31-01-2024

Come in un laboratorio: il processo creativo nella cucina di Kanpai

In che modo nasce un piatto? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Nulvetti, da un anno al timone dell'insegna filo-nipponica di Via Melzo: sperimentazione, istinto, recupero della materia. Il racconto dei nostri assaggi

Alla guida della cucina di Kanpai, lo chef Alessan

Alla guida della cucina di Kanpai, lo chef Alessandro Nulvetti - Photo credits @Savour Duo

Milano. Via Melzo, questa lunga passerella di locali, in fila, uno accanto all’altro e - curioso - quasi tutti muniti di un bancone, forse perché nascono a metà tra quello che è un posto in cui entri, bevi una roba al volo e via, o dove scegli di passare un’intera serata.

Insomma, a voi la scelta. Accade anche per Kanpai - cocktail bar con cucina, o cucina con cocktail bar? Dipende dal punto di vista, ma in fondo poco conta quando l’uno e l’altro mondo fermentano e si arricchiscono reciprocamente di contenuti, preferendo identificarsi nella più libera espressione di laboratorio. Che però un binario lo segue ed è quello filonipponico, tanto nella mixology quanto ai fornelli. Il tutto avviene silenziosamente, con discrezione, affinché l’ospite possa lasciarsi incuriosire, guidare e infine sorprendersi: meno clamore, più sostanza e personalità nei piatti e nell’intera proposta drink.

Kopi Nashi, Whisky Maker's Mark, Mr Black liquore al caffè, Mancino kopi, pere nashi

Kopi Nashi, Whisky Maker's Mark, Mr Black liquore al caffè, Mancino kopi, pere nashi

Al bar, la guida è di Vito Laselva: la sua creatività si muove in autonomia rispetto alla cucina, pur condividendone preparazioni e ingredienti, ma ecco la drink list non viene creata in funzione dei piatti, non c’è una corrispondenza univoca tra una pietanza e un drink, sebbene ci sarà sempre un cocktail che riuscirà ad accompagnare le sfumature gustative del cibo. Parliamo di una drink list stagionale, condita da impulso, istinto, e anche una dose generosa di ricordo, come accade per Jiji Vito, il cocktail ricalca la memoria del nonno di Vito, il quale per rinfrescarsi durante le torride giornate d’estate, andava in giardino, raccoglieva limoni e passion fruit (per qualche lontana radice familiare in Brasile) e preparava la granita. Vodka, nero di seppia, yuzu che sostituisce il limone e passion fruit: umami liquido, salsedine, freschezza.

Poi un’ampia selezione di chicche vinose e di sake, dai più limpidi e morbidi, fino a sorsi più complessi, taglienti. E questo è un mondo.

Dall’altra parte, invece, Alessandro Nulvetti - che annovera tra i suoi maestri Fabrizio Ferrari (il suo primo mentore al Roof Garden di Bergamo), Luigi Taglienti ai tempi del Lume, Matias Perdomo da Contraste, Yannick Alleno a Parigi, e un’esperienza meneghina al fianco del maestro giapponese Takashi Kido - e la sua brigata. Tutti giovanissimi, tutti appassionati, tutti convinti che buona parte dei risultati si ottengono quando si lascia tempo agli occhi e alla mente di registrare i mutamenti che la tecnica produce sulla materia, fissarne le reazioni, fissare i sapori nel loro arco evolutivo. «Non sentiamo l’esigenza di comunicare che alla base dei nostri piatti esistono lavorazioni complesse, che dietro ogni creazione esistono preparazioni lunghe giorni - commenta Nulvetti -, ma spesso attendiamo anche mesi prima di testare un risultato e, solo poi, ci sforziamo di comprenderne l’uso migliore in un piatto».

Shokupan (il tipico pane in cassetta al latte, naturalmente home-made), tartare di cervo, maio al garum di manzo, cacao e rafano

Shokupan (il tipico pane in cassetta al latte, naturalmente home-made), tartare di cervo, maio al garum di manzo, cacao e rafano

Un modo di fare che giustifica la scelta di non rivolgersi a fornitori per reperire una certa preparazione o un ingrediente particolare - il miso, le salse per esempio - ma di imparare a farla in casa.

Ma cosa troviamo in tavola?

Polpo

Polpo

Un intreccio di consistenze che incide sul gusto, per cui un polpo carnoso, irrorato con dello jus di pollo, tenero, succulento (e per niente gommoso) evocherà una similarità molto vicina a quella delle carni dello stesso volatile presente però solo sotto forma di salsa; sapidità incisive che però si bilanciano attraverso iniezioni di dolcezza, punte di calore sprigionate da diverse intensità di piccante, lontane tracce d’amaro, in altre parole: umami; l’approccio sartoriale di alcuni piatti, come lo Spiedino d’anatra, che tale rimarrebbe se non scoprissimo che la carne viene prima sfilettata per ottenere delle fette sottilissime che vengono “ricucite” una sull’altra, quindi racchiuse nel budello; stratificazioni che, ancora una volta, incidono sulla consistenza “più strutturata”, mentre sul palato arrivano sensazioni gustative non così lontane da quelle che emanano le interiora, e sul finale erba cipollina a rinfrescare.

