19-07-2018
Cristina Borgherini, milanese, e Juan Lema di Montevideo, moglie e marito e responsabili di sala e cucina di Trattoria Mirta, piazza San Materno 12 a Milano
Anno 1990: tra colpi di stato civili e militari, la situazione politica ed economica in Uruguay è instabile da tempo. Migliaia di cittadini fuggono dal paese, cercando asilo politico lontano. «Da ventenne ero pure una testa calda», rievoca Juan Lema, uno di loro, «e avevo un rapporto conflittuale con mio padre, un severo signore di origini galiziane. Quell’estate, in Italia, c’erano i Mondiali di calcio. Decisi di cercare fortuna laggiù». Il giovane uruguaiano ha in testa di andare altrove per 3 mesi al massimo e poi tornare a Montevideo; ma 28 anni dopo si ritrova ancora a Milano. Colpevoli della sosta prolungata, la moglie Cristina, due figli oggi intorno alla maggiore età e un ristorante che macina ininterrottamente coperti da quella sera di maggio del 2007, quando aprono il loro primo e unico ristorante. È la Trattoria Mirta, forse l’insegna milanese di qualità con la più ampia sproporzione tra la non-fama del suo cuoco e l’impressionante numero di sedute inanellate ogni pranzo e ogni cena. «Se penso che devo andare in tv o in piazza a far vedere cosa so fare, mi viene male», suda freddo pure ora il cuoco.
Le due vetrine sulla strada di Mirta
Granitiche certezze esplorate sempre da autodidatta, con un’eccezione: una grande amicizia e ammirazione per il mestiere del lecchese Antonio Ietto, a lungo sous chef di Ezio Santin nella gloriosa Antica Osteria del Ponte di Cassinetta di Lugagnano e poi da solo al comando all’Ezzelino di Frabosa Soprana, nel Cuneese. Come Lema, Ietto è un uomo che fugge i riflettori. L’affinità elettiva viene da lì.
Il quinquennio 2000-2005 si apre con l’uruguaiano “chef” per la prima volta: succede al Pont de Ferr, chiamato da Maida Mercuri. «Era un periodo incredibilmente fertile», ricorda, «perché avevano appena aperto l’area pedonale dei Navigli. Cambiavamo carta continuamente, facevamo numeri pazzeschi. Spingevamo tutti nella stessa direzione, c’era grande materia umana». Tra loro, prendevano dimestichezza col mestiere anche l’uruguaiano Matias Perdomo e l’argentino Simon Press, oggi da Contraste, chiamati in Italia proprio da Lema.
Particolare di sala
Insalata di nervetti, fave fresche, cipollotti
Per 12 anni, nel suo istintivo altruismo, il cuoco cerca prima di tutto di dare valore a quei produttori che si spaccano la schiena per fare qualcosa di magico prima di lui: gli affettati della Macelleria Fabbrini del Valdarno, il miele dell’Ape nera sicula, il Graukäse della valle Aurina, il Galletto disossato, piatto firma del Mirta. Il bollino Slow Food timbra la carta una decina di volte. Un menu interamente senza pesce («a parte il baccalà che mi porta Walter Vega, un bravissimo ragazzo») perché l’uruguaiano asseconda un poco pure il suo Dna da americano del sur, a suo agio con la carne. E poi la verdura buona, le cotture precise, gli aromi che profumano e arricchiscono l’insieme, la curiosità di andare in gita in Valvarrone, assaggiare un raviolo di castagne e rifarlo a tutti i costi buono uguale a casa.
Pappa al pomodoro con gelato al parmigiano
Gnocchi di ricotta ed erbette con guanciale arrostito e fonduta di pecorino Fiore Sardo Dop
Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo
a cura di
classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. instagram @gabrielezanatt