21-03-2013
Quattro calici in alta quota di Schiava, vitigno che dà origine a una doc sempre più apprezzata, di produzione consentita nella provincia di Bolzano. "Schiave d’Amore" è il nome della rassegna, svoltasi nei giorni scorsi, di cui ci occupiamo nell'articolo: ha messo al centro dell'attenzione i migliori esemplari delle annate 1999-2007
“Ma dai… non ci posso credere”, “Non me lo immaginavo proprio”. Ecco, quando una degustazione, per quanto originale, comincia così puoi già dirti soddisfatto, se poi a dirlo sono i più grandi kellermeister altoatesini la soddisfazione è doppia. Insomma una gran verticale, Schiave d’Amore (La citazione del film di Nikita Mikhalkov, è del tutto voluta) organizzata da un piccolo team di fanatici per una trentina di bottiglie di vini a base Schiava dell’Alto Adige, selezionate tra le annate 1999/2007. Schiave al plurale, perché numerose sono le declinazioni locali e i vitigni storicamente associati a questa denominazione che era il rancio dei Kaiserjäger e il carburante dei contadini, ma soprattutto il vino del cuore e del paesaggio, insomma della Heimat. Oggi, la Schiava, invece, è un vino da riscoprire e un po’ da salvare visto che si riduce sempre più la superficie dedicata a favore degli ottimi (e più redditizi) bianchi. Ma soprattutto un vino-vino da amare da quando con la svolta degli anni Novanta non se ne è mai prodotto di così buono sviluppando quelle doti che ricordano spesso il Pinot Noir.
Tre le varietà diffuse: Schiava Grossa, Schiava Gentile e Schiava Grigia
Roberto Calderan
Il logo della rassegna
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
a cura di
Giornalista, esperto di vini, è tra i maggiori conoscitori della gastronomia e della cultura agroalimentare dell’Alto Adige, e non solo