12-04-2016

Uno spirito libero a Parigi

La storia di Michele Farnesi, da Lucca alla Tour Eiffel, e della sua cucina di pancia e di testa

Michele Farnesi, 27 anni. Dopo aver guidato per al

Michele Farnesi, 27 anni. Dopo aver guidato per alcuni mesi la cucina di Heimat, di Pierre Jancou (ne avevamo raccontato qui), è arrivata l'occasione per esprimersi in modo completamente indipendente, sempre a Parigi. Con Dilia ha aperto un ristorante negli stessi locali che già hanno portato fortuna a un altro cuoco italiano, Simone Tondo

Michele Farnesi, lucchese, spirito libero difficilmente domabile, vive la vita e la cucina intensamente, capace di trarre insegnamenti importanti da ogni esperienza e di trovare, tanto nelle sue scelte quanto nei suoi piatti, il giusto equilibrio tra istinto e razionalità. 

Impara a destreggiarsi ai fornelli fin da bambino, grazie alla mamma, pessima cuoca, e all’istinto di sopravvivenza, che gli insegnano a cavarsela da solo. Nonostante una stagione estiva in Sardegna in un ristorante da seicento coperti al giorno rischi di farlo mollare, una cena da Conti Roero, ristorante stellato a Monticello d’Alba, lo fa ricredere. Conquistato dalla raffinatezza della cucina piemontese, chiede allo chef Fulvio Siccardi di accoglierlo in cucina e nel giro di un anno e mezzo passa da stagista a sous-chef.

Dopo il Piemonte approda a Stoccolma, da Stefano Catenacci, prima nel ristorante italiano dell’Hotel Nobis e poi all’Operakällaren, ristorante gastronomico francese old-fashioned, con una cucina classica e un servizio impeccabile che lo affascinano. Stanco del clima svedese, bussa poi alla porta dell’Osteria Francescana, dove per otto mesi, gestisce la produzione del pane: «La mia faccia da bischero garbò subito a Massimo».

La voglia di partire si fa nuovamente sentire e nel luglio 2012 lascia Modena per Parigi, dove in tre anni lavora da Saturne con Sven Chartier, da Rino con Giovanni Passerini, all’Hotel Thoumieux con Jean François Piège e da Heimat di Pierre Jancou. «Marco Pierre White  diceva che i francesi cucinano con la testa, gli italiani con il cuore. Combinando le due, secondo me, sei un bravo cuoco».

Giovanni Passerini gli insegna a creare ascoltando la pancia, con Piège affina tecnica e precisione mentre, quando tra un contratto e l’altro sostituisce lo chef il tempo di un servizio in svariati ristoranti parigini, impara a capire al volo la fisionomia di una cucina e di un prodotto. «Nei tre mesi all’Hotel Thoumieux ho litigato con tutti tranne che con lo chef: so accettare la disciplina solo quando c’è rispetto. L’unico che mi rispettava era Piège». 

Nonostante il rispetto e la stima reciproci tra Michele e Piège, il bisogno di libertà e la voglia di esprimersi sono più forti e quando Pierre Jancou gli propone di aprire con lui Heimat, non esita un solo istante: «L’esperienza di Heimat mi è servita moltissimo per affrontare l’apertura di Dilia: ho imparato dai miei errori e da quelli di Jancou».
  
Prima era Roseval. Ora è Dilia

Prima era Roseval. Ora è Dilia

Il 15 settembre 2015 apre appunto Dilia, nel ventesimo arrondissement, prendendo il posto di Roseval di Simone Tondo. Dilia è la sintesi perfetta delle sue esperienze passate e della sua attuale idea di cucina: libertà - parola che più volte ripete nel corso dell’intervista - passione, tecnica, creatività senza fronzoli, una cucina di alto livello che vuole restare facilmente accessibile.

I suoi piatti sono liberi da un’etichetta tricolore e in ognuno si percepisce il piacere che prova Michele nel crearlo, spinto dalla pancia e guidato dalla testa, come il gustoso Carciofo ripieno di cozze e midollo, l’insolita Pasta con cannolicchi rafano e beurre noisette o la sorprendente Ricciola con salsa di mallegato, spinaci al sesamo e ribes rosso

A mezzogiorno un menu del giorno a prezzi leggeri (16 o 19 euro) e preparazioni semplici, mentre la sera, Michele propone un menù a quattro portate (44 euro) e uno a sei (60 euro). Bella l’idea per sfruttare il bancone, dove si può bere un bicchiere accompagnandolo con uno o più piatti, o una pasta da 60, 90 o 120 grammi. 

La sala

La sala

Quando gli spazi in cucina sono angusti, il menu fisso è un’esigenza, ma anche una sfida: «Ho imparato da Giovanni Passerini, un maniaco del menu: nessuna tecnica e nessun prodotto devono ripetersi nei piatti». Non solo un’alternanza di prodotti o cotture: nei suoi menu Michele combina piatti che giocano sulla creatività con altri che giocano sui profumi o sulle cotture, lasciando sempre il posto per un piatto “riconfortante”, che non richiede di essere capito.
 
«I menu troppo lunghi spesso mi annoiano  e quelli troppo creativi mi stancano. Non si può giocare solo sulla creatività: mi piace inserire sempre un piatto riconfortante, spesso un dessert, che ti rilassi e ti soddisfi». Nonostante siano stati i grandi ristoranti a segnare la carriera di Michele, Dilia vuole essere pop o, ancora meglio, rock: «Dilia è un buon ristorante di quartiere. Non mi piace l’idea del gastronomico: puzza di vecchio, di caro, di snob. A me piace cucinare per la gente normale, è per questo che ho scelto il ventesimo  arrondissement».

Dilia
1, Rue d'Eupatoria 
75020 Paris
+33.09.53562414
Chiuso domenica e lunedì


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Ilaria Brunetti

Matematica per caso, gastronoma per passione, ama girare il mondo - tra convegni di matematici e congressi di chef - per raccontare storie di cibo e dei suoi appassionati e appassionanti protagonisti

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