Gli avevano detto che sarebbero durati meno di sei mesi e che a Venezia certi locali non vanno. «Ho smesso di sentire quello che mi dicevano e siamo andati avanti» ci ha detto Luca Fullin che con la sorella Benedetta gestisce uno dei ristoranti più interessanti apparsi di recente sulla scena gastronomica veneziana, il Local, aperto poco più di 18 mesi fa ma che fa già parlare di sé tanto che il New York Times gli ha dedicato la scorsa domenica un intero articolo.
Nel nome del ristorante, c’è un’identità precisa, nelle azioni un obiettivo chiaro: a Local sono tutti veneziani, sia in sala che in cucina, la proposta è attenta al territorio lagunare e alla stagionalità dei prodotti. «I piatti hanno tutti una storia, non potrebbe essere altrimenti, e per questo devo ringraziare Carlo Petrini».
I fratelli Fullin sono cresciuti su Riva degli Schiavoni alla Locanda Wildner, il ristorante di famiglia aperto negli anni Sessanta dalla nonna, conosciuto in città per il lavoro attento che porta avanti da moltissimi anni, complice forse anche il fatto che la mamma Donatella Laboranti è un’attivissima conduttrice di Slow Food Venezia.

«Avevo appena 26 anni – ci dice
Luca - ,
Petrini si era fermato a dormire in
Locanda e ci siamo ritrovati la mattina seguente alle sei a fare colazione insieme. Mi ha chiesto di vedere un menu: all’epoca c’era in carta la
Lasagna alla Bolognese. Mi chiese cosa poteva ricordare un turista del mio ristorante e della mia città, mangiando lì, su Riva degli Schiavoni, a Venezia, con una lasagna alla Bolognese. – Nulla, risposi. E capii che la strada da intraprendere era un’altra».
«Siamo andati entrambi all’estero – mi dice
Benedetta – io a Londra per ben sette anni, mi occupavo di marketing in hotel boutique di lusso, mentre
Luca, dopo aver lavorato all’
Harris bar, mi ha raggiunta per poi tornare a Venezia a direttamente la Locanda».
«Ho cominciato ad occuparmi di vini e produttori artigianali a 23 anni in tempi non sospetti, anche allora in totale controtendenza - continua
Luca - lavorare con la distribuzione dei vini mi ha fatto capire moltissime cose, anche delle potenzialità gastronomiche della città, dove non cresce storicamente nulla e le ricette della tradizione ne sono l’emblema: il Baccalà, in realtà stoccafisso norvegese portato in città da
Pietro Querini, un mercante veneziano, nel 1432 o la Castradina, zuppa di montone e verza, retaggio della Venezia balcanica che si mangia in occasione della Madonna della Salute il 21 di novembre per festeggiare la fine della peste che flaggellò la città».
«A
Local siamo partiti da lì, dalle ricette della tradizione per andare oltre in un’interpretazione o meglio uno “svecchiamento” delle tecniche, mantenendo alta l’attenzione su prodotti, tracciabilità e stagionalità, in modo a tratti maniacale. Il menu cambia almeno quattro volte l’anno, a seconda di quello che la Laguna offre, soprattutto per quanto riguarda le verdure. Ci riforniamo da
Michele Savorgnano o dalla cooperativa
La Meravegia, solo per fare alcuni nomi, mentre a Rialto prendiamo il pesce solo in due banchi. I piatti cambiano, rimangono solo il
Risotto di go con alga nori e katsuobushi che viene molto richiesto e che amiamo, noi per primi, in modo particolare».
In cucina c’è
Matteo Tagliapietra, chef originario di Burano, formatosi alla
Locanda Cipriani a Torcello, con successive pesanti esperienze all’estero alla
Locanda Locatelli e al
Nobu di Londra, passando per il
Noma di
Rene Redzepi. Sono tanti i giovani che lavorano a
Local, alti i sacrifici della squadra, importante l’investimento economico.
«Spero che i nostri sforzi vengano ripagati, stiamo ricevendo molto riscontri positivi, ma il costo di un gastronomico è alto - continua
Luca - a cena abbiamo spesso il ristorante pieno, forse grazie anche a strumenti come TripAdvisor, i clienti ci raggiungono autonomamente, è scattato il passaparola. Tra un po’ stiamo valutando la possibilità di avere in carta solo la formula “degustazione” affinché ogni cliente faccia un’esperienza gastronomica e non si limiti a prendere alcuni piatti».
«A Venezia servono idee, progetti e soprattutto giovani che li portino avanti – concludono
Benedetta e
Luca – ci sono delle mosche bianche, ma non basta. Dobbiamo ragionare in termini politici, la città deve avere insieme una visione futura su dove vogliamo andare, anche limitando il numero dei visitatori, forse a discapito di noi imprenditori, ma si deve dare loro una proposta di qualità, dobbiamo andare oltre la
Sarda in Saor!».
La scheda completa, con informazioni e contatti del ristorante, sulla Guida di Identià Golose