09-06-2018
Martino Ruggieri, portabandiera dell'Italia alla finale europea del Bocuse d'Or. Cercherà di accedere a quella mondiale, a gennaio 2019 a Lione. Il suo turno sarà il 12 giugno, il secondo giorno di gara
Martino Ruggieri, classe 1986, pugliese di Martina Franca, si prepara alle finali europee del Bocuse d’Or, che saranno a Torino l’11 e il 12 giugno. E' attualmente lo chef adjoint del tristellato Pavillon Ladoyen di Yannick Alléno a Parigi. Ha vinto le selezioni italiane, e se supera le europee, si ritroverà a Lione a gennaio 2019 alle finali mondiali tra i 24 più promettenti giovani chef di tutto il mondo.
Se dovesse vincere un italiano, sarebbe la prima volta: il migliore, Paolo Lopriore, l’allievo prediletto di Gualtiero Marchesi, una volta è arrivato quarto, e questo è stato il nostro miglior risultato.
Ma in trentuno anni di storia, cioè da quando nel 1987 Paul Bocuse ha creato questo campionato mondiale per giovani chef, solo due volte gli italiani sono arrivati alla finale. Tra i vincitori ci sono invece sempre stati francesi e nordici (norvegesi, danesi, svedesi), e persino gli americani che hanno vinto l’edizione 2017.
Con il presidente dell'Accademia italiana del Bocuse d'Or Luciano Tona
Lo abbiamo incontrato all’inizio di questa avventura, a fine aprile, al suo arrivo ad Alba: appariva timido all’apparenza, ma fermo e deciso nelle parole, nelle intenzioni e nelle presentazioni del suo staff. Ora, a poche ore dalla gara abbiamo voluto nuovamente fare due chiacchiere con lui, per cogliere gli aspetti e le emozioni dell’ultimo minuto.
Secondo te cosa significa per l’Italia avere il Bocuse d’Or in casa? Significa tantissimo, non so se la gente si rende conto di cosa succederà a Torino. Di sicuro sono stati molto furbi e bravi a creare il Bocuse OFF per avvicinare il “popolo”, quelli che non sono di questo mestiere, perché questi eventi fanno da collante tra la gente normale e l’alta cucina del Bocuse. Di sicuro a Torino ci saranno moltissimi visitatori: questa manifestazione, con tutte le squadre straniere, muove un sacco di gente da tutta Europa.
Come ti senti in prossimità della competizione? C’è un po’ di tensione, non è proprio ansia, ma grande stanchezza. Cerco di preparami al meglio, tenendo comunque energie da parte per quella giornata. Con il mio commis (il belga Curtis Mulpas) che lavora con me a Parigi e con il mio coach François Poulain, che è un amico, c’è grande affiatamento, e questo mi dà sicurezza.
Con il suo assistente, Curtis Mulpas
E poi? Poi partiamo e ogni piatto lo facciamo e rifacciamo fino a quando il risultato non è perfetto e i tempi di lavoro sincronizzati. Dentro il box non si parla, in realtà ci conosciamo da così tanto tempo che non c’è bisogno di parlare! Alla fine gli chef Crippa e Tona assaggiano i piatti con noi. Spesso si sono uniti per l’assaggio e il giudizio anche altri chef: Baronetto, Camanini, Palluda... E giorno dopo giorno abbiamo migliorato la cosa.
Cosa ti dice Alléno della tua partecipazione? In realtà è stato lui che mi ha spinto a partecipare, altrimenti fosse stato per me nemmeno l’avrei fatto! Lui l’ha fatta vent’anni fa, e ha sempre pensato che sia una tappa obbligata perché è un metro per misurarsi. Quando ho vinto la finale italiana mi ha chiamato e mi ha detto: «Guarda che non hai vinto niente!». Ha detto di restare concentrato e di spendere il più possibile il tempo in cucina perché è lì che nasce tutto.
Il Team Italia per il Bocuse d'Or: da sinistra Curtis Mulpas, François Poulain, Martino Ruggieri, Enrico Crippa, Giancarlo Perbellini, Luciano Tona
Se vinci? Non so quante probabilità ci sono sulla vittoria, esistono tante difficoltà legate al concorso che nemmeno io conosco, sono solo un giovane cuoco che mai ha preso parte a concorsi, quindi domino poco queste dinamiche. L’accademia italiana possiamo dire che nasce oggi e quindi non è così esperta di questo concorso, la vittoria forse è lontana. Se facciamo bene e ci qualifichiamo sono contento, ma personalmente non partecipo al Bocuse per cambiarmi la vita, comunque dopo tornerò a lavorare a Parigi con Alléno. E una cosa è certa: se si vince, vince la squadra. Se si perde, perdo io, ed è giusto così, perché sono io che ho scelto le persone che lavorano con me.
Dici di essere “solo un giovane cuoco”. I grandi chef secondo te chi sono: umili, folli, star? Io ho lavorato a fianco di alcuni grandi chef, e nel mondo di grandi chef ce ne sono pochi. Per il resto siamo tutti dei cuochi che cercano di fare al meglio il proprio lavoro. I più grandi sono umili, ma chi se lo dice da solo in realtà non lo è. Ci vuole una certa arroganza per essere un grande chef, una certa consapevolezza di quello che sei, ma che non deve sfociare in presunzione, del resto noi facciamo solo da mangiare. Follia ce ne vuole, e anche un po’ di instabilità, perché se non sei instabile non puoi fare questo lavoro, non puoi pensare di restare 15 ore in cucina. Ed è giusto essere delle star se uno se lo merita, poi però i grandi cuochi alla fine sono in cucina a spadellare, stanno con la brigata, assaggia, cucina, fa il servizio.
La vittoria della selezione italiana, l'anno scorso
3 aggettivi che descrivono il piatto che presenterai. Coraggioso. Italiano. Originale.
Un tuo toto-bocuse per questa finale? Non ne ho proprio idea. Ovviamente i nordici e i francesi sono i favoriti. Vedremo!
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
a cura di
classe 1975, ingegnere creativo, in ricordo di un docente che la definiva troppo creativa per fare l’ingegnere. L’ha avuta vinta lui: così dopo anni spesi nel settore energetico, scrivendo di cibo e viaggi nel tempo perso, oggi scrive a tempo pieno di storie di cibo, di mani che lavorano il cibo, di teste che lo creano. Co-autrice de Storie di cibo dietro nelle Terre di Expo, ideatrice del progetto Storie di cibo dietro le sbarre, che sarà un prossimo libro. Adora il buon cibo e il buon vino