Un po’ in sordina visto il periodo vacanziero (ma pronti a fare il botto a settembre), s’è compiuto il cambio della guardia nelle cucine di Pipero Roma, l’elegante ristorante capitolino guidato da Alessandro Pipero, scafatissimo uomo di sala e ristoratore con l’occhio lungo per gli chef in gamba.
Andato via Luciano Monosilio, a guidare la cucina è arrivato Ciro Scamardella, già sous chef di Roy Caceres al Metamorfosi. Ultimo servizio ai Parioli il 28 luglio, dal primo agosto in cucina da Pipero, con una brigata già pronta a mettere in pratica le sue idee e a lavorare al meglio per rendere il passaggio più “liscio” possibile per chi siede a tavola, anche grazie al savoir-faire del restaurant manager Achille Sardiello.
E infatti: solitamente si aspetta un po’ prima di scrivere di un nuovo chef in carica, si mette in conto qualche sbavatura e un certo periodo di assestamento. Noi però, curiosi e in attesa poi di tornare più in là, siamo andati subito a dare un’occhiata e siamo rimasti stupiti proprio da come tutto sembri girare già alla grande. Certo, alcuni piatti sono ancora quelli del menu precedente – come l’ottimo
Cremoso di patate, vongole e salicornia – ma
Ciro ha già inserito diverse nuove proposte che ne chiariscono da subito l’impronta in cucina: divertente, che punta a valorizzare le materie prime anziché a stravolgerle, giocando con le origini partenopee e con la memoria senza che diventi esercizio di stile. «Originale», ripetono spesso sia lui sia
Pipero, secondo cui «vuol dire essere capace di entrare nella testa delle persone senza bussare».

Pipero con il predecessore di Scamardella, Luciano Monosilio
Napoletano (più precisamente di Bacoli, vicino Pozzuoli), classe 1988,
Scamardella e si è fatto conoscere anche per il programma televisivo
Ciro a Mammà, in onda su
Gambero Rosso Channel. Ma la gavetta, prima, l’ha fatta tutta e nei posti giusti. Dopo gli studi alberghieri e il lavoro come tutor dei corsi di cucina al
Gambero Rosso di Napoli, è andato da
Paolo Barrale al
Marennà, esperienza per lui fondamentale: «Mi ha insegnato tantissimo, è un professionista che non ha segreti», dice.
Poi, l’alternanza tra stage e lavoro a Il Pagliaccio con Anthony Genovese e a Villa Crespi con Cannavacciuolo. Ancora uno stage a Roma, già al Metamorfosi, prima di partire per la Spagna, da Berasategui. Al ritorno, si è fermato da Roy Caceres: «È stata un’esperienza che mi ha arricchito molto, in cucina eravamo un napoletano, un colombiano, uno svedese e un giapponese!», racconta quasi come se fosse una barzelletta, riferendosi allo chef e ai colleghi con cui ha lavorato più a lungo.

Ciro Scamardella e Alessandro Pipero
Da
Pipero, spiega, porta di sicuro la sua identità partenopea – che, anticipa, sarà incarnata da ingredienti come le candele, la tipica pasta lunga di Gragnano, e i limoni di Procida – ma soprattutto una cucina che punta dritta al palato mettendo sullo stesso livello tecnica, materia e gusto: «Ho un rapporto molto forte con il cibo, qualsiasi trasformazione della materia prima deve metterne il risalto il sapore. Per questo è fondamentale partire dai prodotti; vogliamo lavorare sempre di più con micro-produttori locali o comunque al 100% italiani, orti autogestiti, tagli di carne anche poveri ma che siano “nostri”, oltre che sul recupero intelligente degli scarti».
Insomma, andare all’essenza senza per questo essere austeri. Così, quando – dopo alcuni assaggi di benvenuto semplici ma sensazionali, da
Come una bruschetta al pomodoro al delizioso panino
Al vapore ma cafone, che unisce Napoli, l’Oriente e la romanissima coda alla vaccinara – arriva in tavola un vinile con su appoggiata una super croccante
chip di orecchio di maiale soffiato con polvere di paprika e mostarda di Cremona, dapprima si resta un po’ perplessi; poi, assaggiando, si gode e si capisce il perché del nome del piatto e dell’insolita
mise en place:
The Sound of Food, come quello quasi assordante che sentirete al primo morso.

Genovese di mare in raviolo
Parla decisamente napoletano la
Genovese di mare in raviolo, un concentrato di sapore dalla sapidità spinta ma piacevole, con i bottoni di pasta avvolti da un intenso sugo di polpo. Si sentono invece proprio gli echi puteolani nel
Risotto con manteca di cozze e cagliata di limone, con qualche foglia di
ficoide glaciale a sottolineare l’imprinting salmastro del piatto. Chiudete gli occhi e vi sembra di essere affacciati sul golfo di Pozzuoli con una fumante impepata di cozze davanti; qui, però, ci sono il riso dalla cottura impeccabile e l’indovinato contrasto con la “crema” ottenuta dall’estrazione e filtrazione della polpa e dell’albedo del limone.

Risotto con manteca di cozze e cagliata di limone
E poi, le
Bavette in bianco – versione rivista di una ricetta presentata al concorso
Chef Emergente 2016 – che nascono dal ricordo del più semplice tra i piatti dell’infanzia, reso più buono non dall’amore di
mammà ma dalla bravura dello chef: la pasta viene mantecata con un
pil-pil cremoso ottenuto emulsionando gli scarti di pesci grassi con spezie e olio, e condita con una tartare che mixa il baccalà e una terrina zampetti di maiale, giocando sulle consistenze in un effetto “mare&monti” accentuato dalla grattugiata di coppiette di maiale (le strisce di carne essiccata della tradizione laziale) a mo’ di bottarga. Per concludere, un riuscito pre-dessert: il formaggio “fatto in casa” (anche in questo caso una sorta di cagliata fresca) con fragole fermentate, che anticipa uno dei dolci già in carta.
La sfida, certo, è impegnativa: mantenere le aspettative, guidare una brigata nuova, lavorare con una personalità stimolante ma “ingombrante” come quella del patron. Gli obiettivi, però, sono chiari e comuni oltre che ambiziosi: «Qui ho trovato un gruppo che già girava benissimo e
Alessandro mi mette a disposizione tutto quello di cui posso aver bisogno, naturalmente confrontandosi tanto. Qualsiasi obiettivo è più facile da raggiungere se lo si segue insieme», dice
Ciro. E patron
Pipero rafforza il concetto: «È tutta questione di squadra».