa 4 mesi, la rosa di Gorizia ha necessità di un ciclo molto più lungo. Spiega Andrea Gattesco, dell’Azienda agricola Lucia, responsabile delle relazioni esterne dell’Associazione produttori Rosa di Gorizia: «Noi seminiamo prima di Pasqua, lasciando poi che le comuni erbe infestanti invadano il campo. Queste ultime hanno un tasso di accrescimento molto più veloce della nostra Rosa, che viene quindi coperta, non vede più il sole, va in stasi e sviluppa un apparato radicale che giunge fino 30 cm di profondità». Durante l’estate non ha così bisogno di essere innaffiata, perché trae sostentamento dalla profondità della terra, dalla quale ricava anche la componente ferrosa che poi ne colorerà il fiore. Quando, mesi più in là, viene sfalciata l’erbaccia (ad altezza tale da non danneggiare il radicchio goriziano), la Rosa riprende la propria crescita impetuosa, fino al raccolto di fine novembre.

Una Rosa di Gorizia nella neve
Un piccolo miracolo della natura reso possibile «imbrogliando il ciclo biologico», ironizza
Gattesco. Ma, si sa, non c’è rosa senza spine, e una vicenda toglie il sorriso ai produttori goriziani, che poi sono 4-5, mica di più: 15 ettari di terreno, per una resa di una trentina di quintali a ettaro. La
Rosa di Gorizia originale, quella dell’Associazione (sito internet:
www.larosadigorizia.com, per intenderci), è presidio Slow Food ed è come prodotto tipico tradizionale dal 2000. Nel 2010 il Ministero per le Politiche Agricole ha anche riconosciuto il marchio collettivo
Rosa di Gorizia, affidandone la tutela all’
Associazione produttori Rosa di Gorizia stessa. Peccato che la burocrazia sia ottusa: così, in seguito, imprenditori privati sono riusciti a farsi registrare come loro marchio d’impresa, e vendono i loro prodotti al di fuori del rigoroso disciplinare dell’Associazione, che prevede come unica area di coltivazione il territorio del Comune di Gorizia (che è peraltro molto piccolo). Non per sfoggio di esclusività, ma per ragioni oggettive: «Qui abbiamo un terreno ricco di scheletro, con molti sassi, e con un alto contenuto di ferro. Sono le condizioni imprescindibili che consentono la fioritura della nostra
Rosa. Certi doppioni invece vengono coltivati in terreni argillosi e sabbiosi, in altre parti del Friuli e persino in Provincia di Treviso, fianco a fianco agli asparagi. Lì non può esserci una colorazione naturale, così vengono utilizzati composti chimici che arricchiscono di ferro». Non è la stessa cosa, né in termini estetici che organolettici.
Attendendo che lo Stato italiano dirimi la diatriba e dia a Gorizia ciò che è di Gorizia, la
Rosa è diventata una nuova star nel panorama dell’alta cucina internazionale. Se la disputano chef come
Norbert Niederkofler e
Antonia Klugmann (nella fotogallery alcuni dei piatti realizzati da questi e altri). «La notorietà è giunta nel 2010, quando si è tenuta l’edizione di
Cook it Raw nel Collio – spiega ancora
Gattesco – C’erano
Bottura, Scabin, Narisawa…
René Redzepi la vide, se ne innamorò e volle farci un piatto». Lo imitò
Pascal Barbot, che nel piatto
Des moments de joie la abbinò a carciofo, pompelmo, noci, aglio e parmigiano.
David Chang presentò
40 north, 120 west: Rosa di Gorizia, rapa, kimchi, castagno, peperoncino e prosciutto.
Così Eleonora Cozzella descrisse invece su L’Espresso la creazione di Redzepi, chiamata Il freddo inverno danese del 1941 e sorta di fusion tra prodotti friulani e un ricordo storico del loro paese: “Quell'anno fu così rigido - racconta lo chef - che la superficie del mare si gelò, c'era la guerra e il cibo era razionato, a tirar su il morale c'era l'occupazione nazista. Cosa si poteva portare in tavola? Solo alcune verdure sott'aceto e del brodo. Ed ecco del radicchio all'aceto di rosa su un fondo bruno”.
Così bella, così buona, così dolce, così rara, inevitabilmente cara: la Rosa di Gorizia è il radiccio più costoso al mondo. Un bocciolo perfetto viene a costare circa 2 euro, quindi 40 euro al chilo.