Focaccia è un termine che deriva dal latino panis focacius, che significa "pane cotto sul focolare", era una preparazione presente in tutte le case, specie quelle contadine. Se oggi è riconosciuta come prodotto identitario, come tipicità e momento di valorizzazione delle tradizioni antiche, in tempi passati - ma non troppo lontani - veniva preparata con i resti dell’impasto del pane, quindi farina, acqua, sale e lievito (ovviamente lievito madre) per testare la temperatura del forno a legna prima di cuocere il pane stesso.
Ne veniva fuori un pane basso, che spesso era spennellato di grasso od olio, poi semplicemente condito con salsa di pomodoro e qualche sarda per dare parvenza di qualcosa di saporito e diverso; in altri casi il condimento veniva inserito all’interno dell’impasto, si trattava quasi sempre ingredienti di recupero, come voleva la filososia zero waste dei contadini di un tempo. Ne derivava un "boccone di rinforzo" per chi lavorava tutto il giorno nei campi.
Ogni regione ha la sua focaccia contadina, tramandata nei decenni, oggi ripescata e riproposta grazie anche al lavoro di molti pizzaioli e panettieri legati al territorio e che hanno saputo riscoprire il buono e il bello in ciò che mamme e nonne hanno sempre fatto. Non sbagliamo, dunque, se diciamo che ogni tipologia di pizza o focaccia porta con sé una storia profonda di territorio, del suo popolo e di una cucina povera e semplice.
Anche in Calabria quella della "focaccia" è una tradizione antica che rimanda ai ritmi e alla società di un tempo, quando quasi tutti i contadini avevano un forno in casa e, coltivando il grano, impastavano il pane e tutti i suoi derivati. Attenzione, però: la gestione del forno era prettamente matriarcale, erano le donne a preparare quanto avrebbe sfamato la famiglia per più di una settimana. In certe occasioni, poi, la focaccia assumeva persino significati sacri, protagonista com'era delle feste comandate e di qualche leggenda amorosa.
LA SCHICCULIATA A CASTROVILLARI
Iniziamo il nostro viaggio nelle focacce calabresi da Castovillari, cittadina di origine medievale ai piedi del Pollino. Qui si trova la
schicculiata, una focaccia condita solo con gli ingredienti semplici della tradizione: pomodoro, basilico, aglio, olio extravergine d’oliva, peperoni e origano. Pochi conoscono questa focaccia, anche se si tratta di una preparazione tipica e abbastanza diffusa tra le famiglie; tra l'altro, da qualche anno è tornata in auge sui banchi dei fornai e delle pizzerie al taglio locali, con la dichiarata volontà di mantenere vive le tradizioni. Questa "pitta" al pomodoro - come ci raccontano i fornai di zona - è presente sulle tavole contadine da oltre un secolo ed era una specialità immancabile anche durante la preparazione delle salsa di pomodoro fatta in casa: si cucinava un sughetto profumato con aglio, peperoni e basilico, poi si infornava la focaccia prima del pane, cuocendola nel ruoto, si condiva ed era una festa! A Castrovillari la troviamo sul banco di uno delle panetterie storiche, il
Forno Orlando, che da tre generazioni, oltre alle varianti di pane casereccio, sforna ogni mattina la schicculiata sia nella versione rossa che bianca.
Mario e
Massimo Orlando, i due titolari, ci raccontano che il nome "schicculiata" deriva dal termine castrovillarese
schicchiuliare ovvero "schizzare", riferito a quando la focaccia usciva calda dal forno e il pomodoro continuava a sobbollire producendo schizzi. Anche la pizzeria
Da Filomena propone la sua versione, con impasto a lunga maturazione e condimento con pomodoro fresco, peperoni, aglio, basilico e olio extravergine d’oliva. Disponibile anche una variante con la salsa cotta in padella con basilico, olive nere e origano. La schicculiata non manca nemmeno nei migliori forni dei dintorni di Castrovillari, nei piccoli centri al Nord della provincia cosentina: se per esempio fate un giro dalle parti di Cerchiara la troverete nelle panetterie, accanto al classico pane con la gobba e alla pitta.
LA GRUPARIATA DI LIUZZI
Spostiamoci ora a Luzzi, ai confini con la Sila cosentina, dove regna sovrana la
grupariata, una delle più antiche focacce calabresi, alla quale ogni autunno si dedica l’evento “Sua Maestà la Grupariata” durante il quale viene premiata la migliore focaccia del paese. È di semplice esecuzione, ma dal risultato davvero saporito: l’impasto è caratterizzato da un bel colore rosso che deriva dall’aggiunta di pomodori pelati e peperoncino in polvere insieme alla farina e al lievito; dopo una doppia lievitazione che le conferisce volume e consistenza, si farcisce con pomodori freschi, acciughe e sardella. Il nome
grupariata significa “bucherellata”, in riferimento ai buchi fatti con le dita dove poi vengono inseriti gli ingredienti. La grupariata, vero e proprio simbolo culturale e identitario di Liuzzi, veniva preparata in occasione di feste o grandi eventi. Pare sia nata da una leggenda: si racconta infatti che la sua origine sia legata alla tragica storia di
Palummella, una giovane bellissima figlia di due contadini. Di lei s'innamorò il rampollo del signorotto del paese, ma la famiglia temeva che fossero fratelli illegittimi e impedì loro di vedersi. Disperato, il ragazzo si fece trasformare in colombo da una maga (la
magara) per raggiungere l'amata in volo. Un giorno, la madre di
Palummella, rientrando a casa si spaventò alla vista del colombo, fece cadere i pomodori appena raccolti; la ragazza li impastò con il pane per non sprecarli, dando vita a questa focaccia. Quando il padre scoprì tutto, uccise il colombo a fucilate e
Palummella, distrutta dal dolore, si tolse la vita. La grupariata, oltre a continuare a essere una preparazione casalinga, si trova anche in diversi forni tra Luzzi, Civita, Cerchiara e Bisignano.
