17-11-2020
Un esercizio molto difficile è dare profondità al tempo, contestualizzare le novità, credere che un qualcosa di nuovo non possa essere presto o tardi superato e alla lunga finire nel dimenticatoio. Tutto quello che oggi ci può apparire come straordinario, un domani non sarà più tale e arriveranno generazioni che nemmeno sapranno cosa mai fosse. Ma quasi sempre lo capiamo dopo.
E adesso che noi di Identità Golose abbiamo dato vita a Identità on the road per liberarci dalla tirannia di un Covid che ci obbliga a continue soste ai box, rivivo nella memoria i mille e mille miei momenti sulla strada. Penso a quelli in cui ero in giro per lavoro, che mi viene spontaneo confrontare con l’esperienza appena vissuta per registrare una ventina di servizi tra Milano e Castel di Sangro. Non ero solo, la maratona ha visto protagonisti pure Carlo Passera, che si è diviso tra Padova e il confine con la Slovenia, e Gabriele Zanatta, brillante il suo palesarsi a Modena.
Antonia Klugmann, cuoco dell'anno a Identità on the road 2020. Cuoco, non cuoca
Faccio un esempio che calza bene con il mondo dell’informazione, intesa nel senso più ampio possibile. Oggi ci suona impossibile non avere lo smartphone, apparecchio che fa apparire dei macinacaffè i primissimi telefonini. Lo stesso i computer portatili rispetto a quelli da tavolo. Ma negli anni Ottanta i telefoni erano fissi, appoggiati su tavoli e scrivanie, e la macchina per scrivere era meccanica, a martelletti, come la leggendaria Olivetti Lettera 22 di Indro Montanelli. Proprio per questo, quello che adesso ci suona come anticaglia ebbe allora lo stesso effetto dirompente dei prodotti all’avanguardia ora.
Il Piccolo Principe e il suo autore, Antoine De Saint-Exupéry
Di due cose sono certo: un giro d’Italia come questo, targato Identità on the road, sarebbe stato impossibile fino a una dozzina di anni fa. Il Buon Paese percorso in lungo e in largo, su e giù in sette giorni, lo si poteva fare per diletto, non per lavoro. E’ figlio di tecnologie che non esistevano. Seconda certezza: la privacy è scaduta a ipotesi. Siamo costantemente monitorati. E meno liberi perché collegati anche quando crediamo di avere spento l’Iphone.
Indro Montanelli nella sede del Corriere della Sera in via Solferino a Milano, o appena tornato dalla guerra in Finlandia nel 1940 o al ritorno dalla rivolta di Budapest nel 1970. La foto, celeberrima, venne scattata da Fedele Toscani. Sulle ginocchia di Montanelli una Olivetti MP1, il primo modello portatile della casa di Ivrea
L’accredito della testata ti garantiva un posto in tribuna e poi l’accesso alla sala stampa. A partita terminata, chiamavi la redazione, raccontavi i fatti salienti, ti dicevano quante righe scrivere e ti mettevi in moto. In pratica la giornata iniziava verso sera. A pezzo chiuso dovevi dettarlo. Altro che telefonino. Centralino, e ogni stadio aveva il suo. E le linee non erano mai sufficienti. Coda e attese, più o meno lunghe anche perché, quando finalmente parlavi con Milano, poteva essere che non vi era nessuno libero per registrare il tuo articolo.
E se vi sorprendono così tanti passaggi, sappiate che era così anche per le notturne quando, per accorciare i tempi, dettavi a braccio ovvero a voce, senza scrivere, giusto qualche appunto. E’ per questo che, quando l’intero nostro lavoro passò su computer, fissi in redazione e portatili in trasferta, tutti questi passaggi sparirono (e con loro stenografi e tipografi). Però non cambiò l’ora di chiusura della prima edizione del numero dell’indomani: sempre alle 23. Questo avrebbe dovuto insospettire tutti.
a cura di
nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose. blog www.paolomarchi.it instagram instagram.com/oloapmarchi