06-02-2022

Comfort wine: 18 consigli dei nostri esperti

Etichette da non perdere, proposte che coccolano palato e anima, senza eccessive elucubrazioni mentali sulla finezza del tannino o sulle note di mora e lampone

Cinzia Benzi e Raffaele Foglia hanno scelto un

Cinzia Benzi e Raffaele Foglia hanno scelto un filo conduttore, per questa newsletter, che vuole essere rassicurante: i comfort wine. Proprio partendo dalla constatazione che nelle cucine di tutto mondo brillano i comfort food, si sono chiesti se è così anche con le bottiglie. A seguire il risultato delle loro ricerche e di chi collabora con noi. Proponiamo qui i contenuti della nostra ultima newsletter: per "abbonarsi" e così riceverla gratuitamente a casa iscriviti qui

Autenticità nei vini di montagna di Anselmet

Senza dubbio la Valle d’Aosta è una regione non facile da trovare nelle carte dei vini, ma quando lo ritrovo Maison Anselmet mi rassicuro. La famiglia Anselmet conduce personalmente circa 10 ettari di proprietà suddivisi in oltre sessanta parcelle di piccole e piccolissime dimensioni, su di una lingua di terra di circa 35 chilometri, tra Avise e Chambave. Tutti i vigneti si elevano tra i 550 e gli oltre 900 metri d’altitudine, spesso ripidi e scoscesi, scanditi dai terrazzamenti dei muretti a secco. Una famiglia che produce vino da tre generazioni, pionieri della riscoperta e della valorizzazione di vitigni autoctoni dimenticati (quali Petit RougeCornalinFuminMayolet, e Muscat) e al contempo coraggiosi divulgatori dei vitigni internazionali, coltivati e vinificati secondo un autentico spirito valdostano. I vini di Anselmet sono espressione esplicita della passione e della infinita curiosità di Giorgio verso le conoscenze vitivinicole più adatte a esaltare il carattere dei vini valdostani; ogni etichetta e ogni annata sono interpretati con la loro unicità. Tra le diverse referenze il suo Broblan Vallée d’Aoste 2019 è un Cornalin 100%, un vino coinvolgente e slanciato, corredato da profumi di frutti di bosco e sottili sentori affumicati. Intenso, agile e definito nel sorso; perfetta espressione di un vino di montagna.

Braida, Limonte e l’eleganza del Grignolino

Braida è l’interprete per eccellenza dei grandi rossi del Piemonte dove l’iconica Barbera Bricco dell’Uccellone diffonde il verbo di quanto questo vitigno sia un vero capolavoro: basta saperlo valorizzare. Raffaella e Giuseppe Bologna, figli di Anna e Giacomo, portano avanti un pezzo di storia piemontese del mondo enoico. I genitori hanno trasmesso loro il profondo rispetto della terra e del passato, senza ignorare il futuro. Ecco la crescita del progetto Grignolino d’Asti, rosso spettinato e spesso messo in disparte nelle carte vini. Limonte è prodotto dal 2014. Un vino immediato. Fermenta in acciaio a temperatura controllata, matura per quattro mesi in vasche e, in seguito, sosta almeno altri due mesi in bottiglia prima di entrare in commercio. Il millesimo 2020 è intrigante, un rosso granato raffinato, al naso marcati sentori di rosa, fieno fresco e note di frutta con nocciolo, dalla prugna gialla all’albicocca.  All’assaggio ti colpisce la  florealità, rosa in primis, e gli stessi frutti evidenziati all’olfatto. Un tannino audace che non invade l’equilibrio del sorso e intacca la persistenza. Nei calici si conferma l’anima rossista dei Bologna.

Morinaccio sui lieviti, un richiamo alle radici

Un richiamo alle radici, a ciò che si era o si sperimentava in saggia libertà, e un modo per ricordarsi che il divertimento è una cosa seria. Questo rappresenta per me il Morinaccio sui Lieviti 2020 della Cascina Garitina di Castel Boglione e quindi lo scelgo sempre a colpo sicuro per vivere quello che solo apparentemente è un contrasto. Gianluca Morino ha voluto proporre un «rosso di cascina, fatto come una volta». E non ha paura di affermare: da bere fresco (freschissimo in estate). Che cosa c’è dietro il Morinaccio, che simpaticamente declina il cognome del produttore svelando la vena grintosa e ironica? Una Barbera vivace, per via dei lieviti con fermentazione in bottiglia, come la faceva il nonno che ci aggiungeva anche un po’ di Freisa. Per questa ragione assume un’altra carta d’identità al giorno d’oggi. Una tentazione a cui cedere d’estate e un sorriso da regalarsi anche per mettere in fuga, almeno temporanea, l’inverno.  La Cascina Garitina è stata fondata nel 1900 e ha conservato l’impronta appassionata di un’azienda familiare: il suo nome è legato alla bisnonna Margherita (“Margheritina”) e ha le vigne più vecchie dedicate alla produzione del Nizza Docg.  Il Morinaccio - imbottigliato nella Settimana santa -  è un gioco di quelli che rendono leggera la vita, con un tocco di saggezza antica. Marilena Lualdi

