04-01-2022

I vini sui quali puntare nel 2022: i suggerimenti degli esperti di Identità Golose

Abbiamo chiesto ai nostri autori e collaboratori, amanti del buon bere, i loro consigli tutti italiani per i nettari da tenere d'occhio nel corso del nuovo anno

Alcune delle etichette consigliate dagli esperti i

Alcune delle etichette consigliate dagli esperti in ambito Wine di Identità Golose

IL CONSIGLIO DI MARILENA LUALDI

Cave Gargantua, la Valle d'Aosta nel bicchiere

La saggezza popolare mette in guardia dalla crisi dei sette anni: questo anniversario invece, è stato festeggiato alla grande da Cave Gargantua. Anche perché quando il tuo far vino è una sfida unica e la prima che fronteggi è la montagna, tutto il resto viaggia in scioltezza. Qual è il segreto a Gressan? Si cela anche un po’ nel nome, Gargantua, il gigante di cui la leggenda narra che uno sperone sopra questo piccolo Comune sia il mignolo. C’è la roccia, le narrazioni popolari ondeggiano sulla fantasia ma hanno la solida base della tradizione, e difatti tutto è iniziato seguendo la passione del nonno, avvisa Laurent Cuneaz.

Laurent e André Cuneaz

Laurent e André Cuneaz

Di questa cantina ci piace il mondo di mettersi alla prova, di valorizzare ciò che viene dalla storia di un territorio, come il Gamaret, su cui torniamo a breve, e di comunicare un forte connubio con la natura, che trasmette la fatica, ma anche pazienza e sorriso. Gamaret, dicevamo: varietà Doc della Valle d’Aosta, ma di origine svizzera, è consuetudine usarlo come taglio per altre varietà. La Cave Gargantua si è interrogata sull’identità di questo vitigno e dunque propria: perché non restituirgli una indipendenza? Così è stato ed ecco un vino che fa del tempo la sua forza, proprio come la montagna. Tra i riconoscimenti vinti dall’annata 2019, le Quattro Viti Ais 2022. Noi ci gustiamo però ancora volentieri il 2018, che dopo aver scatenato una sfida buona tra frutti rossi e spezie, si impone tramite un’eleganza equilibrata con la forza.

 

I CONSIGLI DI FOSCA TORTORELLI

Il Fara di Castaldi, viaggio in Alto Piemonte
Tra le denominazioni dell’Alto Piemonte rientra il Fara, siamo nella provincia di Novara, sulle colline di Briona dominate dall’imponente Rocca Sforzesca, dove la coltivazione della vite ha trovato da sempre un territorio ideale. Antiche testimonianze documentano l’esistenza proprio qui della Caneva di San Gaudenzio, cioè delle cantine che servivano il vescovado di Novara; in quelle stesse corti si trova oggi la cantina della famiglia Castaldi. Dopo il loro arrivo a Briona nel 1700, la famiglia Castaldi non ha più abbandonato la viticoltura su queste colline. Il Fara che in passato è stato una denominazione molto apprezzata da ecclesiastici, abati e feudatari, è senza dubbio da conoscere e approfondire. Nonostante la base di Nebbiolo sia percentualmente inferiore rispetto ad altri vini della zona, è molto apprezzato anche come prodotto da gustare in tempi più immediati, vista la sua freschezza che ne garantisce una grande bevibilità. Oggi Francesca e il figlio Marco portano avanti la tradizione della famiglia e del territorio, puntando sulla espressività dei loro vini. Snella e schietta la loro Uva rara Valceresole Colline Novaresi 2020, che regala schiettezza ed estrema bevibilità. Interessante e accattivante Nina 2020, la loro Colline Novaresi Doc Vespolina in purezza, connotata dalla sua nota speziata e balsamica sottile e per nulla invadente. Coinvolgente il loro Fara 2016 ottenuto da Nebbiolo 70% e Vespolina 30%, un vino espressivo, energetico ed elegante.

