Sarà il trentenne Marco Acquaroli, sous chef di Saverio Sbaragli al Four Seasons Des Bergues di Ginevra, a rappresentare l’italia alla finale europea del Bocuse d’Or, in programma a Budapest il 10 e 11 maggio prossimi. Ha prevalso sugli altri 11 concorrenti alla selezione italiana, conclusasi ieri ad Alba. La speranza è che possa conquistare uno degli 11 posti riservati all’Europa per la finalissima di Lione 2017, quando in gara saranno 24 alfieri di altrettanti Paesi di tutto il mondo (in lizza ce ne sono una sessantina in totale).
Acquaroli, 30 anni di Sarnico (Bergamo), ha nel proprio curriculum esperienze ai Four Seasons di mezzo mondo, ma anche Geranium di Copenhagen e Piazza Duomo ad Alba. Giocava dunque in qualche modo in casa, essendo la giuria (composta da molti dei bei nomi dell’alta cucina nazionale, da Oldani a Sadler, da Uliassi a Camanini, e poi Genovese, Bartolini, Esposito, Berton, Guida, Parini, Baronetto e tanti altri) quest’anno guidata proprio da Enrico Crippa, mentre presidente del concorso era Giancarlo Perbellini.

Lorenza Vitali, perfetta speaker del Bocuse, con Orjan Johannsen, il vincitore norvegese dell'ultima edizione
Non sarà facile, né a Budapest né tantomeno – se ci si arrivasse, come ci auguriamo – a Lione. Perché la tradizione dice spesso Francia e Nord Europa, come ha ricordato
Luigi Cremona dal palco. E l’Italia ha invece rimediato ripetute brutte figure: solo 15 ° posto su 20 per
Diego Rigotti nell’ultima finale europea di Stoccolma, nel 2014, dove peraltro il nostro Paese era stato ripescato in extremis e «si meritava ben altro attorno, farebbe bene a staccare la spina ed evitare di implorare una
wild card come le ultime due volte, aggiungendo mediocrità alla mediocrità. Meglio ripensare l’intero approccio alla manifestazione», aveva scritto
Paolo Marchi.
E non era infatti andata meglio nell’edizione precedente: 20° posto per Alfio Ghezzi, su 24 concorrenti, alla finalissima di Lione nel 2013.
«E’ dura, durissima», ha commentato Silvio Salmoiraghi ai nostri taccuini, ricordando la sua partecipazione nel 2007, «dove non andò male. Ma viene richiesta grandissima tecnica, tanto allenamento, una precisione più da pasticciere che da cuoco». Alcune nazioni – il Nord Europa, come detto. Ma anche gli Usa, non a caso secondi nell’ultima edizione, tra Norvegia prima e Svezia terza - hanno individuato nel Bocuse uno strumento di propaganda e una vetrina internazionale per la loro cucina, i loro prodotti, la loro agricoltura; convogliano dunque sponsor che consentono agli chef concorrenti di allenarsi per anni senza altri affanni, prima di prendere parte alla tenzone.

Pezzi grossi al Bocuse: Lopriore, Crippa, Perbellini e Orjan Johannsen, il vincitore norvegese dell'ultima edizione. Sullo sfondo, Vissani e Berton, tra i componenti della giuria
Nelle 15 edizioni finora disputate, i cugini transalpini hanno prevalso 7 volte, una l’Olanda (ma nel lontano 1989), 5 la Norvegia, non proprio un peso massimo sulla scena gastronomica mondiale, una ciascuna la Danimarca e la Svezia.
Insomma, ci sarebbe da discutere sulla rappresentatività del concorso, così com’è stato congegnato finora. Però prendersela con la formula, o i vincitori, sarebbe sciocco e miope. Il Bocuse esiste e funziona, pure senza di noi (benché la debolezza storica dell’Italia indebolisca la gara stessa, perché le fa perdere credibilità). E’ una questione di organizzazione e capacità di un sistema ristorativo nazionale di fare team: da noi il Bocuse è però ancora poco radicato e chi si mette in lizza ruba il tempo tra un servizio e l’altro. E magari rinuncia a qualche notte di sonno, per prepararsi come può, cioè sommariamente, senza infamia, ma neanche con lode. I risultati si sono visti: mai nemmeno sul podio.
Basti pensare quanto raccontato sul palco da uno dei concorrenti, tra l’altro tra i non molti ad avere un ristorante proprio e di buon successo, ossia Andrea Alfieri del milanese Il Chiostro di Andrea: «Il mio aiutante qui è Davide Bolzoni, 18 anni. Fa l’Alberghiero, il Vespucci. Gareggia con me al Bocuse, ma a scuola risulta oggi assente ingiustificato: non ha avuto un permesso per partecipare al concorso», quasi che una mattinata di lezioni fossero più formative della partecipazione a una competizione internazionale.

I finalisti del Bocuse d'Or, con i loro commis
Ma indulgere nel pessimismo sarebbe inutile, anzi controproducente. Intanto perché risalire la china, senza necessariamente pretendere allori, è comunque alla portata. Soprattutto perché
Acquaroli sembra avere tutte le carte in regola per fare bene. Se n’è accorto
Paolo Lopriore, che annovera nella propria carriera il miglior piazzamento tricolore al
Bocuse (un quinto posto assoluto nel 1998) e in questi due giorni ad Alba è stato la cerniera tra cucina e giuria: «Dai, che iniziamo finalmente a impegnarci sul serio».
Sbaragli, executive del
Four Seasons ginevrino, ha altre pallottole di fiducia da sparare: «Conosco
Marco da cinque anni: è un grande. Ed è determinatissimo. Ha voluto fare tutto da solo, senza il nostro aiuto. Andrà avanti».
Gli altri premiati della manifestazione di ieri ad Alba sono Giuseppe Raciti (Premio Europa), Gabriele Furi (miglior commis), Debora Fantini (Miglior ricetta di pesce: erano tutte a base storione) e Francesco Gotti (Miglior ricetta di carne: erano tutte a base cervo).