Battute finali per Mountain Gourmet Ski Experience, l’evento pensato e voluto da Heston Blumenthal che per il terzo anno consecutivo ha riunito a Courmayeur due eccellenze, quelle paesaggistiche e turistiche della montagna valdostana e le golose proprie dell’alta gastronomia. Tra i protagonisti è stata per la prima volta Clare Smyth, 37enne, la prima donna britannica a conquistare tre stelle quando nel 2008 ha preso le redini del Restaurant Gordon Ramsay a Chelsea, Londra. Un sodalizio, quello col celebre chef scozzese, che dura da anni ma presto s’interromperà: la Smyth ha infatti svelato a Identità Golose come sia in procinto di aprire un proprio locale in autunno, sempre nella capitale inglese.
Una storia, insomma, tutta da raccontare. E che va declinata al femminile: l’indirizzo di 68 Royal Hospital Road contempla per 14 tavoli uno staff di 27 persone (12 in sala e 15 in cucina: tutti maschi) capeggiato però da due volti del gentil sesso: la sommelier Anna Botting e appunto la bionda Smyth, originaria della contea di Antrim, nell’Irlanda del Nord.
Una
self made woman: classe 1978, figlia di allevatori («Ho nel sangue il rapporto con la natura»), ultima dei tre figli di
William, un
farmer, e
Doreen, cameriera, a 15 anni ha iniziato a lavorare nei ristoranti. L’anno successivo ha lasciato il paesello per frequentare in Inghilterra un omologo del nostro istituto alberghiero, l’
Highbury College di Portsmouth, Hampshire.
Da lì una carriera tutta in salita, partendo però dai gradini più bassi: con Michel Roux al The Waterside Inn, quindi stage al californiano The French Laundry e al Per Se a New York, ma anche un anno e mezzo da Alain Ducasse al Le Louis XV di Monaco quando già aveva conosciuto Ramsay, nel 2002. Il ritorno da lui nel 2007 l’ha vista, come detto, conquistare allori che una donna britannica non aveva mai ottenuto: «Gordon è un grande manager, che se vali ti permette di crescere. Se riconosce in te il talento, ti porta avanti».
Ramsay è il mentore dichiarato della Smyth, con Ducasse e Keller. La sua visione è disincantata: «Fare lo chef è un mestiere, come quello del carpentiere. Serve forse un lato artistico, per giungere ad altissimi livelli. Ma la base è la pratica. Occorre studiare i piatti dei più grandi per approcciarne le tecniche. Sono modelli da seguire, e io stessa lo sono diventata per la mia brigata: la conoscenza va diffusa a piene mani».

Salmone, beurre blanc e acetosa: uno dei due piatti preparati dalla Smyth al Mountain Gourmet Ski Experience di Courmayeur (l'altro era Soufflé al limone con gelato al mascarpone): il salmone biologico, leggermente affumicato col kombu, viene cotto per 7 minuti a 50 gradi a bagnomaria e poi scottato in padella
La cucina della
Smyth – ne abbiamo avuto una deliziosa prova a Courmayeur – è elegante, armonica, molto femminile, raffinata. «Parto da basi classiche e prodotti di stagione. Lavoro per ottenere piatti di apparente semplicità, dai quali emerga la verità della materia prima. Oggi le tecnologie e la qualità degli ingredienti selezionati mi permettono di lavorare meglio. Essere creativi risulta più facile».
E’ umile, Clare. Ma ambiziosa: dopo 8 anni consecutivi con Ramsay, senza contare le precoci esperienze precedenti, ha deciso di mettersi in proprio. Lo racconta a Identità: «In autunno aprirò a Londra un mio ristorante. Il nome? La zona? Ancora non sono in grado di dirlo. So però che sarà una grande sfida, che mi consentirà di mettermi in gioco per fare qualcosa di nuovo. Là potrò finalmente preparare ricette che riflettano appieno la mia personalità, ma nello stesso tempo lavorare in un locale “al passo coi tempi”, ossia non solo con un’atmosfera rilassata, ma dando attenzione anche ai temi della sostenibilità ambientale».
Vi proporrà l’evoluzione di suoi piatti ormai divenuti classici, e che più la rappresentano: come il Parfait di limonata con miele, bergamotto e sorbetto di yogurt di latte di pecora («Piace tantissimo. E io amo molto la pasticceria»); oppure l’Halibut scozzese dell’isola di Gigha con finger lime e brodo al ras el hanout, miscela nordafricana di una trentina di spezie che richiama in particolare gli aromi delle tajine marocchine.

La Smyth all'opera a Courmayeur
Ma cosa pensa la
Smyth dell’alta cucina italiana? «Prima cosa: se anche fossi cinese, lavorando in Italia applicherei le mie tecniche ma ai prodotti tricolori, perché avete le materie prime migliori del mondo. Così, rappresenterei molto volentieri tale contaminazione, che d’altra parte fa parte del mio stile».
In Italia non siamo anche troppo legati alla tradizione? «Avete un’identità culinaria forte e non va perduta. Io ne sono, anzi, follemente gelosa. Non cambierei troppo, né troppo di fretta. Conosco i grandi chef della Penisola, veri artisti – penso a Massimo Bottura – Il loro merito è anche quello di partire sempre dal prodotto e dall’identità, che sono i vostri inarrivabili punti di forza».