09-09-2023
A sinistra Federico Alagna e a destra Antonio La Torre, rispettivamente chef e patron del Cous Cous Restaurant, a Milano
Sicilia: quanti tramonti collezionati questa estate; rapidi fotogrammi di vulcani, isole e una sfera infuocata a picco sul mare. Molti visitatori la ricorderanno per i suoi paesaggi, le architetture, le acque limpide; altri per sontuose granite. Ma per quanti golosi si siano spinti sul versante occidentale, sarà difficile dimenticare, invece, la densità dei fumetti di pesce, i loro vapori salini che si uniscono agli aromi del Mediterraneo e rimpolpano di gusto piccoli granelli di semola lavorati a mano perché questa è la patria del cous cous, anzi, il vero cous cous.
Sì: quello vero, autentico, per differenziarlo da quanto ci viene proposto dalla grande distribuzione perché in quest’ultimo caso parliamo di un’idea alla lontana dell’articolata preparazione artigianale.
«Quello che trovi al supermercato, è quanto avanza dalla lavorazione della pasta». È intransigente in questo senso Federico Alagna, marsalese, under 30 e chef del Cous Cous Restaurant in via Adige 9 a Milano, come intransigente lo è pure il patron Antonio La Torre, per gli amici e i clienti più cari Ninni, patron dell’insegna.
Una vita, quella di Antonio che, almeno in una prima fase, lo vede preso da tutt’altro, fino a quando si trasferisce a Milano e la nostalgia dei sapori di casa, lo convince ad aprire un ristorante tutto suo, un indirizzo in cui i piatti della sua terra potessero essere evocati per l’intera città.
Busiate al gambero rosso, pesto di pistacchio, elisir di gambero e polvere di caffè
Quadretti, tocchi di blu, un'atmosfera rilassata, il Cous Cous Restaurant si presenta proprio come te l’aspetti, una locanda di mare, al punto da dimenticarti di essere a Milano; qui dove, ad alimentare quel clima domestico è soprattutto Ninni assieme all’impronta tipica della sua buona tavola: Sicilia, ma ancora più precisamente il Trapanese e la netta volontà di mettersi sulle tracce di usanze, talvolta inesplorate persino dagli stessi isolani. Che poi in questo diventi funzionale la piacevolezza estetica che Federico applica a ogni piatto, è un valore aggiunto, ma è soprattutto la sostanza a conquistare.
Una delle sale del Cous Cous Restaurant in via Adige 9 a Milano
I due, lo chef e Ninni, si sono conosciuti diversi anni fa al Cous Cous Fest, la rassegna interamente dedicata a questa antica preparazione; in comune hanno senso pratico e quella sintonia nel riconoscere il peso che la tradizione deve mantenere a tavola, dal momento che entrambi hanno vissuto la genesi delle ricette proposte, innanzitutto nelle rispettive famiglie, fissando i sapori nella propria memoria gustativa, ora a disposizione dei commensali. Intanto, partiamo da qualche nozione storica: il cous cous non è un piatto di ispirazione recente, essendo che la prima testimonianza letteraria italiana risale al 1700; il suo arrivo in terra siciliana è stato favorito dal passaggio e dalla vicinanza geografica dei popoli nordafricani, ma sono stati i pescatori dell’isola i primi ad utilizzarlo, accostando tutto ciò che il mare offriva loro.
Un piatto che, ci tengono a specificare Federico e Antonio, rappresenta nella tradizione di casa un pasto unico: prima si mangia il cous cous e poi si consumano i pesci cotti nel brodo, spesso eccessivamente spinosi da essere serviti come un tutt’uno. Pesci poveri che, come sempre accade, sono anche quelli più soddisfacenti in termini di gusto. A Trapani si va soprattutto di ope, le boghe, pesci azzurri che riesci a rimediare al mercato anche a 3 euro al chilo, oltre che una varietà di granchietti la cui pesca non sempre è tollerata.
