Ha aperto a fine settembre senza troppo clamore, evitando inaugurazioni e annunci in pompa magna, prestando più attenzione alla sostanza che all’apparenza nonostante la grande cura al design di un locale d’impronta nordica, minimalista ma per nulla anonima. Così di Moi – il ristorante creato dal giovane chef Thomas Moi, 28 anni di cui almeno 12 in cucina, e dalla compagna Michela Ulpiani, già direttrice del ristorante dell’Auditorium Parco della Musica di Roma – finora si è parlato poco. Eppure, dopo ripetuti assaggi via via più convincenti, ci sentiremmo di dire che è l’ultima – in ordine cronologico – delle diverse aperture interessanti che hanno rischiarato la scena romana negli ultimi 12 mesi, facendo segnare un bel segno positivo accanto al 2018 da poco concluso.
Siamo in zona Fleming, tra Tor di Quinto e Corso di Francia; un’area considerata chic e mondana che però dal punto di vista gastronomico non ha mai fatto registrare grandi picchi, con le eccezioni de
L’Ortica (storico ristorante partenopeo di
Vittorio Virno, che oggi prosegue l’attività ai Parioli) e poi de
L’Acquolina, guidata ai tempi da
Giulio Terrinoni, e poco altro.
Proprio a via Serra – indirizzo dell’Acquolina prima del trasferimento in via del Vantaggio – ma all’estremità opposta, in un punto piuttosto defilato, ha aperto Moi: 26 coperti ben distribuiti, materiali e colori – dalle pareti alle sedute, fino al menu – scelti con cura, con lo stile voluto da Thomas e Michela ben interpretato dallo Studio Ocra affiancando mattoncini in laterizio e legno, vetro e corten, superfici ruvide e levigate, linee morbide e squadrate, colori scuri e caldi con le diverse tonalità di grigio inframezzate da indovinati dettagli senape e oro, ampolle di vetro e cubi in trucioli di legno per l’illuminazione ben modulata. Di fronte all’ingresso, dietro al banco per l’accoglienza, s’intravede al lavoro la piccola brigata guidata da Thomas.
Lui nelle cucine ci è entrato giovanissimo; la prima esperienza a 15 anni quando, durante gli studi alberghieri, per mettere da parte qualche soldo per il divertimento ha iniziato come cameriere alla vineria
I Tre Bicchieri di Ostia dove il fratello era direttore di sala. In cucina c’era
Antonio Chiappini – chef molto apprezzato e maestro di tanti giovani cuochi laziali nei corsi della scuola
A Tavola con lo Chef, scomparso nel 2015 – e un giovane
Marco Claroni (oggi chef patron dell’
Osteria dell’Orologio a Fiumicino) come secondo. «Per me è stata una rivelazione – racconta
Thomas – A Ostia eravamo abituati a spaghetti alle vongole e porzioni abbondanti, lì ho capito cos’era la tavola di un certo livello e il valore di un cuoco».
Così
Moi entra in cucina, prima una volta a settimana, poi per uno stage formativo.
Chiappini e
Claroni – «In cucina mi seguiva lui, io all’inizio facevo solo disastri!» – conquistati dal suo entusiasmo lo prendono sotto la loro ala protettiva, oltre ad insegnargli il mestiere. Il primo gli trova qualche lavoretto interessante, il secondo lo chiama con sé all’apertura de
L’Orologio. «Da lì è partita la mia carriera, avevo 18 anni, il diploma e ho iniziato a lavorare seriamente». A 21 anni, nel 2011,
Moi decide di giocare la carta dell’esperienza all’estero: va a Londra, prima al
Texture – cucina islandese stellata – e poi nelle cucine all’
Apsleys, l’indirizzo londinese di
Heinz Beck al
Lanesborough Hotel, dove si trova più a suo agio in un ambiente in gran parte italiano. Ma è pure il cuoco della
Casa Italia al villaggio paraolimpico di
Londra 2012.
Rientrato a Roma, lavora in altri ristoranti della Capitale con un obiettivo preciso: mettere da parte i soldi per aprire un locale tutto suo insieme a
Michela. «Abbiamo preferito investire sul ristorante invece che metter su casa. Ma almeno è tutto nostro e, se andrà bene, non dovremo dire grazie a nessuno, a parte chi ci è stato sempre vicino». Altro elemento chiave della squadra è
Alessandro Grillo, che aveva lavorato con
Thomas già a Ostia e Fiumicino e oggi è il responsabile di sala del
Moi, perfettamente in sintonia con l’atmosfera elegante ma informale del locale, felice punto d’incontro tra il ristorante gourmet e il bistrot contemporaneo, e molto bravo pure a suggerire le etichette più adatte da una carta dei vini contenuta ma interessante, bollicine incluse.

Polpo grigliato, carciofo e patate verdi
Qui tutto però – com’è giusto che sia – gira intorno alla cucina dello chef. L’hanno definita “dinamica”, anche nell’insegna, a indicare il seguire le stagioni e le proposte di piccoli fornitori scelti con cura: dalla frutta e la verdura dell’azienda agricola
Poggi – che a Ciciliano, piccolo comune tra Tivoli e i Monti Simbruini, coltiva anche cereali e legumi con metodi naturali – a carni, pesce e formaggi selezionati da
Orme-Valori agricoli ritrovati, bella realtà che perlustra tutto il territorio nazionale in cerca di piccole produzioni che salvaguardino biodiversità e tradizioni.

Lustrino cotto a bassa temperatura con sedano rapa, cipollotto brasato, curry e pak choi
Nascono così piatti convincenti – soprattutto quando si discostano dalle “mode” gastronomiche puntando a concretezza e incisività – in cui la creatività è sempre ben modulata e non prende derive velleitarie, dimostrando già una bella maturità. Per esempio, l’ottima tartare di manzo che abbiamo assaggiato tanto in versione estiva – con gelato verde, maionese all’aglio e giardiniera di verdure – che invernale, accompagnata da puntarelle, acciughe e fondente di tuorlo; ma pure il
Cardoncello croccante con parmigiano, aioli e prezzemolo, la goduriosa
Spalla di maiale con zucca, broccoletti e noccioline americane, i buonissimi
Tortelli di anatra con cavolo nero e cachi. Interessanti pure i dessert, nonostante la mancanza di una partita dedicata alla pasticceria; ma il
Tiramisù liquido – una morbida sfera con cuore fondente – e lo
Strudel mele con zabaione al Muffato lasciano un bel ricordo, come pure un conto decisamente “bistronomico”.
Ristorante Moi
via Antonio Serra 15, Roma
tel. +39 06 87600399
ristorantemoi.com
spesa media per tre piatti: 40-45 euro