04-12-2018

Sostiene Lo Coco

Intervista al cuoco de I Pupi di Bagheria, tra necessità di masticazione, cucine dei contadini e profumi di acciughe

Tony Lo Coco, chef de I Pupi di Bagheria (Palermo)

Tony Lo Coco, chef de I Pupi di Bagheria (Palermo), in uno scatto d'archivio firmato Brambilla/Serrani

Lungi dal mostrare la stessa lealtà del cordiale signore sulla sessantina che non ha saltato un pranzo del sabato negli ultimi 9 anni dall'apertura del ristorante, abbiamo cercato di rinnovare l’appuntamento a I Pupi di Bagheria almeno una volta ogni 6 mesi negli ultimi 2 anni. Ogni volta, Tony Lo Coco sembra fare un passo in avanti: il menu appare un po' più completo e personale, i piatti un po' più belli ed eleganti, i sapori un po' più puliti ed equilibrati.

Anche la Sicilia nel piatto non è la stessa che abbiamo assaggiato per la prima volta due anni fa: c'è la stessa impronta della tradizione ma il gusto e l'ambizione stanno diventando universali. Questa volta, tra uno Scampo con le zucchine e un'Aragosta con le nocciole, abbiamo avuto modo di scambiare qualche parola con lo chef: abbiamo parlato della Sicilia, del "bisogno di masticare", delle "cucine dei contadini" e del profumo delle acciughe per le strade di Aspra.

Ci sono due elementi che, a nostro parere, rappresentano segnali di una svolta importante nella ristorazione de I Pupi: il passaggio della triglia da lasagna con finocchietto a tortello con estratto di verdure, e quello del bon bon di seppia con marmellata di mandarino e gelato ai ricci - la Sicilia in un boccone -, dal piatto rettangolare alla mise en place sulle vertebre di tonno. Dove vogliono arrivare Tony Lo Coco e I Pupi?
L’obiettivo è la crescita, ed è un obiettivo che serve a me, alla cucina e alla sala. La crescita è il perfezionamento del piatto, la necessità di migliorarne l’equilibrio o semplicemente di abbellirlo, la creazione di nuove ricette e la ricerca di nuovi modi di interpretare il prodotto - non necessariamente l’utilizzo di nuova materia prima. La crescita è anche l’evoluzione di un piatto locale e l’ambizione di aprirlo al mondo, di renderlo accessibile a palati diversi ed internazionali. Ed è quella crescita che ci permette di sognare tanti traguardi.

Scampo d'estate

Scampo d'estate

Spaghetto pizziato ai crostacei

Spaghetto pizziato ai crostacei

Quanto a traguardi e ambizioni, la Sicilia orientale sembra avere una marcia in più.
Negli anni Ottanta, la ristorazione in Sicilia era Palermo. Successivamente c’è stato uno stallo anche perché la città si è concentrata maggiormente sui servizi. Nel frattempo sono nate splendide realtà nei piccoli centri, penso soprattutto a Licata e Ragusa, centri che hanno investito in innovazione e comunicazione. Oggi, dopo quasi venti anni dall’inizio di quelle avventure, in quelle aree si respira ancora la stessa fame, anche grazie al supporto di nuovi investitori. Detto questo, resto ottimista per la Sicilia occidentale perché vedo molti giovani agguerriti e una provincia che comincia a credere sempre più nella ristorazione gourmet.

Che consiglio daresti a queste nuove realtà?
Consiglio di fare investimenti mirati e giusti perché i primi anni sono i più duri: sabati da zero coperti e settimane in cui non arrivi a sbarcare il lunario. Ma è come andare in bicicletta. Bisogna restare fissi a guardare per terra e mai la cima, fino a quando non si scollina. Testa a terra e pedalare. E anche quando si fanno due coperti, bisogna solo pensare a come soddisfare quei 2 e cercare di non pensare alle altre 24 sedie vuote. Il compito di ristoratori e chef è quello di dare piacere ai clienti, fornire delle ragioni per tornare - importante soprattutto nelle piccole realtà - e includerli nel percorso di crescita ed innovazione.

Il gambero rosso nella sua nassa

Il gambero rosso nella sua nassa

Cassata siciliana

Cassata siciliana

Che cosa è l’innovazione per Lei?
Parto dalla premessa che tutte le innovazioni hanno un inizio e una fine e, soprattutto, che non tutti ci ritroviamo nello stesso modo di fare ‘innovazione’. L’innovazione è cambiamento. E cambiamento può essere anche fare un passo indietro. Prendere una vecchia ricetta e portarla nella modernità, darle una nuova consistenza. E' avere meno cuochi e più contadini in cucina. Non è un concetto mio ma è qualcosa che sto assimilando sempre più. La materia prima deve fare da padrone. Una pasta al pomodoro, con un grande prodotto lavorato in biologico e raccolto nel periodo giusto dell’anno, uno spaghetto fatto con il proprio blend di grani: è innovazione perché è perfezione. O la straordinarietà di un cappero o di una foglia appena raccolti e mangiati a pochissimi metri dal mare... L’innovazione e l’importanza del cuoco stanno nel mantenere intatta quella naturalezza, limitandone la manipolazione e presentando accostamenti di sapori che possano esaltarla ancora di più.  

Ingrediente preferito? 
Le acciughe sottosale, parte della mia infanzia, passata nella borgata di Aspra. E' l’odore dei vicoli vicino casa e di quando giocavo per strada da piccolo. Sicuramente l’ingrediente che mi identifica di più.


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Giovanni Farinella

sangue siciliano, adora i gamberi rossi crudi e l’odore del soffritto di cipolla. Si occupa di marketing, intelligenza artificiale e hungryitalianintown.com

Consulta tutti gli articoli dell'autore