Cuore in pace con l’Inferno di Nobili

Per chi come me abita a Como, dove il vino sul lago è stato per anni un’illusione (anche se ora, per fortuna, qualcosa si sta muovendo), la Valtellina ha da sempre rappresentato il “bacino” d’utenza per assaggiare qualcosa di buono. Un punto di riferimento, prima con lo Sforzato, poi con il Valtellina superiore. Tra un piatto di pizzoccheri e qualche sciatt, e salendo non senza fatica tra i terrazzamenti, ho imparato ad assaggiare tanti vini valtellinesi, guardando una crescita costante di questa incredibile zona. E ho conosciuto Nicola Nobili, persona schietta e diretta, e il suo Inferno Riserva, per il quale è stato innamoramento a primo sorso. I vini di Nobili non hanno mai avuto paura del tempo, tanto che il Nebbiolo rimane in botte grande a lungo. Tanto che l’Inferno 2015, in commercio ora, praticamente riposa quasi sei anni nel legno. E il vino della Valtellina al quale sono maggiormente affezionato, la bottiglia da aprire magari quando il morale è basso e si ha voglia di staccare, da degustare all’inizio per comprenderne tutti i tratti e da bere spensieratamente dopo. Perché alla fine, l’importante è che il vino sia buono, senza soffermarci troppo su “analisi chimiche” di profumi e sentori. Raffaele Foglia

Nussbaumer Tramin, obbligo di sosta in cantina

Quando mi capita di percorrere l’autostrada del Brennero una deviazione per una sosta alla Cantina Tramin di Termeno è una scelta obbligata. Vuoi per la bellezza del territorio, vuoi per il design avveniristico della nuova cantina che si getta, letteralmente, fra i vigneti come un trampolino verso piacevoli degustazioni, vuoi per la qualità e la personalità dei vini firmati dall’enologo Willi Stürz. Vini eleganti, decisi, eccellenti, in una parola: “sicuri”. Si va sul sicuro quando si sceglie Tramin. E ancora di più se la scelta cade sul Gewurztraminer Nussbaumer. Al ristorante, questa etichetta pluripremiata da guide e intenditore, è come un amico fidato a cui lasciare le chiavi di casa quando si parte per le vacanze. Potente, sontuoso, ricco e rassicurante perché capace di uscire, con gran classe, dagli stereotipi degli abbinamenti bianco/pesce certamente superati al cospetto di questo fuoriclasse, soprattutto se lasciato per anni in cantina. I suo profumi, realmente unici, la sapidità e la spiccata acidità consentono, di tenerselo vicino per tutto il pasto per entusiasmarsi grazie alle note di frutta tropicale e candita, esaltata ancora di più nell’annata 2020, l’aroma rotondo e la struttura imponente quanto imperiale. Andate sul sicuro. Maurizio Trezzi

Aromaterapia con il Gewürztraminer Egger Ramer

Una cura rigenerante per eccellenza è l’aromaterapia, in grado di riconciliare i sensi e i pensieri. Per questo motivo uno dei vini che scegliamo volentieri come ricarica oppure come alleato in momenti già speciali, porta con sé questa definizione nelle parole e nei fatti: l’aromaterapia dell’Alto Adige. Così si proclama il Gewürztraminer Doc Alpino 2020 dell’azienda Egger Ramerche offre questa doppia connotazione: un aroma in cui vengono esaltate le note floreali e balsamiche di un territorio così fortemente identitario, capace però di spingersi anche in un viaggio tra sentori di frutti esotici e agrumi. Tutto ha origine da viti di età tra gli otto e i quindici anni, in terreni sabbiosi, ghiaiosi e argillosi. A metà settembre la vendemmia. La piccola e fiera cantina di Bolzano ricorre a una breve macerazione a freddo dell’uva prima della pigiatura. Si prosegue poi con la fermentazione alcolica a temperatura controllata e l’affinamento in acciaio sui lieviti fini per un periodo di circa cinque mesi. In questo modo, il vino acquista una personalità olfattiva e una freschezza, che possono renderlo accattivante protagonista a tavola dall’aperitivo fino ai formaggi. Marilena Lualdi

