Anche nel mondo della cucina di alto livello a volte l'eccezione conferma la regola: non sempre è necessario aver trascorso lunghi periodi alla corte di rinomati chef per trovare la propria strada tra i fornelli. Talvolta è sufficiente anche solo avere la determinazione e la costanza di una locomotiva lanciata a tutto vapore e si può trovare la giusta collocazione nel mondo della gastronomia. Questa potrebbe essere la sintesi brevissima del curriculum vitae di Valerio Braschi, che non ha trovato semplicemente il suo posto, ma una poltrona in carrozza di prima classe.
L’apertura del Vibe, il suo ristorante, a settembre 2023 è stata una delle più attese novità a Milano; i vacanzieri di ritorno dal mare hanno avuto una bella sorpresa, qualcosa di diverso nel vastissimo panorama gastronomico menegino.
Non di certo vergine di fornelli, Braschi ha trascorso gli ultimi quattro anni a Roma, presso il Ristorante 1978 (ne abbiamo scritto qui: “Quello bravo di Masterchef”: nostro endorsement per Valerio Braschi, che lascia Roma e sbarca a Milano), ma il capoluogo lombardo rappresentava una sfida degna di essere accettata: portare tutto il suo entusiasmo al servizio degli ambrosiani e misurarsi con una delle città con la più alta concentrazione di ristoranti gourmet in Italia.

Valerio Braschi con il suo sous chef e pastry chef Francesco Di Lallo, che ha già lavorato con lui al 1978 di Roma
Tanto talento, slancio da vendere a pacchi e una dose abbondante di affinità al rischio sintetizzano l’approccio al gusto dello chef, ma ciò che stupisce teneramente è la sua iniziale timidezza accoppiata alla totale assenza di imbarazzo nel proporre un menu che, a parte il nome, all’apparenza sembra davvero da grandi:
Diario di un ragazzo viaggiatore.
Appassionato di Giappone, lui là c’è stato davvero, non googlando qualche tempio o qualche ricetta di tempura dal blog della signora Kimikoto; aereo, valigia e via ad esplorare il paese del Sol Levante e l’Asia, per poi ritornare con due tesori: la memoria del gusto e l’ossessione per i brodi.
Nella cucina orientale questi ultimi hanno una sacralità tale da essere un terreno difficile su cui misurarsi anche per i più arditi. Come accade per il sushi, per diventare un maestro dei brodi occorre un tirocinio lunghissimo, tutto puntato sulla ricerca dell’eccellenza e della perfezione. E proprio a questo punto arriva il colpo di teatro di Braschi. Pur non essendo esecuzioni didascaliche e perfette, i suoi brodi hanno comunque quell’ingrediente segreto che te li fa arrivare dritti al cuore; mentre li bevi ti si disegna sul viso un sorriso simile a quello dei bambini felici. Il talento è fuori discussione; il Vibe potrebbe essere tranquillamente paragonato a una miniera ancora grezza e colma di pietre preziose che aspettano di essere portate in superficie.

Cappelletti di “lasagna della Bruna”
Il viaggio servito al
Vibe ha molteplici dimensioni, non c’è solo la distanza percorsa tra Santarcangelo di Romagna (di dove lo chef è originario) e il Giappone – l’aspetto evocativo riveste un ruolo importante – ma anche quella del salto nel tempo per portare nel futuro ciò che è stata la sua infanzia. Quindi l’asse Santarcangelo-Tokio si arricchisce delle
Lumache, ceci, chorizo e rosmarino (che poi sembra una gita di
Fulvio Pierangelini a Lloret de mar, in pullman e seduti in ultima fila,
ça va sans dire), ma anche del ragù della nonna
Elsa (un sugo fatto solo con lardo, concentrato di pomodoro e salsiccia, un’esplosione di gusto che diventa come un bang sonico: se chiudi gli occhi la nonna la vedi davvero) che, racchiuso dentro a un cappelletto, diventa il cuore di
Valerio su una fonduta di Parmigiano.

Curry di banana, cocco, ceci e creme fraiche allo zenzero
Siamo solo all’inizio perché l’approccio dei creativi, e qui ne abbiamo uno di razza, non è quello di stupirti a tutti i costi, ma quello di mostrare una parte di ciò che sono. Dicevamo che siamo all’inizio, infatti un bel muro di sapore arriva con il brodo di pecora servito così, senza tanti complimenti, come una lezione accademica sull’umami, che però non fa restare a bocca aperta meno del
Curry di banana, cocco, ceci e zenzero… e qui la domanda è d’obbligo: ma come gli è venuto in mente? Poi è il turno di un piatto minimal, che all’apparenza si mostra come l’elogio della semplicità, ma come avete già capito invece è il frutto della mente di uno scienziato pazzo:
Glacier 51 e Rubia Gallega. Sul pesce nulla di particolare da descrivere se non che la pelle diventa una bella spalla croccante a tutto il resto, ma la salsa di Rubia è la protagonista indiscussa, ruvida come una grigliata e sensuale come uno sguardo colmo di desiderio, è sia un pugno in faccia che una carezza: jus di manzo e grasso frollato di Rubia, emulsionati insieme grazie agli ultrasuoni, diventano un cucchiaio colmo di velluto.
Valerio questa salsa la trasforma anche in una polvere bianca e la mette dentro a una bustina; lo stile è quello della lasagna in tubetto: provocazione piena, oltre i confini e dentro al gioco.

Glacier 51 e Rubia Gallega
Se con questo piatto ci siamo allontanati dal fil rouge del menu, con il crudo di calamari ci tuffiamo di nuovo in Asia e ci allontaniamo anni luce dalla zona di comfort della moderna ristorazione. Nessuna quenelle di gelato per avere il punto freddo, tutto il piatto è freddo così come le posate per mangiarlo che arrivano direttamente dal freezer:
Crudo di calamaro, crema di carote e sommaco, salsa chimichurri. Azzardo puro e forse un pizzico di inconsapevolezza, ma risultato da podio; fatto sta che alla vista, se non si avessero ulteriori indizi, sembrerebbero i noodles ghiacciati cinesi, salvo poi assaggiarli per trovare il calamaro che dopo pochi morsi si scioglie in bocca liberando tutto il suo sapore. Nonostante il gelo e il discomfort iniziale, il morso esplode in una concentrazione di gusti per niente banale.
Il pre dessert, piatto che Braschi non ha mai tolto dal menù da quando era a Roma, ha un nome che è tutto un programma: Errore perfetto. In poche parole, è un piccolo shot di gelato sciolto al fiordilatte con pepe Sancho, bergamotto e uova di trota. La leggera anestesia data dal pepe (una sensazione trigeminale mica male) lo rende un assaggio molto fisico, che da semplice shot evolve in un boccone di cui si avrà memoria: un bel rimpallo di agrumi con la chiusura salata (e quasi affumicata) delle uova di trova. Gelato sciolto ma anche no, anzi sì, anzi ancora: Errore perfetto ha l’equilibrio di un piatto provato mille volte, quando invece è frutto di un solo, fortunatissimo, tentativo, preciso come una freccetta nel centro del bersaglio.
Come quella di Jack Sparrow, la bussola di Braschi non segna mai una direzione precisa, se non quella della pazza creatività che non conosce confini, ma in qualche modo disegna una strada che, ne siamo certi, porterà il Vibe ben oltre il Giappone. Valerio: creatività, sensibilità e cuore, tanto cuore.