03-04-2022
La vista rigenerante dei frutteti di Podere Francesco nella frazione Selva Piana di Mosciano Sant’Angelo, in provincia di Teramo
Se c’è qualcosa che impari viaggiando, è che il carico deve sempre conservarsi leggero, almeno prima del rientro, e chi dorme, non solo non piglia pesci, ma rischia di perdersi tutto quello che il sentiero riserva. Figurarsi poi, tutto quel che accade quando sterzi e devii dalla via principale.
E questa terra, l’Abruzzo, lo sa bene. Eppure da troppo, e per molti, è solo una via di passaggio, un punto d’appoggio per chi prosegue oltre, e preferisce scivolare più giù, al di là del confine regionale.
Noi abbiamo scelto di restare, di rimanere entro un perimetro ben preciso, quello teramano, e attraversare la dimensione che più ci piace, la profondità, catapultati nella trama di una fruttuosa e gentile rivoluzione: la prova che la sostenibilità non solo ambientale, ma anche generazionale, o per meglio dire intergenerazionale, esiste e che, lungi dall’essere un’utopia lontana, è pratica diurna, un’attitudine spontanea. Tanti gli esempi che lo dimostrano.
Accade così. Un lungo corso storico, a partire dal nonno, dallo zio, il papà, fino all'avvento dei figlio, e con lui il cambiamento: «E cosa ne pensano tuo padre, tuo nonno da cui tutto è nato?Il cambiamento, lo comprende?», «Non è stato facile, ma sì. Cum grano salis, mi hanno lasciato fare». Ecco il modello: imparare la lezione, assimilare le linee guida, innamorarsi del proprio lavoro al punto da diventarne attento osservatore, fino a spingersi a innovare, ma solo dopo il confronto, l’approvazione ricevuta della saggezza altrui. Il resto è tutta genialità, gli occhi di vedere di una sana gioventù. Chiamiamola pure nuova imprenditoria teramana.
Pensiamo a Ivan, Simone e Manuel dell’azienda agricola Podere Francesco: siamo nella frazione di Selva Piana, nei pressi di Mosciano Sant’Angelo, lì dove un tempo, si estendevano spianate di latifondi e tutto il lavoro dei loro braccianti, dalle colline al mare. Tante casate, ora briciole e ruderi, ma ancora si vedono i segni dei vari Cerulli, Savini, Grifoni…Oggi quel che resta è il rigoglio di una campagna meravigliosa. Tappeti verde brillante e conche di alberi da frutti in fiore, una sorgente, colline ricoperte di rosa e di bianco: questo è Podere Francesco. E pensare che, quest’ultima non è la principale attività della famiglia D’Elpidio, impegnata soprattutto nella progettazione dei vigneti, il 60% dei quali in Italia, porta la loro firma.
Simone D'Elpidio, agronomo d'azienda, ci illustra le cure applicate alla selezione dei frutti che inizia sin dal momento della fioritura
Ebbene: 50 ettari vocati alla coltivazione di frutta, 30 a quella di ortaggi con buona parte della produzione destinata al fresco, e una porzione minore pensata per la trasformazione della materia prima: confetture, succhi, conserve. Ora, non pensiamo che per la produzione di questi ultimi venga utilizzata una materia di second’ordine. Al contrario, se il pensiero comune porterebbe a pensare che nella produzione di un succo, è accettabile utilizzare la frutta “intaccata”, nel caso dei unicoingrediente Podere Francesco, una simile congettura è risolutamente da scartare.
Simone e Ivan D'Elpidio, il secondo impegnato nella vendita del fresco. Il fratello minore, Manuel gestisce, invece, il settore marketing di Podere Francesco
Polpe ricche, scrigni delle testure dei frutti, la concentrazione massima del sapore di ogni varietà, non una quindi, ma tante per specie: mele verde e fuji; 14 tipologie di albicocche, pesche di ogni sorta (nettarine, percoche, pesca oblunga), e ancora uva di Montepulciano d’Abruzzo, pere, susine… sono tutte le varietà che Simone seleziona in giro per l’Europa e importa per studiarne la crescita più salubre nelle terre argillose di Selva Piana, in grado, dunque, di gestire e misurare la distribuzione dell’acqua nel suolo. Così le polpe più fibrose diventeranno confetture, mentre quelle più ricche d’acqua si prestano alle bevande.
Uno dei prodotti di Podere Francesco: il succo con un solo ingrediente all'uva di Montepulciano d'Abruzzo
Caratteristiche comuni? L’estrema naturalezza, l’esclusione dell’uso di zuccheri aggiunti, grazie alle cotture a bassa temperatura (max 70/80°C), tali da impedire la caramellizzazione e, poi, l’ossidazione del frutto. Tecnica e sapere agronomo: al punto da procedere di pianta in pianta per “scamiciarla”, spogliarla dai fiori in eccesso e distribuire meglio e in meno frutti, la linfa energetica di ciascun albero. E poi, i frutteti sperimentali e il ronzio leggero di uno sciame d’api: ecco gli agenti impollinatori all’opera che, compiuto il proprio dovere, tornano felici all’alveare.