Brigaldara, Amarone Case Vecie è un vino del cuore 

 Nei ristoranti di pregio la carta dei vini è voluminosa, quasi monumentale. Un percorso lungo, a volte estenuante per profondità. Centinaia di etichette, produttori e annate. L’avventore distratto finisce per scegliere, quasi, per sfinimento. Chi conosce e apprezza riesce districarsi in questo labirinto di vitigni e denominazioni, per scovare il vino del cuore. Sempre più spesso il mio è rappresentato da un Amarone. Possente, tecnico – per la particolarità produttiva – deciso, non per questo inarrivabile anzi da provare con piatti più leggeri rispetto ai classici abbinamenti con selvaggina e carni rosse. L’Amarone Case Vecie di Brigaldara, azienda di tradizione guidata da Stefano Cesari, ne è un degno rappresentante. È prodotto nelle vigne alte, nel Comune di Grezzana, in Valpantena in uno straordinario appezzamento a 500 metri con bella esposizione. Dopo un attento appassimento di 4 mesi la vinificazione delicata permette una corretta cessione al mosto degli elementi nobili della buccia. Il Case Vecie passa poi due anni in piccole botti e altrettanti in botti grandi. Nel bicchiere ha colore rosso intenso e brillante, una nota leggermente amara, stemperata da sapori di frutti rossi. La fine è asciutta e calda grazie all’importante grado alcolico. Una scelta affidabile. Maurizio Trezzi

Leggi Pighin e pensi al Friuli: ecco Soreli

Ambasciatore del vino friulano tra i più conosciuti nel mondo, Pighin è sinonimo di territorio e gusto che diventa comfort nella scelta del vino al ristorante o in enoteca. Una terra fertile quella del Collio che, a partire dal 1963, la famiglia coltiva nel nome della passione per il buon vino. Una passione fondata su un preciso valore: difendere sempre la più alta qualità del prodotto, dalle vigne alla tavola: un valore oggi riconosciuto dai consumatori, facile sentirsi a casa nel ritrovare nella carta dei vini questa bella azienda friulana. Nasce così la mia scoperta di Soreli Bianco Collio Doc, annata 2018 e da pochi mesi sul mercato. Un vino che è al tempo stesso un déjà-vu, un richiamo al passato, ma con una storia nuova: nel corso degli anni ’80 infatti, Fernando Pighin diventa nel giro di poco il primo produttore italiano a rifornire la compagnia Lufthansa con il Soreli di allora che divenne il primo vino bianco italiano, insieme al Pinot Grigio della stessa azienda, ad essere servito ai clienti della compagnia di bandiera tedesca della sua storia. Soreli, che in friulano significa sole, luce, è un vino che racconta già nel nome la straordinaria esposizione di cui godono i vigneti da cui nasce, ubicati in un vero e proprio anfiteatro naturale in una delle zone più vocate per i vini bianchi italiani, il Collio D.O.C. Salvo Ognibene

Sacrisassi Rosso di le Due Terre: andiamo sul sicuro

I vini confortevoli sono anche quelli che, oltre a farti pensare-sentire a casa, costituiscono una scelta sicura al ristorante o in enoteca, quella sicurezza che ti dà la loro costanza qualitativa nel rispetto delle differenze delle annate, la loro capacità confermata di invecchiare splendidamente - ammesso che vogliate tenerli in cantina - quelle bottiglie, insomma, che ci faranno fare sempre bella figura se in compagnia o allargare il cuore se in bevuta solitaria. Il Friuli Venezia Giulia è terra di grandi rossi (non solo bianchi!) e fra questi uno dei miei comfort wine è il Sacrisassi Rosso di Le Due Terre, 50% Schioppettino e 50% Refosco, con affinamento di 22 mesi in legno.Ci troviamo a Prepotto, nei Colli Orientali, e Silvana Fortecon il marito Flavio Basilicata e la figlia Cora, coltivano 5 ettari di vigneti da cui traggono in tutto circa 18mila bottiglie dei loro vini, che definiscono - al di là delle ormai consuete definizioni - “artigianale fatto a mano”. Un assaggio della 2011 mi ha rimessa letteralmente al mondo in una delle recenti serate di freddo e uggia invernali, pur se in abbinamento a un semplicissimo piatto di legumi e verdure. La mora e il delicato sottobosco - in equilibrio perfetto in questa fase, nonostante la piena maturità del vino - hanno regalato momenti di autentico godimento. Amelia De Francesco

