L’urgenza di guardare lontano e l’assunzione di una visione comune. È una rara, doppia lezione quella che abbiamo appreso nel fine settimana scorso a Savorgnano del Torre, una frazione di neanche mille anime a Povoletto, comune nell’immediato nord-est di Udine, tecnicamente parte del recinto dei Colli Orientali del Friuli.
Una collina che precede splendide boscaglie pre-alpine, legato alla sua storia, in sviluppo ma con grande attenzione alla tradizione. Terreni di marne e arenarie che più a sud si mescolano alla ghiaia. Una piccola comunità, vocata da lungo tempo alla viticoltura di sostentamento per consumo autonomo. Famiglie diventate progressivamente micro-aziende che oggi piantano e vinificano principalmente uve friulano (ex tocai), picolit, verduzzo refosco, schioppetino e, più di recente, sauvignon. Una delle poche zone d’Italia che coltiva ancora un rapporto diretto col cliente («Il 60% dei volumi», dichiarano, «si vende ancora in loco», face to face).

I produttori di Savorgnano del Torre riuniti nella cantina di Sara e Sara
Sono 5 piccole cantine -
Marco Sara,
Sara e Sara,
Marco Pinat,
Perini e
Genio - condotte non da competitor che si guardano in cagnesco, come spesso accade, ma da amici che esibiscono una genuina confidenza. E quando diciamo “piccole cantine”, intendiamo proprio quello: le rispettive superfici vitate in qualche caso sommano appena i 2 ettari, e comunque non superano mai i 7. Con accortezze in via d’estinzione: «Noi, per esempio», specifica
Giovanni Genio della cantina omonima, «scriviamo sulle etichette ‘vini fatti a mano’ perché nascono da pendenze eroiche, che in qualche caso superano il 30%. Sono vigneti che non hanno mai visto la ruota di un trattore. Terreni vergini, mai compattati, con inerbimenti naturali e
sovescio».
Abbiamo assaggiato i due vini bandiera delle aziende di questo micro-territorio:
friulano e
picolit. Abbiamo trovato i primi quasi tutti magnifici per freschezza e mineralità, un doppio segno distintivo che li separa dai consimili dei Colli Orientali più a sud, che sfoggiano una maggiore tendenza al corpo e al frutto. Mentre i picolit dolci non donavano le diffuse note grasse, oleose e ‘ciccione’ in bocca: più fini ed eleganti di tanti passiti italiani, esprimono sapidità e acidità. Così freschi che è un peccato confinarli alla fine del pasto, comprimari di dessert o formaggi, come spesso accade. Provate ad accompagnarli anche alle pietanze salate. O, ancora meglio, ad assaporarli distanti da ogni altra contaminazione organolettica, eno e/o gastronomica.

Alcuni esemplari di Picolit di Savorgnano
Definite le promesse, siamo molto curiosi di assaggiare la sfida più ambiziosa che attende i
Savorgnano boys. È in attesa di approvazione dal ministero il disciplinare di un vino che mira a diventare bandiera del micro-territorio. Un blend di friulano e picolit con non meno di 18 mesi di affinamento tra botte e bottiglia. L’espressione di una sottozona ambiziosa: poche bottiglie «con potenzialità d’invecchiamento notevoli», giurano. Un focus ristretto che restringe il cerchio delle uve, invece di allargarlo - una tentazione dispersiva molto frequente in Friuli, peraltro terra di grandi bacche bianche e nere.
«Siamo inclusivi», assicurano i ragazzi, «chi si riconosce nei nostri valori è super-benvenuto. Ma non inonderemo mai il mercato di bottiglie perché vogliamo fare piccole tirature e batterci semmai per far lievitare nel tempo il prezzo. Significherebbe dire che il mondo s’è accorto di noi».