 

Cirotto ad Asolo si dedica al Manzoni bianco
Quella di Cirotto è un’azienda che nasce nel 1949 ad Asolo, borgo medievale, oggi “Città del Vino”, ultima fascia collinare prima delle Dolomiti. Carisma ed energia rappresentano la terza generazione di questa azienda, da sempre attenta al rispetto e alla salvaguardia del territorio. I terreni collinari sono ricchi di argille marine e marne, elementi fondamentali che si riflettono nei loro vini. I vitigni locali dei colli di Asolo quali Glera e Manzoni bianco rappresentano la loro storia e sono il patrimonio prezioso su cui l’azienda sta costruendo il suo futuro. Particolare attenzione meritano le loro etichette prodotte con il 100% di Manzoni bianco, un vitigno di cui Francesco Siben e Gilberto Cirotto, sono sempre stati grandi estimatori. Il lavoro che stanno portando avanti su questo vitigno è davvero lodevole. Il riscontro evidente lo ritroviamo nel Costalunga 2019 un Igt, complesso nei profumi, di grande freschezza, lunghezza e salinità. Ancora più sorprendente la loro versione Metodo Classico di questo vitigno, il loro Sogno Dosaggio Zero 2016, la sintesi della loro visione onirica del credere fortemente nelle potenzialità della loro realtà, un’interpretazione che vuole portare nel calice l’essenza e l’unicità espressiva delle colline asolane. Un vino unico nato da un’intuizione, frutto di sperimentazioni e della giusta attesa; un sogno che si è concretizzato.

 

Bussoletti rilancia il Ciliegiolo di Narni
L’Umbria è una tra le regioni italiane ricca di tesori nascosti e diversità che ne contraddistinguono il territorio. Non solo Sagrantino di Montefalco, tra le bacche rosse presenti, ma anche Ciliegiolo, vitigno che merita di essere conosciuto. Si tratta di un vitigno a bacca rossa, contemporaneo, leggero e fragrante; sin dal Medioevo si è radicato nel territorio di Narni, usato spesso come gregario del Sangiovese a cui fornisce colore, profumi e morbidezza, rischiava di non potersi esprimere in assolo. Da anni viene vinificato in purezza, dimostrando la capacità di farsi interprete del territorio con una piacevolezza di bevuta tutta contemporanea e declinata sui toni della leggerezza e della fragranza.

Virtuoso interprete è Leonardo Bussoletti, vignaiolo e attuale presidente dell’Associazione Produttori di Ciliegiolo di Narni. Leonardo ha il Ciliegiolo nel cuore, passione e coinvolgimento emergono nelle sue etichette e nella sua determinazione. Bussoletti coltiva il ciliegiolo nelle diverse aree dislocate tra Narni, San Gemini, Penna in Teverina ed Alviano, in provincia di Terni, il suo è un percorso che va in profondità, cercando di interpretare il Ciliegiolo secondo diversi punti di vista. Ogni sua etichetta racconta le diversità del territorio di riferimento; interessante il suo Ciliegiolo di Narni Igt “Ràmici” 2018un cru proveniente da una vigna sabbiosa del comune di Alviano, che esprime eleganza e freschezza grazie alla sua rinfrescante nota balsamica. Ultimo nato - in uscita nella prossima primavera - il suo Grifo di Narnia, sempre 2018; un rosso coinvolgente e suadente, di grande profondità e di estrema eleganza.

 

IL CONSIGLIO DI MAURIZIO TREZZI

Gaggiano e la forza del Bramaterra Gervasio
L’Alto Piemonte vive stagione di nuovo entusiasmo, complici una maggior attenzione alla qualità da parte di un numero sempre più grande di produttori, alcuni vantaggi competitivi legati a nuove condizioni climatiche più favorevoli e a uno sviluppo dell’offerta gastronomica del territorio che richiede, in parallelo, vini altrettanto validi da portare sulle tavole gourmet. In questo scenario la Cantina Gaggiano, di proprietà della famiglia Fabris, produce vini da oltre 40 anni su vigneti nei comuni di Sostegno e Casa del Bosco, nel biellese nei pressi di Lessona. I suoli della zona sono caratterizzati da sabbie e rocce di origine vulcanica, le estati sono calde con buone escursioni termiche fra giorno e notte, particolarmente favorevoli alla coltivazione dell’uva NebbioloGaggiano deve il suo nome alla regione sita nel cuore dell’Alto Piemonte, dove è stata recentemente realizzata una cantina moderna e funzionale per la produzione di vini che parlano del territorio, delle sue tradizioni e dei suoi sapori.

