Giuseppe Carino
Fagottino di pasta fresca ai frutti di mare
Dall'Italia Retrobottega a Roma, una tavola con l’ingrediente al centro
Seppia, fave e cipolla rossa, uno dei piatti che compone il “Menu del Doge”, degustazione storico studiato da Daniele Turco, chef del Club Del Doge, il ristorante del Gritti Palace di Venezia
Il nuovo menu creato da Daniele Turco executive chef del Club Del Doge, il ristorante del Gritti Palace, ha radici storiche ben precise. Alla fine del Medioevo quasi tutto il commercio delle spezie in Europa passava da Venezia. L’imbarco delle merci avveniva nei porti del Medio Oriente e la vendita – all’asta – si faceva al mercato di Rialto, sotto la vigilanza di funzionari statali chiamati messeri del pepe.
Si calcola che nel XV secolo nei magazzini veneziani, ogni anno erano scaricate qualcosa come 5mila tonnellate di spezie: la metà erano pepe e zenzero. Tanto era il pepe a Venezia che esisteva anche una categoria di cittadini chiamati poveri al pevere, popolani, originari di Venezia, ultrasessantenni e indigenti, a cui veniva assegnata, grazie a una soprattassa governativa sul pepe, una certa somma di denaro per campare.
C'erano poi zafferano, cannella, noce moscata, chiodi di garofano. Molte spezie erano commercializzate oltre Venezia, ma una grande quantità rimaneva in città. Con il tempo si era così creata una rete di professionisti che si dedicavano alla trasformazione delle spezie, gli speziali, che preparavano i “sacchetti veneti” e le “spezierie veneziane”. Questi sacchetti costavano tantissimo ma le spezie erano molto usate nella cucina veneziana tra il XIV e XV secolo. Per capirlo basta pensare a ricette come il riso zalo d'origine ebraica, un riso a cui veniva aggiunto abbondante zafferano, quasi un antenato del risotto alla milanese o il famoso Ambroino bono et perfecto, una specie di cappone allo zenzero, che prevedeva l'uso di circa 750 grammi di spezie.
Risotto di erbette primaverili
Trionfo di frutta e crema fritta del Doge con spuma di zabaione
La cucina veneziana tradizionale è semplice e si basa su alcuni prodotti delle barene (i terreni emersi tipici della laguna) e le isole della Laguna: pesce soprattutto, ortaggi e uccellagione. Le barene erano all'epoca - di sicuro molto meno oggi - ricchissime di germani reali, marzaiole, alzavole, gallinelle d'acqua, beccaccini, pernici, quaglie, colombacci, tanto che i dogi ogni anno a dicembre donavano a ogni membro del Consiglio 5 uccelli marini. Ben presto queste prede cominciarono a mancare e furono costretti a sostituire il dono con una grossa moneta d'oro, chiama osella.
Saper ripensare tutto questo e proporre un menu ad hoc per chi oggi visita Venezia, non è impresa facile. Ci riesce benissimo Daniele Turco con il “Menu del Doge”: Seppia, fave e cipolla rossa, Risotto di erbette primaverili con fonduta di robiola di Roccaverano, Saor di colombini e per dessert crema fritta del Doge con spuma allo zabaione. Su ordinazione inoltre si può chiedere il fantastico Pollo del Doge, marinato sottovuoto per 3-4 giorni con spezie dal mix che lo chef Turco non rivela, ma da solo un’unica indicazione: non c’è curry!
Lo chef Daniele Turco
La sala del Club del Doge
Il Gritti Palace ha compiuto l’anno scorso il 70° anniversario dalla prima inaugurazione, qui amava soggiornare Ernest Hemingway, sempre nella stessa stanza, rivolta verso ovest, illuminata ogni pomeriggio da una luce molto calda. Anche nella cucina, l’hotel vuole offrire un’esperienza veneziana, mai scontata, restando tradizionali ma guardando sempre a una proposta accattivante.
Veneziana d’adozione, materana per amore, è laureata in storia medievale e su tutto ama fare due cose: leggere e mangiare bene. Ha lavorato per anni in una casa editrice, ora lavora nell'ufficio stampa di Identità Golose e non potrebbe essere più felice
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