Preso nota dei fondamentali, la ricetta, dunque, è stata adattata al mercato e al pubblico milanese, andando “a caccia” di un pescato altrettanto saporito, ma meno difficoltoso da mangiare.
La preparazione: tre fasi, ciascuna contrassegnata dall’uso della terracotta.
L'incocciatura del cous cous
Primo passo: la semola viene incocciata, ovvero unita in cocci, a mano con acqua, sale, spezie e olio all’interno della Mafaradda (un piatto largo e basso in ceramica); una volta pronto, viene fatto cuocere lentamente a vapore, nella couscoussiera, così da preservare sapori e aromi della semola. Questa sorta di “scolapasta” in terracotta, viene inserito a sua volta su di una pentola in alluminio e, per mantenere il vapore il più possibile all’interno del recipiente, i due strumenti di cottura vengono sigillati con un impasto di acqua e semola.
In ultimo, terzo passaggio, si prepara una zuppa di pesce bianco il cui brodo, una volta sgranato il cous cous, bagnerà i granelli fino a quando il fumetto non venga assorbito completamente. Nel nostro caso, è stato utilizzato un brodo a base di cernia, la cui testa rilascia umori densi di iodio, poi pomodoro, aromi e tutto ciò potenzia l’intensità del mare nell'assaggio finale. Non si ammassa il cous cous, ma conserva una struttura più tenace al morso rispetto alla versione commerciale e, nonostante il piatto risulti già ben condito, difficilmente si resiste alla tentazione di aggiungere un altro tocco di brodo, lasciato a tavola a discrezione degli ospiti. La cernia non si sfalda in cottura, ma resta carnosa e succosa.
Diverse le versioni proposte in carta, tra cui una creativa e una vegetariana; poi, un itinerario delizioso tra i piatti tipici della provincia trapanese, della Sicilia intera e un perpetuo recupero delle contaminazioni assorbite dalla Trinacria.
Sikbag, ceviche di pesce bianco e molluschi, limone, cipolla di Tropea e coriandolo
Un esempio: per quanti pensano che bisogna volgere lo sguardo verso il Sud America, per imbattersi in marinature del pesce fresche e vibranti sul palato, in realtà il viaggio da compiere è molto più corto, come Sikbag insegna. Si tratta di una tecnica di marinatura della cucina araba, spunto per Federico nell'elaborazione di un ceviche all’italiana, un richiamo all’insalata arriminata, amalgamata, mescolata: ingredienti must, patate, capperi, origano e il pesce. Diversamente dal ceviche, la componente citrica non domina il palato, ma apporta un tocco aromatico, merito dell'uso della buccia di lime (un agrume meno aggressivo rispetto al limone) che, nel nostro caso, costituisce parte della marinatura ottenuta dall'incrocio con la soia, il finocchietto selvatico e altre erbe.Aggiunto il pomodoro, il pesce viene poi servito in un brodetto di crostacei leggero e limpido.
Un’insegna che dà prova, nella sua semplicità, di coltivare in profondità il seme delle origini e di costruire giorno per giorno un’identità che difficilmente sfugge a chi si accomoda alla tavola del Cous Cous Restaurant.
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
di
Classe 1991. Irpina. Si laurea in Lingue e poi in Studi Internazionali, ma segue il cuore e nella New Forest (Regno Unito) nasce il suo amore per l'hospitality. Quello per il cibo era acceso da sempre. Dopo aver curato l'accoglienza di Identità Golose Milano, oggi è narratrice di sapori per Identità Golose. Isa viaggia, assaggia. Tiene vive le sue sensazioni attraverso le parole.
Dall’Italia è una narrazione in continua evoluzione di tutto il buono che racchiude in lungo e in largo il nostro Belpaese. Una rubrica che ci porta alla scoperta delle migliori trattorie, i ristoranti più esclusivi, osterie, tra le vette più alte o in riva al mare. Delizie che non possono sfuggire alle rotte dei più entusiasti viaggiatori.