Castello di Querceto nel ricordo di Antonietta ​

Da quando li ho assaggiati la prima volta, i vini di Castello di Querceto mi sono sempre piaciuti molto. Un po’ per la loro territorialità, un po’ per la loro bevibilità. Questi vini, parliamo di Chianti Classico, mi sono entrati nel cuore quando ho avuto il piacere di restare mezza giornata al Castello, a Greve in Chianti, in compagnia di Alessandro François e della moglie Antonietta: una coppia fantastica, inseparabili, complici. L’esuberanza di Antonietta e la calma di Alessandrodiventavano un mix vincente. Purtroppo, pochi mesi fa, Antonietta ci ha lasciato. Anche per questo motivo, come vino rassicurante, ho deciso di scegliere i due Chianti Classico che più mi piacciono, cioè le due Gran Selezioni, il Picchio e La Corte, entrambi dell’annata piuttosto fresca 2018. Il Picchio (95% Sangiovese e 5% di Colorino) tra i due è forse il più immediato, già dal buon equilibrio fin da subito. La CorteSangiovese in purezza, è un po’ più austero, nella sua eleganza: all’inizio è un po’ introverso, nel tempo si apre con armonia. Alla prossima bottiglia che aprirò il mio pensiero andrà ad Antonietta, ma anche ad Alessandro, che avrà sempre nel cuore il suo angelo. Raffaele Foglia

Chianti Classico Fattoria le Masse: sentirsi a casa 

Cos’è un comfort wine? È una bottiglia che ti fa sentire a casa, magari, che apri nei momenti particolari - i migliori e i peggiori - è quel vino che racconta di te o che ti è affine. Tutto questo e molto altro. Da toscana è forse fin troppo semplice (ma impariamo a rivalutare le cose semplici) scegliere come vino del cuore un Chianti Classico, un Sangiovese familiare che pure riesce a sorprendere e non stancare mai grazie alle sue sfaccettature straordinariamente diverse. La Fattoria le Masse, a Barberino Val d’Elsa, è azienda biologica e biodinamica che trae origine da un vecchio casale di famiglia e da terreni che si sono tramandati dagli anni ’50 del Novecento e che oggi sono gestiti da Robin Mugnaini, che si definisce un agricoltore in profonda sintonia con la propria terra, che ha abitato da piccolo e che adesso si trova e custodire e coltivare. Il Chianti Classico 2018 - 100% Sangiovese, da vendemmia manuale con raccolta a fine settembre, poco più di 2.500 bottiglie - fa fermentazione spontanea con lieviti indigeni in tini di acciaio e botte di legno da 20 ettolitri e macerazione da 2 a 4 settimane, a seconda dell’annata. Viene da pensarlo nella sua funzione a tavola con qualche piatto della tradizione regionale - e ditemi come può non essere confortevole un “vino-da-cibo” - ma anche come bevuta di puro piacere, grazie alla sua eleganza non esibita. Amelia De Francesco

L’Erta Poggio della Bruna, un calice consolatorio 

Prende il nome dai tratti ripidi, in salita, che segnano le vigne di proprietà e rimanda al contempo all’estrema cura riservata alla produzione, questo Sangiovese in purezza che nasce a Vigliano, sulle prime colline intorno a Firenze. Qui Paolo e Lorenzo Marchionni negli anni Novanta hanno raccolto il testimone della passione paterna, accudendo 7 ettari vitati su suoli molto vocati, di natura piuttosto eterogenea e complessa, con presenza di calcare, sabbie, tracce d’argille e una forte componente pietrosa di galestro e alberese. Le vigne sono condotte con il metodo dell’agricoltura biologica certificata, con grande rispetto per la vitalità del terreno e per l’equilibrio della pianta. L’Erta Poggio della Bruna profuma di amarena ed erbe officinali, con intensi rimandi di sottobosco e humus e sottili ricordi di tabacco da pipa. È un rosso intenso, gustoso, pieno e stratificato, ma al tempo stesso longilineo, dinamico ed elegante. Ha tannini setosi e maturi, che si distendono in un sorso lungo, dalla chiusura piacevolmente sapida. È la “safe bet” dopo una giornata no, quel calice appagante, sicuro, consolatorio, quella bottiglia catalogata in cantina tra i “generi di conforto”. Adele Granieri

