11-01-2015

Anfore di Romagna

Quattordici vignaioli, affascinati dalle tecniche georgiane, sperimentano con vitigni autoctoni

Un gruppo di vignaioli romagnoli, raccolti sotto l

Un gruppo di vignaioli romagnoli, raccolti sotto la spiritosa insegna di AN son miga FORA, grazie al contatto con Slow Food Georgia hanno appreso le tecniche e acquistato le anfore necessarie per poter provare a creare dei vini speciali, utilizzando solo vitigni della regione. Qui il racconto della degustazione in anteprima della vendemmia del 2013.

8 bottiglie sul lungo tavolo conviviale delle Giare, etichettate di fresco. Tutt’intorno il tourbillon dei grandi piatti di Gianluca Gorini e Matteo Monti, chiamati a Festeg-Giare l’inverno, nell’ultima stazione del ciclo di cene dedicato alle quattro stagioni. C’è voluta la caparbietà del patron Claudio Amadori per riunire attorno a un tavolo i produttori più avventurosi della Romagna, non paghi di sforbiciare attorno a barbatelle di albana e sangiovese.

Quelli che qualcuno ha già chiamato “gli apostoli dell’anfora”, sebbene il numero dei vignaioli sia già cresciuto a 14, con la spruzzata vivificante dell’Acetaia San Giacomo di Novellara. Si tratta di Tenuta La Viola, Tenuta Pennita, San Biagio Vecchio, Vigne di San Lorenzo, Tre Monti, Villa Papiano, Vigne dei Boschi, Villa Venti, Viabizzuno, Paolo Francesconi, Leone Conti, Orsi Vigneto San Vito, Villa Liverzano, Podere Vecciano e Terre di Fiume.

Tutto è cominciato nel 2011, quando il compianto Valter Dal Pane della faentina Osteria della Sghisa e il gastronomo Carlo Catani rimasero folgorati da un Kvevri sulla via del Vinitaly. Per la mediazione di Slow Food Georgia cominciarono così a intessere la rete di uno scambio intenso, per trama visite e know how, quale ordito le anfore acquistate in situ. Nel disciplinare non scritto di “AN son miga FORA” l’obbligo di versarvi solo vitigni “autoctoni” (albana, rebola, malvasia, sangiovese, centesimino), lasciare campo libero ai lieviti indigeni e moderare l’addizione di solforosa, senza procedere a filtrazione.

 Foto di gruppo di AN son miga FORA

 Foto di gruppo di AN son miga FORA

Assai diverse le scelte dei produttori, che hanno consacrato all’esperimento un’anfora a testa e le loro uve migliori. Il tempo di macerazione a contatto con le bucce è variato da un minimo di due mesi al record di Paolo Babini, i cui acini riposano ancora nella terracotta cerata; variabile anche la percentuale, dal 20% di Villa Papiano al 100% di bucce per gli altri.

«Fa qualcosa di vecchio che sia assolutamente nuovo. Fa qualcosa di nuovo che sia assolutamente vecchio», esortava Ludwig Wittgenstein. Gli esiti della vendemmia 2013 roteano adesso nel bicchiere, in anteprima assoluta. Rilasciano sensazioni di soavità, floreali e delicatamente minerali grazie al calcio dei contenitori, su un corpo ricco ma non pesante, insospettabilmente caldo.

E se Leone Conti teme che l’attenzione si sposti sui contenitori, come al tempo della barrique, e Federico Orsi lamenta la loro invasività, Stefano Gabellini si dichiara piacevolmente stupito: «Ad incuriosirmi è stata la possibilità di vinificare come una volta. Abbiamo condiviso le nostre esperienze e i vini sono tutti assolutamente da provare».

Lucia Ziniti di San Biagio Vecchio ha superato la diffidenza verso uno strumento poco tipico per due motivi: «La possibilità di fare gruppo su un progetto comune e quella di sperimentare, estremizzando la vinificazione. Abbiamo optato per la raccolta tardiva con l’appassimento in pianta e acini botritizzati che in anfora hanno sviluppato una bellissima armonia, durante 8 mesi di macerazione e 5 sulle fecce fini. L’aspetto più stimolante sta probabilmente nell’ossidazione controllata: l’anfora è un contenitore riducente che fa evolvere il vino in modo misurato grazie alla carica polifenolica delle lunghe macerazioni».

E ancora Paolo Babini: «Sperimento la macerazione dal 2004, con esiti mai del tutto convincenti. Quando ho assaggiato i georgiani nel 2010 sono rimasto folgorato da vini di ‘terra’ affumicati, aromatici, dalla beva assassina nonostante la macerazione. Quindi ho applicato alla lettera la loro tecnica, sotterrando le anfore a fini termici. E ho ritrovato la stessa complessità, con le sfumature dell’albana». Ma nei kvevri è già finito anche il 2014, nell’intenzione, l’anno che verrà, di estendere quella che non è più una sperimentazione ai cugini emiliani.


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

a cura di

Alessandra Meldolesi

Umbra di Perugia con residenza a Bologna, è giornalista e scrittrice di cucina. Tra i numeri volumi tradotti e curati, spicca "6, autoritratto della Cucina Italiana d’Avanguardia" per Cucina & Vini

Consulta tutti gli articoli dell'autore