Fra questi il Gervasio, il nome del capostipite della famiglia Fabris, è un Bramaterra Doc prodotto in due  ettari e mezzo di terreno, e composto da 8 parti su 10 di uve Nebbiolo e nel restante 20% da cépage autoctoni: Vespolina e Croatina. Dopo la fermentazione in vasche d’acciaio, la macerazione viene svolta distintamente: tre settimane per Nebbiolo e Croatina, due per Vespolina. L’affinamento sfiora i due anni. Il Bramaterra passa infatti 22 mesi in legno, dei quali 18 in tonneaux di rovere di secondo passaggio, per poi terminare la sua crescita in bottiglia. È un vino importante, ricco di colore e di tannini e adatto ad essere consumato in una maturità che ne esalta le note e i profumi di frutti rossi e pepe nero. I terreni donano mineralità accentuata e una sapidità che, come detto, ne lascia fin dalla gioventù intuire un grande futuro d’invecchiamento.

 

I CONSIGLI DI ADELE GRANIERI

Cascina Fontana, le Langhe lontane dalle mode
Mario Fontana ha il merito di aver sempre seguito le proprie idee, anche quando il mondo del vino andava in tutt’altra direzione. Nel 1994 ha deciso di distaccarsi dall’azienda di famiglia e di fondare la propria a Perno, frazione di Monforte d’Alba, assieme alla moglie Luisa. Cinque ettari di vigneti tra Castiglione Falletto, La Morra e Sinio, coltivati a NebbioloDolcetto e Barbera: una dimensione che gli consente di seguire tutte le lavorazioni in prima persona, perché Mario è un vignaiolo autentico, di quelli che preferiscono stare tra i filari, piuttosto che in ufficio o alle fiere. Da sempre coltiva i suoi vigneti e vinifica le sue uve secondo gli insegnamenti del nonno Saverio, con estrema attenzione al territorio e rispetto per la tradizione locale contadina, seguendo i ritmi delle stagioni con pazienza e fiducia. In cantina solo vasche di cemento, botti grandi di rovere per l’affinamento e vasche di acciaio per le fermentazioni spontanee, senza il controllo della temperatura, per ottenere vini che si distinguono per elegante e schiettezza, vini che non seguono le mode del mercato, dai quali emerge l’animo più sincero e contadino della Langa più autentica.

 

Grifalco, giovane azienda del Vulture
La famiglia Piccin nel 2004 ha lasciato Montepulciano e il Sangiovese per cimentarsi con l’Aglianico del Vulture a Venosa, alle pendici dell’antico vulcano del Vulture, con la loro azienda Grifalco.Una scelta in controtendenza, dettata da una profonda passione verso quel Sud ancora abbarbicato al suo passato, ma che scalpita dalla voglia di futuro. Un futuro in cui credono Andrea e Lorenzo Piccin, che fanno parte di quella virtuosa generazione, la Generazione Vulture appunto, che sta scrivendo il nuovo corso della storia della viticoltura di questo territorio.

Supportati dalla madre Cecilia NaldoniAndrea e Lorenzo hanno raccolto il testimone del papà Fabrizio e proseguono il lavoro in vigna e cantina nel solco da lui tracciato, seguendo una filosofia produttiva ben precisa: cogliere le numerose sfaccettature dell’aglianico ed esaltarne i tratti peculiari dei diversi areali. Le uve, coltivate in regime biologico su 16 ettari dislocati tra Maschito, Venosa, Forenza e Ginestra, vengono vinificate separatamente, per ottenere quattro diverse interpretazioni schiette e sincere di Aglianico del VultureGricosGrifalcoDamaschito e Daginestra.