Villa Bucci, vino iconico e dalle solide certezze ​

A volte ci sono dei vini che possiamo definire “intramontabili” e che accompagnano lo scorrere del tempo lasciandoci quel senso di orientamento e di sicurezza; è il caso del Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2019 Villa Bucci, un vino iconico. Quella di Villa Bucci è una tra le cantine marchigiane che ha dato una vera impronta al mondo del Verdicchio dei Castelli di Jesi; la sua famiglia si occupa di agricoltura dal 1700 ed è originaria di Montecarotto. Ampelio Bucci - recentemente premiato come Vignaiolo dell’Anno per la Fivi (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti) - è sempre stato un produttore visionario e generoso nel condividere le sue esperienze. Ascoltarlo è significativo e permette anche di comprendere meglio quello che ha fatto nel corso degli anni. Oggi i suoi vigneti di Verdicchio del Castelli di Jesi DOC coprono circa 25 ettari in zona Classica; Ampelio Bucci ha da sempre puntato su questa interessante bacca bianca. Nel suo Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2019, ritroviamo la sua filosofia ed espressività, data da eleganti e carezzevoli note di sambuco ed eucalipto che rinfrescano e rinfrancano il sorso. Un vino lungo e salino, corredato dalla identificativa nota di mandorla, a cui si aggiungono note di pasticceria e scorze di agrumi che gli donano finezza e complessità. Un vino dal potenziale incredibile, capace di dare vini di lungo invecchiamento, ma comunicativi e comprensibili già in giovane età. Fosca Tortelli

Villa Matilde, il fascino rassicurante del Falernum

Non sempre si ha voglia di provare o suggerire etichette nuove o meno conosciute, al contrario ci sono situazioni in cui siamo desiderosi di un prodotto che ci fa sentire a casa e che ci rassicura, che ci trasmette un senso di appartenenza. Il Vigna Caracci, il Falerno del Massico D.O.P. Bianco di Villa Matilde rientra a pieno titolo in questa categoria di “comfort wines”, è un vino che viene prodotto solo nelle migliori annate, con uve raccolte dall'omonimo vigneto, uno dei più vecchi e meglio esposti della località di San Castrese, alle falde del vulcano spento di Roccamonfina. Siamo nell’Ager Falernus, al confine tra Campania e Lazio, questo è un territorio particolarmente fertile, aspetto che era già noto nell’antichità principalmente per la produzione dell’omonimo vino Falerno. Un vino frutto del sogno del proprietario della cantina, Francesco Paolo Avallone, di far rinascere lo splendore dell’antico vino romano Falernum, e che – come dimostra il Vigna Caracci 2008 - ha la capacità di sfidare il tempo. Un bianco che racchiude quindi fascino e una storia antica; una versione di Falanghina in purezza, dove la vinificazione parziale in legno arricchisce il suo bouquet fresco e fruttato, dandogli profondità e pienezza. Un vino espressivo, coinvolgente e di grande personalità. Fosca Tortelli

Paternoster, i Vulture che raccontano l’Aglianico​

Un secolo di storia, sudore e amore per la vitivinicoltura che oggi l’azienda lucana Paternoster racconta attraverso l’Aglianico del Vulture declinato in tre versioni: Don AnselmoRotondo e Synthesi. Coccole da scovare nelle carte dei vini per chi ama questa varietà tradizionale a bacca rossa e che Paternosteresprime nella sua classicità con lunghe e medie macerazioni e senza uso di additivi. Nonno Anselmo, primo artefice del successo di casa, decide di destinare alla vendita, le prime bottiglie di Aglianico: fu questo l’inizio di un’attività, oggi giunta alla terza generazione, in assoluto rispetto della tradizione, del contesto storico del luogo e dell’ambiente. Dal 2016 la famiglia Tommasi entra in Paternoster con un progetto per rafforzare il marchio e consolidare la rete commerciale. Tante facce, un unico spirito si potrebbe dire: il rigore in vigna, in cantina ed in ogni processo successivo, è sempre quello di quasi 100 vendemmie, di grappolo in grappolo, di generazione in generazione, con immutato spirito artigianale. Il Vulture incanta e partorisce questo vino emblema, frutto che ammalia e stordisce: si chiama Aglianico e il suo sapore è potente. Parla dei cieli sconfinati del Sud, del fumo di legna bruciata, della succosa uva che fermenta, delle umide grotte che custodiscono e cullano questi vini da stappare, senza fretta. Slvo Ognibene

