22-01-2024
Agnello come un lahmacun, il piatto di Marco Ambrosino gustato (anche) a Identità Golose Milano. Ha dietro tutta una storia, che vi raccontiamo
Pizza, pitta, pita, pìda, piada, pide, lahmacun. Troppo facile trovare l'intruso, in questa breve sequenza di parole, diverse ma davvero simili (tranne l'ultima), che vanno a nominare alimenti diversi ma davvero simili, diffusi nella nostra area mediterranea e nati con lo stesso scopo, quello di assicurare alla popolazione più povera un pasto veloce, economico, trasportabile, piacevole, semplice. Che si poteva e si può "mettere insieme" con poco, senza orpelli, e consumare in quella che noi considereremmo la pausa pranzo, ammesso ci fosse.
L'intruso di cui sopra è ovviamente il lahmacun (si pronuncia lahma:'dʒun), che poi sarebbe la "pizza turca" (ma c'è una disputa tra popoli. Per dire, a Istanbul e dintorni se la sono presa non poco quando, nel marzo 2020, Kim Kardashian, d'origine armena, pubblicò un video sul suo Instagram affermando: "Chi conosce il lahmacun? Questa è la nostra pizza armena". Proteste). Il termine in realtà è d'origine araba, poi ha risalito il Medio Oriente nei secoli: era già diffuso in Libano quando ha preso direzione ancora più verso Nord, arrivando presto nella Turchia meridionale, a Gaziantep, l'area dei pistacchi poco sopra la siriana Aleppo, mentre non risultava conosciuto a Istanbul fino alla metà del XX secolo. Fatto sta che la parentela con la nostra pizza c'è tutta: si tratta di una focaccia tonda preparata solo con acqua e farina, condita nella parte superiore con carne macinata (più comunemente manzo o agnello), verdure ed erbe aromatiche, tritate, tra cui cipolle, aglio, pomodori, peperoni rossi e prezzemolo, il tutto aromatizzato con spezie e peperoncino, infine cotto al forno.
La "pizza turca", ovvero lahmacun
Marco Ambrosino
Anche perché il nostro concetto di pasti non è quello di una volta. Oggi è diffusa universalmente l'abitudine di due pasti principali quotidiani, un pranzo e una cena, da consumarsi a tavola, a casa, al ristorante, al bar, comunque in un luogo coperto e adatto alla bisogna. E a orari più o meno definiti. «Secoli fa - ma in certe zone d'Italia anche solo fino a neanche un centinaio d'anni or sono - le cose erano diverse, le giornate funzionavano in modo differente - spiega Ambrosino - Si mangiava quando si poteva (e quando si aveva fame) e dove ci si trovava, magari mentre si lavorava nei campi o per strada o in mare, sulle barche da pesca». Ad esempio i contadini si portavano da casa una sacca con del pane secco, da "ravvivare" con quel che c'era e da divorare in una breve pausa. Questo è molto tipico soprattutto dell'area mediterranea dove, anche per ragioni climatiche, non necessariamente serviva un riparo per nutrirsi. «Pensiamo alle polpette, cibo tipico in questo senso. Abbiamo le kofta nel Medio Oriente, i ćevapčići in area balcanica e da lì fino all'ex-Impero Austro-Ungarico, le keftedes greche, le albondigas spagnole, le nostre polpette appunto, lo stesso kebap che è un insieme di carni varie che trovavano forma a seguito della tecnica che le rendeva utilizzabili, e un contenitore - un pane arabo - che le racchiudesse. La pita, ripeto, in generale è proprio questo: una sfoglia che raccoglie gli alimenti e consente di portarseli in giro per consumarli dove e quando necessario», anche senza tavolo, anche senza posate. Come la pizza, da mangiare per strada "a portafoglio"... «A Napoli mi crocifiggeranno. Ma pare proprio che la parola pizza sia una storpiatura dei Longobardi, arrivati a Sud e incappati nella pita».
Lahmacun da passeggio
Gran piatto, ma esaltanti quelli che lo hanno preceduto e seguito.
Carciofo alla brace, tartufo nero e agrumi, olive, cucunci e maggiorana
Minestra di pasta e pane fermentato, nocciole, alici, olio mediterraneo
Federico Andreini
La mescolanza mediterranea, questo meticciato storico che ci caratterizza e che ha una ricchezza infinita, è il luogo di ricerca di Ambrosino; una ricerca prima culturale (ossia sociologica e antropologica) e solo poi di tecnica gastronomica. Sempre ai massimi livelli.
Racconti, storie e immagini dal primo Hub Internazionale della Gastronomia, in via Romagnosi 3 a Milano
a cura di
classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera
Il Collettivo Gastronomico Testaccio, presso la Città dell’Altra Economia (ex Mattatoio di Testaccio), largo Dino Frisullo 1, Roma
Il palco dei TheFork Awards 2023 by Identità Golose, pochi minuti fa: da sinistra Gerry Scotti, che ha presentato l'evento, Andrea Arizzi (senior sales manager di TheFork), Ciro Salvo, Marco Ambrosino, Mario Capitaneo e Paolo Marchi