 

I CONSIGLI DI RAFFAELE FOGLIA

Andrea Moser con i vini della linea Selezioni

Andrea Moser con i vini della linea Selezioni

Cantina di Caldaro, Andrea Moser e le Selezioni
Da quando è arrivato, nel 2014, ha continuato a rinnovare e a migliorare quella che è una delle più importanti realtà cooperative dell’Alto Adige e di tutta l’Italia.Andrea Moser, classe 1982, ha dovuto superare non pochi pregiudizi, quando ha preso in mano le redini di Cantina di Caldaro, per la precisione Kellerei Kaltern, in qualità di kellermeister. A partire dal fatto che non era altoatesino, ma trentino. E subito ha dovuto affrontare anche un’annata che non era affatto facile, la 2014: un inizio in salita per il giovane enologo. Eppure, negli anni, è riuscito a dimostrare il suo valore e a far valere pian piano le sue idee, facendosi capire più con i fatti che con le parole agli attuali 650 soci che gestiscono i 450 ettari di vigneto attorno al lago di Caldaro.Quella di Andrea Moser è una continua ricerca, uno studio di tutti i particolari sia in vigna che in cantina, per ottenere sempre il meglio: anno dopo anno i vini di Cantina di Caldaro sono sempre diventati più fini ed eleganti, con una costanza di qualità – che è fondamentale, quando si parla di grandi numeri – che parte dalla linea Classica, passa dalle Selezioni e arriva ai Quintessenz, i cru aziendali. Sulla linea delle Selezioni, ora, c’è anche un’importante novità per quanto riguarda i vini bianchi: hanno la possibilità di riposare un tempo maggiore in cantina. «Alle Selezioni – spiega lo stesso kellermeister - sono destinate le uve migliori delle nostre vigne storiche. Da quest’anno abbiamo deciso di dare più tempo in cantina alle varietà in bianco della linea: Pinot BiancoPinot GrigioSauvignon BlancChardonnayKerner e Gewürztraminer sono usciti sul mercato in autunno, insieme ai vini rossi, un affinamento extra che ha regalato loro maggiore equilibrio, armonia e ampiezza olfattiva». Insomma, Andrea Moser non finisce mai di stupire. E di farsi capire.

 

Bertinga, idee nuove nel Chianti Classico
In pieno Chianti Classico, senza fare Chianti Classico. «Descrivere Bertinga è semplice come contare sulle dita di una mano: un territorio, due vitigni, tre vigneti e quattro vini. Eppure, non c’è nulla di più difficile da spiegare della semplicità». Questa la filosofia di questa azienda che è uscita quest’anno con i suoi primi vini, annata 2016, e che punta a portare una ventata di freschezza nel panorama vitivinicolo della zona. Niente Docg, ma solo vini Igt, per avere una buona libertà di azione, ma sempre puntando in alto. Due sole le varietà, Sangiovese e Merlot, da cui nascono Bertinga, vino simbolo dell’azienda, blend delle due uve, il suo “second vin” Sassi Chiusi e due espressioni in purezza da singola parcella, rispettivamente di Sangiovese e MerlotPunta di Adine e Volta di Bertinga. I vigneti sono a oggi in fase di conversione alla viticoltura biologica, curati da un team capitanato dal direttore tecnico Elisa Ascani e dall’agronomo David Picci. L’azienda si avvale anche della consulenza del winemaker Stéphane Derenoncourt, affiancato da Romain Bocchio.

«Il nostro obiettivo è l’equilibrio della pianta e per ottenerlo mettiamo in campo tutte le possibili accortezze - spiega Elisa Ascani - Grazie al monitoraggio costante dei vigneti, sempre camminando e con molta calma, ogni attività viene mirata sulla singola parcella». In totale sono tre appezzamenti per meno di 20 ettari.I visionari autori di questo quadro sono due amici di lungo corso, Maxim Kashirin e Anatoly Korneev, che nella vita si sono sempre dedicati al mondo del vino e in particolare a farne conoscere le eccellenze nella loro patria: la Russia.