Altri ancora, sempre giovani, sempre in Abruzzo, pur di preservare la naturale conformazione geoglogica del circondario, piantano viti e vigneti, oltre che un glamping ecosostenibile, via dalla pazza folla, dove occhi e sensi riposano cullati da nettari freschissimi.
La riserva dei calanchi di Atri
Una delle "tende" luxury del Glamping Cirelli. Costo per lodge a partire da €250,00
Passiamo da una costola all’altra di una medesima terra, e qui lo scenario cambia ancora: le colline si elevano allo stato di alture, timide montagnole; il verde resiste a macchie, ma al contempo il suolo libera il senso di quella parola che tradurre non si può, perchè nel suo idioma originario concentra al meglio l’immaginario a cui ci riferiamo: wilderness. È la terra di Francesco Cirelli, delle sue anfore, dei suoi vini caldi e conviviali, parte della Riserva dei calanchi di Atri: massi suscettibili a fenomeni di geo-erosione, i calanchi sono composti da argille sabbiose antiche, che vengono a crearsi laddove manchi l’humus, ovvero la sostanza vitale di cui la terra ha bisogno per attingere nutrimento. Un modello di fragilità, ma poco humus, calcare attivo e terreno argilloso potenziano la qualità del frutto perché più carico di nutrimento – densamente concentrato – e di aromi olfattivi.
Il Trebbiano d'Abruzzo di Francesco Cirelli
Tutto questo per dire che la biodinamica secondo Cirelli non è una maniera enofighetta, ma una risposta alla necessità di restituire vitalità al terreno. «Qui le viti stanno davvero bene: basta guardarsi intorno. A un passo c’è il ghiacciaio (o nevaio) più a sud d’Europa – il Gran Sasso – poco lontano l’Adriatico, una condizione ideale per la vigna, accarezzata da una brezza costante proveniente dal mare, che si fonde a quella della sera, dalla montagna, dunque più fresca», ci spiega Francesco, «quel grado di benessere che viene trasferito al calice, con ciò che ci piace definire un vino da sete, poco alcolico, un riflesso limpido del territorio. Ragion per cui, è l’anfora che lo contiene, l’anfora il perimetro in cui matura – un contenitore minimale che non interviene sul vino ma, discreto, lascia che ne sia preservata la tipicità territoriale.
Francesco Cirelli e le anfore nelle quali conserva i suoi vini, un contenitore ideale per mantenere inalterato il corredo aromatico dei suoi nettari
«Questo è il nostro vino, commenta ancora Cirelli: una leggera macerazione, sempre ridotta rispetto ai tempi abituali dei vitigni di riferimento, con un Montepulciano d'Abruzzo che, per esempio, prevedrebbe 20 giorni di macerazione, qui ridotti a 8. Ne risulta una struttura più debole, ma piacevole, una versione più fragile ma estremamente conviviale. Cosicchè, piuttosto che perdersi in cavillose degustazioni tecnicistiche, Francesco imbandisce una tavola e invita l’amico giusto, al momento giusto: Gianni Dezio di Più Tosto Gastro Bottega. Un cuoco e, tutti i suoi famelici avventori che attendono la prossima riapertura di Tosto, il suo ristorante di Atri, in cerca di una nuova casa. Restano le idee, la promessa di rivedersi presto a tavola, ma intanto Gianni spaccia esplosive creazioni, piatti diversamente tradizionali conditi con pennellate di Venezuala (dove ha vissuto per un po’), e poi i fritti, i dolciumi...
Lo chef Gianni Dezio con i suoi bomamisù
Dezio porta una festa in bocca, stimola la salivazione a mille tanta è la succulenza dei suoi bocconi, le papille schizzano soddisfatte, ma riposano anche in oasi di beata naturalezza. La pizza fritta, è una tegola di polenta fritta, sormontata da verdure selvatiche e una grattuggiata generosa di pecorino: la merenda dei pastori, da consumare nei campi e da lì estratta; il maritozzo all’asado è un viaggio prima soffice, poi carnoso, un maiale dolce-speziato e terribilmente godurioso; fino alla delicatezza estrema, alla composizione naturale e fresca, selvatica e morbida di un risotto cotto in brodo di verdure primaverili, mantecato alla crema di mandorle in purezza ed erbe spontanee.
E, poi, un finale atomico: si va di bombamisù, ripiena di spumoso mascarpone, oltre che pizza in a jar, una simil-zuppa inglese con crema pasticciera compatta e una nota alcolica che no, non guasta mai.
Qui di seguito la galleria golosa dei piatti ideati da Gianni Dezio per la degustazione Cirelli.
Pizza e fuje: la transumanza
Maritozzo ripieno di asado al Montepulciano
Riso, mandorla e primizie di primavera
Pizza dolce in a jar
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
di
Classe 1991. Irpina. Si laurea in Lingue e poi in Studi Internazionali, ma segue il cuore e nella New Forest (Regno Unito) nasce il suo amore per l'hospitality. Quello per il cibo era acceso da sempre. Dopo aver curato l'accoglienza di Identità Golose Milano, oggi è narratrice di sapori per Identità Golose. Isa viaggia, assaggia. Tiene vive le sue sensazioni attraverso le parole.