17-12-2020

Giorgio Locatelli: «I francesi ci insultavano ma ora l'Italia va a testa alta»

Il cuoco varesotto, una stella a Londra, si racconta tra passato e presente. Un estratto dell'intervista di Identità on the Road

Giorgio Locatelli, nato a Vergiate (Varese) nel 19

Giorgio Locatelli, nato a Vergiate (Varese) nel 1963. Nel 2002 ha aperto a Londra con la moglie Plaxy Locanda Locatelli, ottenendo una stella l'anno successivo (foto Getty Images). Per iscriversi a IDENTITA' ON THE ROAD, clicca qui (per informazioni: iscrizioni@identitagolose.it oppure +390248011841, interno 2215)

Giorgio Locatelli è il protagonista di una delle clip più interessanti di Identità on the road. Il giorno della registrazione era chiuso in casa in quarantena, perché tornato dalle riprese di Masterchef Italia. Una situazione ideale per parlare con lui a ruota libera di cucina, ristorazione e molto altro. Abbiamo isolato alcune delle dichiarazioni più significative dell’intervista, condotta da Paolo Marchi.

LE ORIGINI. Varesino di Corgeno, nel 1984, all’età di 21 anni era già via da casa. «Avevo una grande passione per i viaggi», rievoca, «ho pensato che fosse il caso di andare subito a imparare il mestiere lontano. Fino agli anni Ottanta, non potevi essere veramente considerato uno chef se non vantavi almeno un’esperienza internazionale o l’accento francese, all’epoca un vero e proprio lascia-passare. Scelsi Londra perché ero innamorato della storia di Auguste Escoffier e della Guida alla Cucina, la mia bibbia. Lui aveva edificato il mito del Savoy, l’hotel che era sulla bocca di tutti i miei colleghi quando lavoravo alla Genzianella di Corgeno (all’epoca, una stella Michelin, ndr). Così mi decisi a partire».

LA SVIZZERA. «Prima di Londra, andai a cucinare in Svizzera, al Mövenpick. Fu una gran bella esperienza e con me c’era Norbert Niederkofler. Dopo 4/5 mesi si accorsero che eravamo capaci di far da mangiare italiano e ci aprirono un ristorante che ebbe grande successo». Ma, come nella canzone dei Clash, Londra chiamava: «Non avevo in mente altro, volevo andarci non solo per la cucina ma anche per la musica e per lo stile di vita così differente. Quando arrivai, mi si aprì una Pandora Box».

Con la moglie Plaxy

Con la moglie Plaxy

La sala di Locanda Locatelli

La sala di Locanda Locatelli

LE DIFFICOLTÀ. «Da giovanissimo lavoravo in un ristorante che si chiamava Passatore. Il cuoco un giorno mi disse: ‘Non diventerai mai uno chef’. Ricordo che andai a casa a piangere a dirotto da mia nonna, che mi consolò: ‘Ma che ne sa lui di chi sarai tu tra 10 anni’. Quando iniziai al Savoy era dura perché guadagnavo 87 sterline a settimana: in un ristorante italiano dell’epoca sarei potuto arrivare a 135. Ma ero l’unico italiano in cucina e questo mi ha agevolato parecchio nei rapporti con la clientela. Forse, però, l’esperienza peggiore l’ho avuta a Parigi, quando mi rimisi di nuovo in gioco come commis rotisseur. I francesi mi dicevano che ero uno spaghetto che aveva imparato a cucinare dai roast-beef, cioè dagli inglesi. L’umiliazione era cosa quotidiana: lo chef della Tour d’Argent non mi ha mai chiamato per nome una volta in 18 mesi. Ogni tanto si rivolgeva a me con retard o anche italiano di merda. A un certo punto gli dissi che me ne andavo. Ebbe anche il coraggio di chiedermi perché. Ma ero determinato, avevo capito che un cuoco deve andare via quando lo decide lui, non quando te lo dicono i datori di lavoro. Per fortuna oggi queste dinamiche sono terminate, c'è più rispetto».

IL VINO ITALIANO. Alla Locanda Locatelli, la carta dei vini è sempre stata italiana al 100%. «Non ho mai avuto dubbi. Una volta Gordon (Ramsey, ndr) mi suggerì di inserire qualche vino francese sennò sarebbe stato difficile avere la stella Michelin. Ma io non ho mollato e il riconoscimento è arrivato lo stesso. Oggi il vino italiano è molto popolare a Londra: lo vedi dagli scaffali delle botteghe quanto sta diventando gettonato. Fino a due decenni fa esisteva solo l’Italia in generale, ora devi specificare a quale regioni appartiene quell'etichetta. Gli inglesi amano molto i bianchi del Nord-est, i vini d’alta quota. I Supertuscan sono sempre molto gettonati. E il Prosecco va tantissimo, qui vende più dello Champagne».

Con Paolo Marchi nel dialogo di Identità on the road. Per iscriversi alla piattaforma digitale, clicca qui (per informazioni: iscrizioni@identitagolose.it oppure +390248011841, interno 2215)

Con Paolo Marchi nel dialogo di Identità on the roadPer iscriversi alla piattaforma digitale, clicca qui (per informazioni: iscrizioni@identitagolose.it oppure +390248011841, interno 2215)

SALA. Quanto è importante la sala da voi? «Appena aperti, avevo fatto subito rimuovere il macinapepe immenso, all'epoca un popolare stereotipo della ristorazione italiana. Abbiamo cercato di cambiare l’impostazione classica del servizio, di riscaldare quella freddezza tipica della sala francese. Ho sempre tenuto molto ai camerieri: nel tempo libero devono stare il più possibile coi cuochi e tutti devono assaggiare tutto prima di fare il servizio. La nostra parola chiave è knowledge, conoscenza. E i clienti ci premiano per questo».

VIP. Tra loro, tanti vip, spiega Locatelli nell’intervista: «Quando è a Londra, Madonna viene sempre da noi. Non so bene perché esattamente. Forse per la calma del ristorante o per il fatto che non ci siamo mai fatti pubblicità sulla pelle delle celebrities. Li trattiamo come persone».

E via discorrendo di covid, Brexit e beneficienza, riflessioni acute che lasciamo alla visione integrale della clip. Che si chiude con una promessa: «Spero di venire presto a cucinare da voi, in via Romagnosi». È l’augurio anche nostro.


IG2020: on the road

a cura di

Identità Golose