Spiedino d'anatra, erba cipollina

Spiedino d'anatra, erba cipollina

Ad incuriosirci ancora di più, però è il tentativo di identificare in che modo tali risultati si riescono a raggiungere e così abbiamo individuato tre piatti e altrettanti processi creativi attraverso i quali sono stati generati.

 

IL PROCESSO CREATIVO DI KANPAI

Affidarsi al caso, sperimentare

Udon, garum di gamberi, gambero crudo, tenkasu

Udon, garum di gamberi, gambero crudo, tenkasu

Studio, sperimentazione dicevamo, ma anche rovesciare gli schemi, seguire l’istinto nutre l’idea: è il caso del garum di gamberi. Un anno di lavorazione circa, dunque una volta pronto, perché non utilizzarlo a contatto con il calore? Che sensazioni sprigiona? Mare, certo, ma un mare più intenso che schiude un’immagine nitida molto cara ai noi italiani: lo spaghetto alle vongole. Ma dal momento che è di Giappone che si parla, via gli spaghetti, e largo spazio agli udon: spessi, callosi, assorbono gli umori del mare, del gambero crudo aggiunge grassezza all’assaggio, una salinità pù tenue; il tenkasu, invece, struttura la masticazione articolandola su più livelli: si tratta di “gocce di tempura”, se così possiamo definirle - in pratica, quando avanza della pastella per la tempura, piuttosto che sprecarla, in Giappone si immergono le bacchette nel composto e si lascia che lo schizzo finisca in olio bollente così da ottenere dei frammenti croccanti, neutri, ma sfiziosi per condire la qualunque. Finale dolce acido, con polvere di vinaccia d’uva fragola (essiccata e polverizzata), avanzo prezioso del periodo delle fermentazioni.

 

Recupero

Branzino, spaghetti di alghe affumicate, teste di gambero fritte in salsa ponzu

Branzino, spaghetti di alghe affumicate, teste di gambero fritte in salsa ponzu

Inizio pasto, branzino: la tradizione giapponese vuole che sia avvolto in foglie di alga kombu dopo essere stato lavorato con il sale; potremmo dire che il pesce matura, ma per l’esattezza si tratta di una marinatura che dura 4-5 giorni e così il branzino assimila il sapore dell’alga che “si fissa” nelle sue carni, e il pesce è pronto. Ma le alghe? Solitamente ne vien fatta un’insalata; Nulvetti e i suoi le affumicano leggermente, ricavando degli spaghettini che saltano in una salsa al sesamo e gamberi crudi. Le teste di questi ultimi, invece, vengono fritte per essere utilizzate a mo’ di chips da intingere in una salsa ponzu.

 

Dritti al sodo: ingrediente e tecnica

Un unico ingrediente, sale e poi tutto tempo e tecnica. La verza, o se vogliamo “la torta di Kanpai”, è un’intelligente interpretazione del vegetale, perfettamente contestualizzata in quel mondo di neon, fumetti e lanterne; un piatto che mette sulla buona strada per comprendere che qui possiamo aspettarci molto di più rispetto a ottimi bao e gyoza saporiti, che pure troviamo ma il consiglio è di andare un po’ oltre lasciandosi incuriosire di volta in volta da qualcosa di nuovo.

Verza, salsa al sesamo con olio al prezzemolo e olio al peperoncino e Zucca hokkaido, cotta al forno e marinata in sake e aceto di riso, salsa teriyaki, wasabi e alga kombu

Verza, salsa al sesamo con olio al prezzemolo e olio al peperoncino e Zucca hokkaido, cotta al forno e marinata in sake e aceto di riso, salsa teriyaki, wasabi e alga kombu

In questo caso, la verza intera viene immersa in una soluzione salina e vi resta per oltre 24 ore; senza che si avvii la fermentazione, il sale inizia a rompere le fibre. Dopodiché viene asciugata in forno avvolta nella carta stagnola, il tempo passa e la verza è pronta: gli strati si compattano, la nota pungente della verza cruda si disperde e i succhi concentrati uniti al sale estraggono l’umami, rafforzato dalla salsa al sesamo, la cui aggiunta rimanda all’assaggio quasi a uno stracotto di carne.

Tutto questo per dire che da Kanpai la creatività non è un concetto fatto e finito, ma preferisce nutrirsi di stimoli e imprevisti di una quotidianità condivisa, per costruire un’identità che, in fondo, è il riflesso del lavoro stesso.


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Marialuisa Iannuzzi

Classe 1991. Irpina. Si laurea in Lingue e poi in Studi Internazionali, ma segue il cuore e nella New Forest (Regno Unito) nasce il suo amore per l'hospitality. Quello per il cibo era acceso da sempre.  Dopo aver curato l'accoglienza di Identità Golose Milano, oggi è narratrice di sapori per Identità Golose. Isa viaggia, assaggia. Tiene vive le sue sensazioni attraverso le parole.

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