 

Podernuovo a Palazzone, il sogno e la tecnica di Giovanni Bulgari

Giovanni Bulgari è partito da zero, facendo nascere Podernuovo a Palazzone

Giovanni Bulgari è partito da zero, facendo nascere Podernuovo a Palazzone

Un’oasi verde, di vigne e ulivi, all’incrocio fra tre regioni: Podernuovo a Palazzone, che si trova appunto in località Palazzone, a San Casciano dei Bagni, in provincia di Siena, ma in realtà è un crocevia tra Toscana, Umbria e Lazio.Non siamo in un territorio particolarmente conosciuto o celebrato per i vini, le aree delle importanti Docg della Toscana come Montepulciano e Montalcino non sono lontanissime. Ma qui Giovanni Bulgari ha voluto intraprendere un’avventura che, senza pregiudizi, potesse valorizzare al meglio questa splendida oasi verde. Il cognome non inganna: Giovanni Bulgari arriva proprio dalla notissima famiglia di gioiellieri, ma quella realtà è distante e soprattutto non riguarda la proprietà di Podernuovo a Palazzone. Qui, a Podernuovo, c’è solo l’idea di Giovanni Bulgari, innamorato di questo posto davvero meraviglioso e un po’ segreto, lontano anche dal turismo di massa, per realizzare vini (e olio) di grande livello e magari accompagnare i visitatori in un’esperienza unica. «La mia è stata una scelta di cuore. È un luogo “vergine”, per questo mi ha affascinato. E poi qui ho una mano più libera. Ho scelto di fare Igt proprio per poter interpretare il Sangiovese a mio piacimento». Insomma, un pensiero libero, svincolato dai paletti imposti da Doc e Docg, o anche solo da radicate tradizioni, per poter cercare di ottenere il meglio, senza eccessive restrizioni. Giovanni Bulgari, ben supportato dal responsabile di produzione Stefano Piccio, ha così potuto studiare i terreni e ragionare su cosa andava fatto per raggiungere il suo obiettivo.

 

La Palazzetta, la Montalcino più autentica
Conoscere Flavio Fanti e la sua famiglia, significa immergersi nella realtà più autentica di Montalcino. Il marketing, qui alla Palazzetta, è rappresentato da un bicchiere di buon vino, un po’ di pane, una fetta di pecorino, qualche salume e tanto buon umore sulla terrazza che si affaccia sull’abbazia di Sant’Antimo. Flavio e Carla hanno iniziato a fare vino nel 1988 con un solo ettaro di Sangiovese: ora sono 20 ettari di vigneto e 2.500 piante di ulivo. Oggi i figli Luca e Tea proseguono la storia. Una famiglia unita, dove non mancano mai il rispetto e il sorriso.

In questi ultimi anni è il giovane Luca a seguire maggiormente la produzione, con papà Flavio che pian piano è riuscito a dargli sempre maggiore fiducia e che, comunque, non lo lascia mai solo. La produzione si concentra sul Brunello di Montalcino, con i vigneti che si trovano proprio nell’area attorno all’abbazia di Sant’Antimo, suddivisi su quattro terreni con caratteristiche differenti, tanto che un futuro non si esclude la possibilità di presentare anche un vino da singola vigna. Il Brunello di Montalcino 2017 è un vino che ha bisogno ancora di bottiglia: sarà in commercio dall’inizio dell’anno, ma per esprimersi al meglio ha ancora bisogno di un po’ di tempo, anche se dimostra già di avere un enorme potenziale. D’altronde, il tempo è galantuomo. La Riserva 2016, invece, rispecchia l’annata, con complessità e profondità: un vino da non perdere.Un’ultima nota: l’olio. La passione di Flavio Fanti che ha voluto addirittura un frantoio aziendale con il quale produrre esclusivamente il suo “oro verde”. Anche questo da provare.

