29-01-2023
Sul palco dell'Auditorium, i nostri Paolo Marchi e Gabriele Zanatta (che ha moderato l'incontro) assieme ai protagonisti di Identità Talk: Giorgio Locatelli, Massimo Bottura, Brian McGinn e in collegamento da Los Angeles, David Gelb. Tutte le foto sono a cura di Brambilla-Serrani.
Nella visione di Davide Rampello, se dovessimo pensare al primo programma televisivo di cucina davvero rivoluzionario, occorre guardare indietro e richiamare alla nostra memoria il Viaggio nella valle del Po di Mario Soldati: l’aspetto innovativo, non era tanto la rappresentazione di una ricetta, il racconto di un piatto, bensì quell’immersione unica, totale nella densa trama del territorio. Mario Soldati racconta il paesaggio, le persone, snocciola l’economia locale perché uomo colto, uomo attento. Mario Soldati non era uno specialista, ma era dotato di sensibilità ed è proprio questa virtù che conduce l’uomo alle scoperte più straordinarie.
Guardando il presente, invece, ci siamo chiesti chi attraverso la propria visione, il suo contributo, avesse riscritto, infranto le regole della cucina sul piccolo schermo. Noi di Identità abbiamo provato a rispondere invitando sul palco dell’Auditorium quattro grandi protagonisti e pionieri, ognuno dei quali ha trasferito le singole venature della propria esperienza, la sostanza dell’uomo interiore, davanti agli occhi del mondo, sul piccolo schermo. Soffermarsi su cosa comunicare, con che linguaggio rivolgersi a un vasto pubblico, quali “condimenti” usare, perché scegliere un soggetto piuttosto che un altro, lasciando che ogni immagine, parola, pensiero mantengano sempre intatta la trasparenza.
Ce lo raccontano a Identità Talk, nell''incontro moderato dal nostro Gabriele Zanatta, Davide Gelb, autore e produttore esecutivo di Chef’s Table, Brian McGinn produttore esecutivo e regista di Chef’s Table, Massimo Bottura, chef dell’Osteria Francescana e protagonista del primo episodio della serie1 di Chef’s Table, e Giorgio Locatelli, chef di Locanda Locatelli e giudice di MasterChef Italia.
Iniziamo da Brian McGinn e David Gelb. Il grande successo di Chef’s Table è stato anticipato da Jiro Dreams of sushi (2011). Possiamo dire che la serie Chef’s Table sia nata proprio a partire da quel docufilm? Cosa è accaduto esattamente?
In collegamento dagli Stati Uniti, David Gelb
"Chef's table" ha diffuso dei valori dirompenti: rompere con le idee e con gli stereotipi che avevamo costruito sulla cucina in tv. Precisamente, con quale tipo di idee volevate rompere?
David Gelb: «In tv la cucina è sempre apparsa sotto forma di competizione; l’intenzione di Chef’s Table, invece, è stata quella di portare l’emozione al centro di tutto, spostando l’attenzione su tutto ciò che circondasse lo chef, dal paesaggio al quale è connesso, alla sfera domestica fino alle sue origini».
Nel mese di giugno del 2016, il primo episodio della stagione 1 di Chef’s Table vede protagonista Massimo Bottura. Perché lui e non un altro, magari uno chef della prima serie o di quelle successive?
Brian McGinn: «Nel momento in cui iniziammo a leggere di Massimo Bottura, ci parse sin da subito che quest’uomo avesse un grande messaggio da comunicare, con un linguaggio davvero forte, potente; ogni suo piatto racchiude in sé una storia da raccontare. Certo, alcuni ci provano; ma non tutti ci riescono con ogni singolo piatto. Sapevamo che il mondo si sarebbe innamorato di lui…e poi è italiano».
E ora, Massimo Bottura. Nel passato ti sei sempre mostrato abbastanza riluttante alle apparizioni in TV. Cosa ti ha convinto, alla fine, ad accettare alla proposta di Brian e David?
Da sinistra, Giorgio Locatelli, Massimo Bottura e Brian McGinn
La terza stella Michelin (Novembre 2011), la vetta della World’s 50 Best Restaurants (nel 2016 e nel 2018), l’episodio di Chef’s Table nel 2015. In termini di impatto mediatico, come puoi paragonare questi tre eventi? In che modo hanno cambiato la tua vita in qualità di chef?