Tasca e Riserva del Conte: la tradizione si rinnova

La Sicilia enoica intrisa di storia e sostenibilità identifica una delle famiglie che hanno portato avanti una visione sul vino siciliano. I Tasca con quasi due secoli di storia a conduzione familiare, sono senza dubbio i custodi di territori, vigne, idee e grandi vini. Nell’antica Contea di Sclafani sorge la tenuta Regaleali che, generazione dopo generazione, da vita a vini identitari proprio come la Riserva del Conte. Un vino creato dalla vigna più antica di Regalealiche produce pochi grammi di uva per pianta, resistente ai climi più estremi. Un uvaggio di Perricone (60%) e Nero d’Avola (40%) affinato in botti di castagno da 500 litri per 26 mesi. Il colore rosso rubino cela un vino complesso che affascina, al naso, per la complessità di note fruttate, mentolate, erbacee di salvia e di timo. All’assaggio colpisce per la potenza e la freschezza. Raro equilibrio gusto olfattivo esaltato da tannini armoniosi. Eleganza assoluta, sorso dopo sorso, con la certezza di rappresentare un confort wine per eccellenza. Un vino per collezionisti, nel millesimo 2016, ultimo in commercio, sono state prodotte 7.048 bottiglie di una Sicilia che compete con orgoglio con le più autorevoli etichette del panorama mondiale del vino. Cinzia Benzi

Con Duca Enrico alla conquista del mondo

Il rischio è il prezzo da pagare per qualsiasi nuova scoperta, ma è vero anche che, in ogni vita, esistono momenti in cui la volontà è quella di godere nella scelta di solide certezze. Duca Enrico è il vino della sicurezza: identitario, territoriale, alla conquista del mondo. La blasonata etichetta, nata nel 1984, primo Nero d’Avola in purezza nell’almanacco dei vini siciliani, è firmata dall’azienda Duca di Salaparuta, storico brand fondato nel 1824 dal Principe Giuseppe Alliata di Villafranca e nel 2001 assorbito dal gruppo Illva Saronno Holding S.p.A. L’uva per Duca Enrico nasce nella tenuta di Suor Marchesa a Riesi, centro-sud dell’isola, zona di vocazione per il Nero d’Avola, su vigne ad alberello, circa 5.000 ceppi per ettaro, con resa per ceppo di 1,2 Kg. Alla vendemmia manuale seguono diraspatura, macerazione a 28°- 30° C per 8/10 giorni e fermentazione malolattica; il vino matura per almeno 18 mesi in fusti di rovere francese e affina poi 18 mesi in bottiglia a temperatura controllata. Rubino nobile e serrato, al naso conquista per complessità e profondità con chiare note di frutti rossi e viola, sensazioni di vaniglia, tabacco e grafite e allettanti percezioni salmastre e balsamiche. Al palato, il vino apre un ventaglio di gusto, piacere e intensità, conferma le meraviglie olfattive e seduce nel superbo equilibrio tra succosa acidità, grande morbidezza e tannino perfetto. La virtù è il primo titolo di nobiltà (Molière). Davide Visiello

L'abbraccio familiare di Ceraudo

Trovare un vino giusto per stare in compagnia, per stare in famiglia. E allora il pensiero può anche viaggiare fino alla Calabria, dove Roberto Ceraudo accoglie i suoi ospiti facendoli sentire – appunto – in famiglia.L’accoglienza di Dattilo si traduce in varie forme, dal ristorante stellato guidato dalle figlie Caterina (in cucina) e Susy (in sala), arrivando fino alla cantina, dove lavora l’altro figlio Giuseppe. Un viaggio tra i vigneti e tra gli ulivi secolari, respirando a pieni polmoni, è rigenerante. I profumi della Calabria ritornano poi nei piatti di Caterina. D’inverno ci “accontentiamo” di andare in cantina (o sul loro shop online) per prendere e stappare alcuni dei loro vini. Questa volta ci concentriamo sul Grayasusi, il rosato di Gaglioppo più immediato (esiste anche la versione Etichetta argento) che ci stupisce proprio per la sua freschezza e sapidità, ma che sorprende ancora di più per la sua facilità di beva. La classica bottiglia da aprire in famiglia, per un pranzo senza pensieri. Raffaele Foglia

In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

Identità Golose

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