 

IL CONSIGLIO DI SALVO OGNIBENE

Cascina Maddalena, Lugana state of mind
Nella cantina della famiglia Zordan si respira aria di tradizione, famiglia e Lugana. Siamo a Sirmione, sul lago di Garda, terra d’elezione del Turbiana (ovvero Trebbiano di Lugana) che Mattia e la sua famiglia producono da quattro generazioni a Cascina Maddalena in due versioni: il Capotesta e la selezione prodotta solo nelle annate migliori che dà vita al Clay. Quattro ettari di proprietà, 30.000 bottiglie prodotte ed un vino che non si stacca dal palato. Una storia di famiglia impegnata in una viticoltura a basso impatto ambientale con la volontà ogni anno di alzare l’asticella della qualità: nelle bottiglie, frutto di continue sperimentazione e che negli ultimi anni ha rinnovato anche la grafica, determinazione, passione e amore per questa straordinaria terra di vino.

Qui, nello splendore delle vigne che circondano la cantina, si gode di un microclima unico che dà vita al Lugana: i venti soffiano da nord, il tepore del lago insieme ai terreni argillosi danno vita ad un vino unico che non ha paura del tempo. Un pensiero costante quello della longevità, motivo per cui  di recente sono stati introdotti i tappi a vite su tutti i vini fermi prodotti da Cascina Maddalena.

La famiglia Zordan

La famiglia Zordan

 

IL CONSIGLIO DI LUCA TORRETTA

Cordero San Giorgio, scommettiamo sull’Oltrepò
Da Castiglione Falletto, nelle Langhe, a Santa Giuletta, in Oltrepò Pavese, attraversando Francia, Stati Uniti e Nuova Zelanda; dalla rinomata storia e tradizione dell’azienda di famiglia, alla ricerca di tecniche e stili transnazionali in un continuo percorso di formazione, approfondimenti e crescita. Questo l’itinerante cursus honorum che ha condotto i fratelli CaterinaFrancesco e Lorenzo Cordero ad acquisire Tenuta San Giorgio nel 2019 e farne la loro cantina, dove poter esprimere, con consapevolezza e maturità, le esperienze sviluppate negli anni di studio e apprendimento. Oggi Cordero San Giorgio conta ventidue ettari, di cui venti con vigne di età media di quarant’anni collocate tra i duecento e i duecentocinquanta metri di altitudine, da cui si producono, con metodi a basso impatto ambientale, vini di ottima fattura. Tra questi ci piace in particolar modo segnalare il pregevole Chardonnay Rivone, al quale i passaggi in anfora di terracotta e barriques di rovere francese conferiscono potenzialità da vero fuoriclasse, e l’ottima Barbera Riserva Fredo, la cui potenza e complessità conquistano ed entusiasmano già al primo assaggio. Nuova linfa di cui l’Oltrepò Pavese ha bisogno e su cui a chi scrive piace scommettere per il futuro di questo stupendo territorio.

 

IL CONSIGLIO DI DAVIDE VISIELLO

Millesulmare, l’Etna di Santa Maria La Nave
«Vivo e dedico ogni mia giornata ai miei vitigni autoctoni e ai miei vini, prendendomi cura di loro e raccontandone la bellezza nel mondo». Ha il senso di parole scritte da Antoine de Saint-Exupéry l’amore con cui Sonia Spadaro Mulone, amministratore unico e principale proprietaria dell’azienda Santa Maria La Nave, si occupa del suo vigneto Casa Decima, in Contrada Nave a Bronte (Catania), sul versante Nord-Ovest dell’Etna. Tra le vigne più alte d’Europa, al centro di colate laviche, Casa Decima è un piccolo gioiello a 1100 metri sul livello del mare, risultato di un una selezione massale durata 15 anni delle migliori piante prefillossera a piede franco di Grecanico Dorato e di Albanello.

Qui nasce MillesulmareSicilia Bianco Doc, da uve 100% Grecanico Dorato, vino eroico prodotto da viticoltura estrema, produzione di nicchia di pochissime bottiglie, numerate in etichetta dall’annata 2015, che rappresenta la sintesi perfetta del frutto della vite e di un complesso ma rispettoso lavoro di vinificazione sottolineato in sei punti: vendemmia manuale, pressa soffice, fermentazioni a temperatura controllata, utilizzo di lieviti rigorosamente indigeni, bâtonnage sulle fecce fini, affinamento per mesi in bottiglia. Paglierino dai riflessi dorati, al naso svela sentori di pesca gialla, agrumi, erbe aromatiche, pepe bianco e una spiccata nota sulfurea; all’assaggio è vibrante per freschezza, sapidità e intensità; persistente, elegante e di carattere, emoziona per identità e amore. «È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante».

