Andrea Berton ha impiegato 46 anni - 27 dei quali ai fornelli - per scrivere il suo primo libro di cucina. In tempi in cui cuochi precoci stilano ricettari definitivi è già una prima bella notizia. La seconda è che il volume “Non è il solito brodo” - un titolo che gioca sulla passione più recente del friulano: consommé e bouillon – ha un’anima interessante: ognuna delle 35 ricette che lo compongono è in doppia versione, “i piatti del ristorante” e “le ricette per voi”.
Questo concept si riflette sulla struttura stessa del libro, double face: la copertina in cui il cuoco indossa una camicia di jeans, su sfondo giallo, prelude alle ricette riproducibili a casa. Quella invece speculare in cui sfoggia la parannanza su sfondo nero introduce ai piatti del ristorante milanese, aperto nelle ex Varesine di Milano due anni e mezzo fa. Al contrario delle prime ricette, le seconde non sono accompagnate da ingredienti e procedimento ma da brevi racconti che dipingono l’idea di fondo ed esplorano le evoluzioni. «Perché le tecniche», spiega giustamente il cuoco, «si rinnovano di continuo e non bisogna mai stare fermi».

Berton (il più alto, in fondo a destra) ai tempi dell'apprendistato al Louis XV di Alain Ducasse (in primo piano), anno1993
E’ un’ossatura intelligente perché lascia intendere due verità ulteriori: non ha senso invitare noi comuni mortali a riprodurre a casa una ricetta dalla cifra tecnica elevata (
molto elevata nel caso del friulano), che a volte chiama il lavoro di una brigata intera. E poi, per quanto certi piatti possano apparire distanti dal nostro comprendere, la matrice e il punto di partenza è sempre e per forza “pop”, parte sempre dal basso.
Prendete un signature bertoniano, la
Parmigiana di melanzane, classica nella versione di pagina 22. Poi rivoltate il libro e apritelo a pagina XXII. Il nome del piatto è lo stesso ma l’aspetto è profondamente diverso: sono 8 sfere rosse bianche e verdi - che il cuoco cucinò per la prima volta a una memorabile cena a 4 mani al
Trussardi con
Alex Atala, nei giorni di
Identità 2012. Un classico trasfigurato per forza perché, spiega bene
Berton nel libro, «Non accettavo l’effetto caldo e fumante, con una parte che colava di lato e la forma che non teneva. Un piatto squisito ma dall’estetica difficile: da qui l’idea di una parmigiana fredda, da mangiare in un solo boccone e con i medesimi ingredienti di quella tradizionale. Ho pensato a una sfera che sorprende perché racchiude la stessa concentrazione di sapori – melanzane, formaggio e pomodoro – che si sciolgono lentamente in bocca». I labirinti di un cuoco che non s'accontenta di quello che ha sempre visto.

Andrea Berton con il maître del ristorante Lorenzo Sica e Alessia Rizzetto, responsabile delle relazioni esterne
Non esiste fantasia senza rigore, però. Lo dicono in modi diversi entrambi i maestri del nostro, autori di altrettante introduzioni al volume.
Gualtiero Marchesi ci ha ricordato il duplice soggiorno di
Berton alla sua corte, prima a Milano nel 1989 e poi nel 2000 in Franciacorta: «Cercavo una spalla in grado di eseguire in modo perfetto le mie ricette. Andrea lo fece con il solito impegno e l’esperienza maturata in un decennio […] Un mix magistrale di fantasia e rigore, grande carattere e un sacco di libertà». Per
Alain Ducasse: «Si capiva che questo giovane aveva la stoffa del grande cuoco. Calmo, serio, organizzato».
Tre aggettivi che calzano bene a questo lavoro piacevole e
challenging per i testi di
Maurizio Bertera («mai incontrato un cuoco così preciso») e le foto (con due sfondi diversi) di
Marco Scarpa.