Esiste la cucina fusion, che unisce culture, tecniche e culture di vari paesi. Per certi versi, il Mercato dei Vini di Piacenza, che si è tenuto lo scorso fine settimana, si è tramutato nella “fusion” dei vini, con i vignaioli (perché produttori è un termine sicuramente riduttivo) che hanno potuto incrociare le proprie esperienze, le scelte, le filosofie di produzione. Erano ben 427 le aziende presenti a questa sesta edizione organizzata dalla Fivi, Federazione Vignaioli Indipendenti, con 9mila presenze. Per capire il successo di questa manifestazione, basta fare il paragone con lo scorso anno, quando c’erano circa cento vignaioli in meno (erano 330 nel 2015) e i visitatori erano stati circa 6mila.
Insomma, la manifestazione della
Fivi funziona. Perché non si tratta solo di una semplice questione di numeri, anzi, perché rispetto ad altre fiere c’è un clima diverso. Non ci sono solo gli “esperti del settore”, i tecnici, i giornalisti, i buyer, bensì soprattutto i semplici appassionati che, armati con il carrello della spesa preso in affitto all’entrata della manifestazione, hanno potuto fare un “giro d’Italia” enologico, potendo così arricchire la propria cantina e, magari, comprare qualche regalo da fare a Natale. E gli stessi vignaioli hanno avuto la possibilità di confrontarsi, di scambiare opinioni, di capire dove stia andando il mondo del vino in Italia.
La
Fivi ha una sola regola: “Il vignaiolo coltiva le sue vigne, imbottiglia il proprio vino, curando personalmente il proprio prodotto. Vende tutto o parte del suo raccolto in bottiglia, sotto la sua responsabilità, con il suo nome e la sua etichetta”. Quindi, al centro dell’attenzione, c’è l’uomo. Qui non importa se un produttore fa biologico, biodinamico, o utilizza viticoltura convenzionale. Attualmente sono quasi mille i produttori associati, da tutte le regioni italiane, per un totale di circa 10mila ettari di vigneto, per una media di circa 10 ettari vitati per azienda agricola. Sono 70 i milioni di bottiglie commercializzate e il fatturato totale supera 0,7 miliardi di euro, per un valore in termini di export di 240 milioni di euro. I 10mila ettari di vigneto sono condotti per il 49% in regime biologico/biodinamico, per il 20% secondo i principi della lotta integrata e per il 31% secondo la viticoltura convenzionale.

Anna Maria Abbona e il marito Franco
Tra i tanti assaggi, ne citiamo alcuni:
Gaetano Morella ha portato da Manduria ottimi Primitivi (che hanno bisogno di affinare ancora un po’ in bottiglia), ma anche un Primitivo Negroamaro 2013 (50 e 50 tra le due varietà) che è una grande espressione del territorio. In Piemonte,
Paolo Avezza dimostra che la Barbera, a Nizza, può fare grandissime cose. E poi stupisce con le sue bollicine, un Alta Langa (80% Pinot nero e 20% Chardonnay) molto elegante e uno spumante rosè straordinario a base Nebbiolo. Un Dolcetto di Dogliani?
Anna Maria Abbona e il marito
Franco dimostrano che il loro
San Bernardo è un vino complesso e ricco. Attenzione anche al loro Riesling, che in Piemonte producono con ottimi risultati. Da seguire i giovani
Massimo e Marco Collavo e il loro
Collfondo, Prosecco Doc Treviso, vino frizzante non filtrato: il vino di una volta, che sta diventando il vino del futuro. Ma ci sarebbe da raccontare anche l’
Ovada (davvero ottima la
Riserva) di
Cascina Boccaccio, oppure il botritizzato e avvolgente
Una (Malvasia Aromatica di Candia) di
Enrico Sgorbati di
Torre Fornello. E ce ne sarebbero ancora tantissimi: il livello dei 427 espositori era decisamente molto alto.