 

IL CONSIGLIO DI CINZIA BENZI

Il Cannonau L’Ora Grande di La Contralta 

Il Cannonau L’Ora Grande di La Contralta 

La Contralta, una Sardegna emergente
La Contralta è una giovane realtà vitivinicola in Gallura. Appena sette ettari vitati di cui cinque si trovano a Enas, una piccola località alle porte di Olbia e due a Palau. Tredicimila bottiglie sono la cifra di una produzione di nicchia con vini fuori dagli schemi: lunghe macerazioni e affinamenti non convenzionali. Vini che colpiscono per rara finezza. Roberto Gariup, anima della cantina è responsabile tecnico e winemaker de La ContraltaNicola Dettori è il responsabile finanziario dell’azienda. Il vino è stato l’elemento che li ha fatti conoscere e iniziare questa grande sfida. Gariup è friulano d’origine e, da ben tre lustri, sardo d’adozione. Conferma il suo dna bianchista tuttavia mette in campo il suo sapere per produrre un Cannonau molto convincente. Il nome dell’azienda è lo stesso della piccola spiaggia adiacente a uno dei vigneti della tenuta. Producono VermentinoCannonau e Carignano con terreni pieni di sale e con il vento Maestrale perfettamente equilibrato per far crescere e maturare grandi uve. Sono vini che amano il tempo, in tutta la sua pienezza. Vince la filosofia “slow”. Il Cannonau L’Ora Grande esce dal cliché del vino rosso strutturato: il colore è volutamente scarico ma il bouquet aromatico è un’inebriante esplosione di frutta rossa, spezie e note erbacee mediterranee. Note olfattive che ritrovi all’assaggio, un sorso delicato dal tannino morbido. I nomi dei vini sono tratti da alcuni versi di Umberto Saba, grande poeta di origini friulane, le stesse di Gariup. Una gamma di prodotti non sempre compresa da tutti i palati ma noi siamo entusiasti dei vini identitari firmati La Contralta, una Sardegna su cui scommettere. 

 

IL CONSIGLIO DI AMELIA DE FRANCESCO

Bobotti 2019, il Cannonau di Sanna
Siamo in Barbagia, nel cuore della Sardegna rurale, e Bobotti è l’Uomo Nero, temutissimo dai bambini, un parente stretto dei tenebrosi Mamuthones, le maschere tipiche del carnevale locale, sacre e profane, dall’ancora misterioso significato. Ma Bobotti è anche il nome del Cannonau che Piergraziano Sanna. Non lasciatevi ingannare dal nome, però: si tratta di un vino di luce, di grazia, che ha la sua forza nella sottrazione se paragonato ad altri Cannonau. Un vino caratterizzato da una grande eleganza tutt’altro che austera, che lascia posto alla piacevolezza della beva: un bicchiere tira l’altro, sappiatelo. Impreziosiscono il profilo gustativo una nota di elicriso e di mare, a ricordarci la natura insulare della bella terra di Sardegna.

I due ettari e mezzo vitati di Sanna, tutte vigne allevate ad alberello, sorgono su terreno granitico a circa 850 metri sul livello del mare, in una zona vinicola - Mamoiada - che negli ultimi anni ha saputo attirare l’interesse della critica di settore e degli appassionati di vino. La prima vendemmia della Cantina Sannas è del 2016 e attualmente la produzione non raggiunge le 10mila bottiglie, con le uve vinificate in una stretta cantina in paese, che ricorda molto le micro-produzioni dei garage wine. Se avrete la fortuna di trovarlo (o come noi, la tenacia di inseguirlo) per una visita, assisterete probabilmente all’apertura della bottiglia con il coltello a serramanico e ad altri numerosi racconti - magari davanti a un estemporaneo assaggio di salumi – che meritano la sosta e la conoscenza diretta di Piergraziano e della sua realtà.


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

a cura di

Identità Golose