Si dice che gli esami non finiscano mai. In realtà, secondo Pierapolo Sirch, gli studi non finiscono mai. Ed è un concetto che ha voluto portare nella Feudi di San Gregorio, l’importante azienda irpina con la quale ha iniziato a lavorare nel 2003, e della quale ora è amministratore delegato e direttore della produzione, a fianco del presidente Antonio Capaldo.
«Quello che mi è stato chiesto quando sono arrivato – ha spiegato Sirch – è di riportare l’azienda con i piedi nel vigneto. Dobbiamo pensare che egli anni passati si piantava un po’ ovunque, dove capitava, senza una piena conoscenza delle potenzialità dei terreni. Il nostro pensiero è stato differente: ci siamo concentrati al cuore».

L'azienda si trova a Sorbo Serpico, nel cuore dell'Irpinia
Un lavoro impegnativo, come spiegato da
Sirch: «Per fare tutto questo – sottolinea - ci vogliono le persone, non i numeri. E’ necessario riportare l’uomo nella vigna e riconquistare la sensibilità per capire quello che sta succedendo nella vigna».
La concentrazione di Sirch per i vigneti, ha portato l’azienda a vinificare separatamente ogni singolo vigneto: abbiamo già avuto modo di sottolineare come l’azienda possa contare di 400 ettari vitati, suddivisi in quasi 800 particelle, che vengono vinificate tutte separatamente.

La cantina dei Feudi di San Gregorio
Ma si può andare oltre: da qui nasce il progetto Studi, che da alcuni anni proprio
Pierpaolo Sirch sta portando avanti per meglio identificare come alcuni vitigni autoctoni, come
Fiano,
Greco e
Aglianico, possano avere delle peculiarità molto differenti a seconda dei terreni e delle condizioni pedoclimatiche delle singole microzone.
«Vogliamo leggere l’Irpinia secondo le varie zone». E gli Studi sono legati anche al particolare allevamento delle vigne, a raggiera avellinese, che riporta alla tradizione dell’area di produzione.
Per ogni tipo di Studio sono state realizzate 1.500 bottiglie per tipologia, arrivando a individuare 3 aree per il
Greco di Tufo, altrettante per il
Fiano d’Avellino, e due per il vitigno
Aglianico, che serve a realizzare il
Taurasi Docg.
Ci concentriamo sul Greco di Tufo: ogni vino prende nome dalla zona di produzione. Il primo è l’Arielle 2016, prodotto da vigne di circa 20 anni che si trovano su un terreno argilloso a circa 700 metri di altitudine: si tratta di un vino fresco, floreale e fruttato, immediato e di buona intensità, con un finale ancora abbastanza sapido e piacevolmente pungente.

La degustazione di Greco di Tufo della collezione Studi
Il secondo è
Laura, ovviamente ancora 2016: i vigneti in questo caso si trovano a circa 400 metri, non lontano dalle miniere di zolfo e da vigne più vecchie. Ci troviamo di fronte a un vino all’inizio un po’ più introverso, che poi esce e si esprime unendo eleganza e complessità, oltre ad avere una grande prospettiva di affinamento negli anni.
Il Bussi 2016, infine, è ancora differente: vigneti di una quindicina d’anni, su argille compresse. Vino verticale, diretto, dalle piacevoli note sapide, dove il frutto trova un’integrazione in sentori anche minerali.
Insomma, un vitigno, stessa modalità di produzione, ma zone e risultati completamente differenti. E gli Studi stupiscono anche sul rosso, con il
Taurasi: il
Candriano 2012 (vigne di circa 25-30 anni) risulta più immediato, piacevole, ampio e morbido; il
Rosamilia 2012 (vigneto di oltre 50 anni) è più introverso, ma anche complesso, elegante, raffinato e longevo.
Quale il migliore? Nessuno. Nel senso: ogni vino ha la sua storia, le sue caratteristiche, la sua vita. E il nostro gusto personale è esattamente come il vino.