23-08-2019
Giovanni Cuocci, a destra, al lavoro nella cucina della Lanterna di Diogene (foto di Giuseppe Valsecchi)
Fino allo scorso giugno, il lavoro di Giovanni Cuocci, e quello di tutta la squadra della Lanterna di Diogene a Solara di Bomporto (Modena), non aveva ricevuto probabilmente l’attenzione e lo spazio che poteva meritare. A cambiare le cose, circa due mesi fa, è stato l’inserimento di Cuocci nella rosa dei dieci finalisti della quarta edizione del Basque Culinary World Prize, il premio dedicato agli chef che operano per trasformare la società attraverso la gastronomia, organizzato e promosso dal Basque Culinary Center, istituzione accademica leader a livello mondiale nella gastronomia, e dal Governo Basco, nel contesto della Strategia Euskadi-Basque Country.
Come abbiamo raccontato in questo articolo, Giovanni Cuocci non è stato poi proclamato vincitore: il premio è stato consegnato all’americano di origini cinesi Antony Myint e ai suoi progetti sulla sostenibilità.
«La nostra storia - ci racconta Cuocci - nasce da un gruppo di amici seduti intorno al tavolo di un’osteria, che si interrogavano per rispondere a un desiderio credo comune a molti: voler fare un lavoro che desse entusiasmo e soddisfazione, insieme a persone con cui collaborare in armonia. Era il 2003: io da un po’ riflettevo sull’idea di salvaguardare il territorio intorno a me, depauperato dall’agro-industria. E pensavo che il modo migliore per proporre questa idea fosse attraverso la condivisione del cibo in un ambiente conviviale: un’osteria quindi».
L’osteria l’avete aperta nel 2006: fece però parte da subito delle vostre idee? Sì, ma ci sono voluti tre anni per ristrutturare la casa che oggi la ospita. Così siamo partiti dall’agricoltura, dalla fattoria, consolidando gradualmente il progetto.
La sala dell'Osteria
Come si concretizza, in questo senso? In modo semplice, naturale. Persone diverse tra loro, con caratteristiche diverse, quindi anche patologie diverse e intelligenze differenti, si possono aiutare l’un l’altra, scambiandosi una visione diversa del mondo. Collaborando, aiutandosi, ci si arricchisce. Per noi era fondamentale partire dall’idea di salvaguardare la dignità di persone con varie patologie, che normalmente vengono escluse dalla vita produttiva. Dando modo a ognuna di contribuire con il “pezzetto” che sono in grado di realizzare. Non sono dunque io che aiuto una persona in difficoltà: ci aiutiamo tutti insieme. Se devo tirare la sfoglia per fare i tortelloni, poi mi devo fermare per tagliarla, riempirla, chiudere il tortellone. Se invece con me ci sono altre due o tre persone che mi danno una mano, lavoreremo meglio e più in fretta. Condividendo un impegno che poi verrà premiato quando assaggeremo i nostri tortelloni, e ancora di più quando un cliente dell’osteria ci dirà che sono molto buoni. Sai fare solo i tortelloni, magari: però li sai fare bene. Questa è dignità del lavoro, ed è inestimabile.
Tu in che modo credi di essere cresciuto come cuoco in questi anni? Ti faccio un esempio molto semplice che credo possa spiegare il mio percorso. Quando qualcuno mi parlò per la prima volta di cottura a bassa temperatura, io pensai alla stufa economica a legna di una volta, con la vaschetta d’acqua che ci si posava sopra per cuocere il cotechino. Poi, grazie agli incontri e ai seminari fatti, oggi nella nostra cucina usiamo le tecniche più moderne di cottura a bassa temperatura.
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di
Giornalista milanese. A 8 anni gli hanno regalato un disco di Springsteen e non si è più ripreso. Musica e gastronomia sono le sue passioni. Fa parte della redazione di Identità Golose dal 2014, dal 1997 è voce di Radio Popolare Instagram: @NiccoloVecchia
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