«Per le me tre stelle erano il sogno della vita: ricordo ancora quando mi trovavo nell’ufficio di mio padre. Scaraventai tutte le carte che avevo davanti a me in aria, con in testa il desiderio di portare le 3 stelle in Emilia. Era un’ossessione pazzesca e conseguire quel traguardo, è stata per me una gioia imparagonabile. Il risultato? L’Osteria Francescana inizia a conquistare una visibilità a livello mondiale: Belgio, Francia, Stati Uniti - i gourmet di tutto il mondo arrivano da noi, ordinano alla carta, in sala si stappano grandi bottiglie e il fatturato cresce in maniera esponenziale. Una soddisfazione personale, ma anche economica. L’ingresso nella 50 best: la prima volta accade nel 2009 quando l’Osteria diventa il miglior ristorante italiano in classifica; poi, un continuo oscillare: la Francescana, il Celler e il Noma rientrano per anni tra le prime posizioni e questo si rivela un seme per l’amicizia che, nel backstage, nasce tra noi chef; non era una competizione, ma amicizia. Con questo passaggio, Modena diventa una destinazione gastronomica, proprio come lo erano Girona o Copenaghen. Chef’s Table, quindi, amplifica tutto questo perché il potere della comunicazione raggiunge le nuove generazioni: sono i ragazzi di 15/16 anni ora a prenotare un tavolo per le proprie famiglie».
A marzo 2021 Michelle Obama ti ha invitato a prendere parte alla serie Netflix “Waffle+Mochi”, dedicata all’educazione alimentare e indirizzata ai bambini di tutto il mondo. Come hai vissuto quest’esperienza? Che ruolo può giocare la tv in questo approccio educativo al cibo?
«Nonostante la conosca molto bene, essere chiamati da Michelle Obama fa già di per sé un certo effetto. Barack è molto più focalizzato sul cambiamento climatico, mentre Michelle ha sempre avuto a cuore l’educazione dei bambini statunitensi meno privilegiati. Il focus della serie, quindi, era quello di insegnare ai più piccoli a mangiare sano, a mangiare le verdure e per farlo, avevamo lo spazio di due episodi. E fin qui ci siamo: ma c’è ancora una richiesta. Portare nella serie un piatto che per Michelle non poteva mancare: Oops, I dropped the lemon tart. Di nuovo? Penso inizialmente, era già comparso ovunque. Questo era il mio pensiero iniziale, fino a quando Mrs. Obama mi offre la sua personale lettura di quel piatto, un’interpretazione mai ricevuta prima di allora: Oops insegna a non aver paura di commettere errori. Tutti possono sbagliare, persino lo chef migliore al mondo».
E arriviamo a Giorgio Locatelli. Nel 2013, hai fatto da pioniere con la serie “I Buongustai dell’arte” per il canale TV italiano Sky Arte. Puoi raccontarci qualcosa a riguardo?
Giorgio Locatelli: «Si tratta di un programma nato assieme al critico d’arte Andrew Graham Dixon: era il tempo della raccolta delle olive in Sud Italia, io ero lì quando mi ritrovo all’improvviso a dialogare con Andrew, in una chiesa, guardando uno splendido dipinto di una Madonna. Nasce un momento magico, siamo trasportati in un’altra dimensione e viene a galla un’idea che proponiamo inizialmente alla BCC: un programma che trattasse di cibo ed arte in pari misura, perfettamente in equilibrio. Dopotutto, in entrambi i casi, parliamo di cultura.
Arriviamo a 6 serie, con un viaggio che parte dalla Sicilia e poi si estende lungo tutto il Bel Paese; una grande esperienza, un processo conoscitivo straordinario, a cui si somma la forza che la tv o il cinema hanno di fissare qualcosa nel tempo. Credo sia questo il motivo per cui Chef’s Table è un programma di cui tutti parlano. Non solo: ascoltando i racconti degli chef, conoscendo le loro storie, le nuove generazioni realizzano che intraprendere questo mestiere richiede sicuramente tanta fatica, ma può portare a risultati sorprendenti».
di
Classe 1991. Irpina. Si laurea in Lingue e poi in Studi Internazionali, ma segue il cuore e nella New Forest (Regno Unito) nasce il suo amore per l'hospitality. Quello per il cibo era acceso da sempre. Dopo aver curato l'accoglienza di Identità Golose Milano, oggi è narratrice di sapori per Identità Golose. Isa viaggia, assaggia. Tiene vive le sue sensazioni attraverso le parole.
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