C’è un’Italia che crede negli alambicchi. E non solo nella grappa, prodotto esclusivo della nostra nazione, ma anche negli altri distillati, negli amari e nei vermouth.
La prima edizione di B’Nu Spirits ha voluto proprio accendere i riflettori su questo mondo per certi versi inesplorato, o forse è meglio dire poco conosciuto rispetto a quello ben più celebre del vino, proponendo un concorso che potesse racchiudere le produzioni 100% italiane.

Le attente valutazioni in commissione (foto @andreapiacenza)
Non facile, quindi, il compito delle commissioni di degustazione, che si sono riunite nei giorni scorsi a Orosei, in Sardegna, nell’ambito
di Let’s Talk #Nu, in una settimana che ha racchiuso le finali della guida
Vini Buoni d’Italia del
Touring, le degustazioni di
B’Nu Spirits e le commissioni di
B’Nu, il concorso enologico voluto e organizzato da
Unioncamere Sardegna e in particolare la
Camera di Commercio di Nuoro, e giunto alla sua ottava edizione. Non facile anche per l’eterogeneità dei prodotti, per la difficoltà di analizzarli da un punto di vista oggettivo, ma per valutarli anche con un’ottica di miscelazione.
In attesa dei giudizi complessivi delle giurie di Orosei, il quadro che ne emerge è tutto sommato positivo: un’ottantina di campioni presentati, per essere una prima edizione, è un numero significativo, con la volontà da parte degli organizzatori di aumentare ancora di più il panorama sul mondo dei superalcolici.

Una delle commissioni riunite a Orosei (foto @andreapiacenza)
Analizzando le varie categorie, l’impressione è che la grappa rimanga ancora il punto di riferimento della distillazione italiana. Lasciano ancora perplessi quei prodotti che denotano dei palesi difetti di realizzazione, ma per fortuna si tratta di pochissime “pecore nere” in un consolidato ambito di qualità. Le acqueviti “generiche” hanno invece destato meno impressione.
Nel mondo dei distillati, sicuramente la maggiore vivacità la troviamo nell’ambito dei Gin, nelle tre sottocategorie London Dry, Distilled e Botanicals. La ricerca di eleganza è una delle caratteristiche più apprezzate proprio dei London Dry, con poche deviazioni rispetto alla linearità olfattiva distintiva dettata dal ginepro.Dispiace, però, che alcuni gin di ottima qualità fossero stati erroneamente catalogati dallo stesso produttore come London Dry: una fuoriuscita dallo stile di riferimento, infatti, risulta essere molto penalizzante in un concorso così specifico.
Interessanti, soprattutto in un’ottica di miscelazione, i gin delle categorie
Distilled e
Botanicals: solo in alcuni casi le botaniche erano un po’ troppo “spinte”, perdendo di vista l’equilibrio finale dei prodotti. Sicuramente viene evidenziata la creatività italiana: fuori dagli schemi, si riescono a creare distillati con un “marchio di fabbrica” evidente.
La riscoperta degli ultimi anni del vermouth, sia bianco che rosso, ha portato a Orosei alcuni prodotti interessanti. Anche qui il capitolo “equilibrio”, in alcuni casi, era ai limiti, ma sono stati assaggiati prodotti vari e duttili, capaci di accontentare le differenti tipologie di consumatori.
L’ultimo settore è il più ostico: quello degli amari. In questo caso la tradizione italiana si è tradotta, purtroppo, in un legame troppo forte con il passato. Prodotti ancorati più che a una tradizione a un tradizionalismo eccessivo, non proiettati al presente dove si cerca bevibilità ed equilibrio.
Pochi campioni hanno invece trovato il passo giusto: agilità, aromaticità, il giusto amaro, equilibrio. Sicuramente prodotti vincenti. Ma i risultati si sapranno solo dopo l’estate.