LA FOCACCIA ORIGANATA DI ROGLIANO
A Rogliano, nella valle del Savuto, una quarantina di km da Liuzzi, abbiamo avuto modo di trovare e assaggiare la
focaccia origanata, scovata in uno dei forni storici e più conosciuti, il
Panificio Cuti, che propone una versione aromatizzata con origano della classica
pitta, il pane basso e piatto che si realizza con lo stesso impasto del pane casereccio locale. Questa focaccia particolare, la più moderne tra quelle citate finora, si può mangiare ripiena o utilizzare anche come base per una sorta di pizza-pane dove porre pomodoro e ingredienti a piacere.
LA PITTA PIZZULATA
Altro esempio locale, forse più legato alla gastronomia, è la
pitta pizzulata tipica della cucina tradizionale calabrese, a metà tra una pizza e una focaccia, parecchio sostanziosa. Consiste infatti in una sorta di focaccia salata non lievitata, che si ricava da un impasto a base di farina, uova, pecorino grattugiato, sugna e vino bianco. Si stende in tortiera, si condisce con pomodoro, olio di oliva e peperoncino e si fa cuocere in forno.
LA LESTOPITTA DELLA BOVESÌA

La Lestopitta con tartare di pecora di Luigi Lepore
Nell’area grecanica chiamata Bovesìa, storica comunità montana della provincia di Reggio Calabria, c’è la
lestopitta, un pane azzimo dalle origini antichissime, introdotta qui proprio dai Greci. Il nome che deriva dal greco Λεπτός (
leptòs), ossia "sottile", e πίτα (
pita), vale a dire "pane" e significa appunto “pane sottile”. Si compone di pochi e semplici ingredienti e per secoli è stata un alimento essenziale, consumato come alternativa più veloce al pane, visto che non necessita di lievitazione e si cuoce in padella (esiste anche una variante fritta). C’è chi la vede come un incrocio tra pizza fritta e piadina, pita turca e pane azzimo, chi invece come una focaccia non lievitata o un tacos da condire con prodotti tipici come salumi, formaggi e verdure. Si gusta calda e si presta a molteplici abbinamenti, ma è anche ottima nella sua versione semplice con olio extravergine d'oliva e sale. Nel tempo, sono nate diverse interpretazioni, tra cui quella dolce, arricchita con miele, confetture o creme spalmabili, ma anche versioni gourmet, grazie alle reinterpretazioni di giovani chef come
Luigi Lepore dell'
omonimo ristorante di Lamezia Terme o
Emenuele Pucci del ristorante
De' Minimi a Tropea.
LA PITTA CU U MAJU
In tema di pitta c’è poi la pitta ai fiori di sambuco, in dialetto
pitta cu u maju: è una focaccia soffice della tradizione calabrese, riconosciuta come Pat (Prodotto Agroalimentare Tradizionale). Il suo nome deriva dal mese di maggio (
maju), periodo in cui il sambuco fiorisce e i suoi fiori vengono raccolti per essere utilizzati per condire pane, focacce e frittelle. Questa ricetta semplice racchiude gesti antichi tramandati di generazione in generazione, testimoniando il forte legame della Calabria con la terra e le sue risorse. L’uso dei fiori in cucina, oggi riscoperto nella gastronomia contemporanea, ha radici profonde, come dimostra questa preparazione che valorizza il profumo inebriante del sambuco. Si preparano i fiori di sambuco sott’olio e, dopo il tempo necessario affinché si insaporisca l’olio, questo viene utilizzato per aromatizzare la speciale pagnotta, dal sapore unico e avvolgente, che sa rimanere nel cuore.
MA CHE COSA È LA PITTA?
Più volte abbiamo citato il termine
pitta, che non è esattamente una focaccia: possiamo definirla una tipologia di pane basso, dalla forma a ciambella perfetta da farcire o da mangiare per accompagnare altre pietanze, grazie alla poca quantità di mollica che ne fa un ottimo involucro. Si produce solo in Calabria, regione nella quale anticamente era il pane per eccellenza. In passato, la pitta veniva utilizzata per testare la temperatura del forno prima di infornare il pane e ancora oggi nei forni storici è l’impasto che viene cotto prima di tutto il resto. Ne esitono molte tipologie: c'è quella bassa e larga, più morbida, dell’Alto Cosentino e quella con forma di ruota, più stretta e con il buco centrale più grande, che è legata a due piatti tipici di Catanzaro:
u’ suffrittu, a base di carne di maiale e frattaglie, e
u’ morzeddhu, con trippa e interiora bovine, entrambi serviti rigorosamente all’interno della pitta e da mangiare con le mani. Negli anni si sono diffuse diverse altre varianti di pitta, anche dolci, che si caratterizzano in base all’area di produzione. Ma tutto questo merita un altro articolo!